Il maestro Sergio Pacciorini-Job, 89 anni, ha lasciato dopo tre decenni la direzione del coro bellinzonese. ‘Il mio è stato amore per la bellezza’
C’è un tempo per ogni cosa. E anche per il maestro Sergio Pacciorini-Job è venuto il momento di dire basta. Dopo trent’anni da direttore del coro Castelgrande è arrivata la meritata ‘pensione’. «Da un lato mi rincresce aver lasciato l’attività, perché ho sempre adorato l’insegnamento. Dall’altro sono conscio che ogni attività ha il suo tempo e sono contento di aver terminato la mia avventura ancora all’apice».
Domenica 18 maggio, nella chiesa di Santa Maria Assunta a Giubiasco, il maestro Pacciorini-Job ha chiuso la trentennale carriera con il coro bellinzonese, con un concerto affollato da un pubblico molto partecipe: «Alla fine gli spettatori mi hanno omaggiato con una standing ovation. Devo dire di non essermi emozionato, non so nemmeno io perché. D’altra parte, vedere tutta quella gente in piedi per applaudire me e i miei 18 cantori ha significato molto: vuol dire che un segno positivo l’abbiamo lasciato».
Quella con il coro cittadino è stata un’avventura durata tre decenni, ma non l’unica del maestro bellinzonese («Patrizio di Ravecchia», ci tiene a precisare). Anzi! Pacciorini-Job ha diretto cori e corali per ben sessant’anni, ad esempio la corale Unione Armonia (dal 1964 a oggi), il coro Eco di Lumino, da una costola del quale è poi nato il Castelgrande, e il coro di voci bianche della Scuola media di Gordola, dove ha insegnato musica dal 1982 al 1997: «Un periodo davvero incredibile. Avevo messo in piedi un gruppo di 80 ragazze, con le quali avevamo raggiunto un ottimo livello, tanto da aggiudicarci un concorso a Stresa. Proponevamo molti brani provenienti dall’Europa orientale, da regioni nelle quali il repertorio per voci bianche è molto sviluppato. E più i brani erano difficili, più le ragazze li apprezzavano».
Classe 1936, quindi 89 anni in arrivo e portati magnificamente, Sergio Paccionini-Job ha scoperto l’amore per la musica attraverso la radio: «C’era un temporale tremendo, me lo ricordo ancora. Quella che allora si chiamava Radio Monteceneri trasmetteva un concerto per pianoforte e orchestra. Avevo 13 anni e mi sono immediatamente innamorato di quel suono meraviglioso: in quell’istante ho capito che la mia vita sarebbe stata scandita dalla musica».
In un primo tempo, proprio dal pianoforte, strumento al quale si dedica ancora oggi: «Per diletto, ovviamente. Tuttavia mi piace continuare a studiare, perché la musica ti porta ad andare sempre più avanti, è una continua scoperta. Tra l’altro studio anche grazie a yoga e meditazione che sono pratiche lente. Tuttavia più un’azione è lenta, più ti permette di interiorizzarla. Ad esempio mi soffermo su una partitura, la studio, me la canto interiormente, la visualizzo e la faccio mia. Pertanto quando dovevo dirigere, non necessitavo di spartiti davanti a me ma mi affidavo alla memoria, come avevo sempre fatto durante la mia carriera».
Malgrado siano due mondi molto distanti l’uno dall’altro, il passaggio dalla musica classica al coro è stato naturale: «Ho sempre apprezzato questo genere, per quanto distante dalla classica, e ho cercato di dargli un tocco che riflettesse le mie origini musicali. Credo che la musica abbia molteplici forme di espressione, ma il mio spirito rimane legato alla classica. Questo rende unico il mio modo di dirigere e ogni volta rimanevo stupito dalla prontezza dei cantori ad adeguarsi alla mia direzione».
Musica classica, brani della tradizione e anche musica sacra. Tipologie diverse, attraverso le quali il maestro Pacciorini-Job ha saputo navigare con destrezza: «Siccome il mio approccio parte dalla classica, riesco subito a percepire il modo in cui il brano va eseguito, dando ad esempio alla musica sacra della corale Unione Armonia quel tocco di spiritualità dal quale una preghiera non può prescindere».
Sessant’anni di attività significano una miriade di concerti: «Ne tenevo 10-12 all’anno, fate un po’ voi il calcolo... E non ho mai saltato una prova. Mi ricordo di una volta in cui un raffreddore mi impediva di uscire: in quattro e quattr’otto ho convocato tutti i cantori a casa mia e la prova l’abbiamo svolta lì».
Sergio Pacciorini-Job è un amante della musica a 360 gradi. O quasi: «La ascolto tutta. Quella bella. La classica, è ovvio, ma anche artiste come Céline Dion o Mina, capaci di infondere quelle emozioni che in certa musica del giorno d’oggi – ad esempio il rap – non riesco a ritrovare. Si parla spesso della necessità di avvicinare i giovani alla musica classica. A questo proposito, a mio modo di vedere la Rete Uno dovrebbe proporre, di tanto in tanto, qualche brano classico. Ce ne sono di brevi, freschi, a loro modo anche moderni. Servirebbe a incuriosire qualche giovane che quel tipo di musica non lo ha mai conosciuto. Come puoi essere goloso di minestrone se non lo hai mai assaggiato? Quando ero ragazzo, in casa mia madre imponeva assoluto silenzio tutte le volte in cui dalla radio uscivano le note della Danza delle Ore di Amilcare Ponchielli: voleva che, attraverso quel brano, imparassimo ad apprezzare la bellezza».
La vita di Sergio Paccionini-Job è stata scandita anche dai viaggi. Rigorosamente in camper e prima ancora in roulotte: «Io sono il braccio operativo, mia moglie Nadia è sempre stata la mente. Per 56 anni di matrimonio mi ha affiancato e sostenuto nel mio ruolo di direttore ed è stata un’organizzatrice impeccabile dei nostri innumerevoli viaggi. Il primo risale a una cinquantina d’anni fa, a Trondheim con una vecchia VW 1300 e una roulotte di tre metri: in salita non superavamo i 40 km/h, in discesa arrivavamo al massimo ai 60. Un viaggio interminabile, ma meraviglioso. In seguito abbiamo esplorato Svezia, Germania, Spagna, Inghilterra, Scozia, Italia, Francia… Siamo arrivati a Capo Nord con un nebbione da tagliare a fette e proprio a mezzanotte il cielo si è aperto per lasciarci godere il disco rosso del sole. Poi siamo stati negli Stati Uniti per visitare una mia cugina e in Canada a vedere gli orsi. L’ultimo viaggio alcune settimane fa, sul lago di Garda, in un campeggio nel mezzo di un uliveto: quattro giorni spettacolari durante i quali ci siamo ricaricati di energia. E per l’autunno, stiamo già pensando a una nuova destinazione. Guidare è sempre stato un piacere, fin da quando a 13 anni “presi in prestito” la Balilla di mio fratello…».