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‘Oltre al mobbing anche razzismo e abuso di potere: il Municipio ora intervenga’

Bellinzona, ecco le cinque pagine con cui più collaboratori dell’Arp e dei Servizi sociali elencano le critiche mosse alla presidente/direttrice

(Ti-Press)
2 luglio 2025
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Cinque pagine e mezza fitte fitte che si aggiungono alla segnalazione inviata in gennaio da 13 collaboratori su circa 40 al Laboratorio di psicopatologia del lavoro incaricato di raccogliere e analizzare situazioni potenzialmente problematiche nell’ottica di avviare un percorso risolutivo. Dopo l'odierna interrogazione depositata dalla consigliera comunale Lorenza Giorla-Röhrenbach, ecco ora il ‘Documento di analisi delle situazioni di disagio’ che riunisce tutte le presunte criticità elencate da un nucleo ristretto di dipendenti attivi ai Servizi sociali comunali di Bellinzona e all’Autorità regionale di protezione, l'Arp 15 con sede a Giubiasco e che sotto l’egida del Cantone, ma con assunzione del personale di competenza comunale, si occupa del diritto di protezione di adulti e minori nel nostro comprensorio.

Focus sulla responsabile di entrambi i settori (da mesi in malattia e affidatasi a un legale) i cui “comportamenti, modalità di conduzione e disorganizzazione” sarebbero all’origine di “disagio diffuso”. E una premessa: “La Legge sul lavoro affida al datore il compito di tutelare la salute dei dipendenti da rischi psico-sociali”. Un invito chiaro al Municipio affinché si attivi. Infatti “purtroppo i tentativi precedenti di tematizzare il malessere non hanno sortito alcun effetto”. La volontà “è di vedere finalmente un cambiamento”. L’obiettivo “non è screditare una persona, ma poter lavorare in un clima sereno, costruttivo e orientato all’importante compito che il nostro lavoro prevede: l’aiuto e la protezione della popolazione più fragile”.

‘Capri espiatori e inesistente cultura dell'errore’

Tre le “principali aree di criticità”, numerate “in ordine di gravità avvertita”. Anzitutto le modalità di gestione delle relazioni umane e del personale, contraddistinte da “importanti disfunzioni”. Parlando di “mobbing, capri espiatori e inesistente cultura dell’errore”, il documento segnala che la responsabile “puntualmente e ciclicamente si lamenta di uno specifico collaboratore”. Quando lo prende di mira, “spesso in base all’umore del momento, ma anche con una chiara ciclicità e a rotazione, è con esso più severa e critica, mancando di uniformità di giudizio, togliendo competenze e affidando compiti ripetitivi, facendo commenti ad alta voce spesso alle spalle, attuando comportamenti atti a giudicare, sminuire, svalutare, ridicolizzare, umiliare. Producendo così stress, insicurezza e timore dell’interlocutore”. Perciò i collaboratori “non sono messi in condizione di dialogare a causa dell’impronta aggressiva”. Gli errori fatti “vengono aspramente criticati, usati contro e non per migliorare”. Tutto ciò sfocia nella “paura di agire per paura di sbagliare”, ma c’è anche chi “evita di coinvolgerla nelle decisioni e chi non si assume responsabilità”.

‘Chi è preso di mira, spesso se ne va’

La somma di tutto ciò “rientra nella sfera del mobbing, secondo la definizione della Seco”. E sfocia in un “clima di soggezione su tutti i dipendenti”, a tal punto che “chi è preso di mira, spesso lascia poi il posto di lavoro”. Il tutto dopo che la responsabile nella ricerca di nuovo personale “seduce e valorizza chi avvicina” innescando così una dinamica di “gratitudine e lealtà” ma in definitiva anche di “ricattabilità”. A tal punto da sollevare dubbi sull’esistenza di regolari concorsi pubblici. Segue un elenco di otto collaboratori (e relative motivazioni) che hanno lasciato negli ultimi quattro anni. Fra gli ex “c’è chi racconta che chiedesse loro di svolgere mansioni per il suo interesse privato durante l’orario di lavoro”. Presente in ufficio anche il suo cane, e in effetti “sembra che l’organizzazione delle attività ruoti attorno alle sue necessità”. Anche nella trattazione dei dossier le critiche abbondano: segnalati “commenti razzisti” a seconda della nazionalità degli utenti.

‘Doppio ruolo in conflitto d’interesse’

Presidente dell’Arp all’80% e direttrice dei Sociali al 20%. Questo il grado d’assunzione ufficiale. Tutto bene? Nel 2019 il Consiglio di Stato rispondendo a un’interrogazione dell’Mps indicava tale soluzione, voluta dal Municipio, accettabile a patto che fosse assunto un coordinatore dei Sociali. I collaboratori segnalanti indicano che invece la responsabile opererebbe in presenza all’Arp solo al 30%. Lavora a distanza? Se così fosse, “la presenza fisica in Arp è centrale, per il suo ruolo”. E invece “la funzionalità è fortemente compromessa dalla sua assenza”. Ritenuta problematica pure la dinamica riguardante i rapporti con i membri permanenti dell’Arp e con la delegata aggiunta per quanto riguarda sia le decisioni adottate su singoli dossier, sia le valutazioni del lavoro svolto. Il doppio ruolo e presunti conflitti che esso genererebbe, sfocia poi “nella pressione che come direttrice dei Sociali esercita in materia economica”, visto che “in molte situazioni si ha l’impressione che l’interesse a risparmiare, legittimo per un’alta funzionaria comunale, influenzi la scelta sui mandati di protezione”. E più precisamente: “Per non gravare sui conti pubblici comunali la presidente dell’Arp potrebbe essere portata a ridurre il costo delle misure, mentre dovremmo essere orientati solo all’interesse dell’utente”. Idem per quanto riguarda il dubbio riversamento di talune spese sui beneficiari di prestazioni, come pure l’ammontare (e l’aumento) di talune tasse sulle decisioni adottate dall’Arp, con tanto di disparità di trattamento. Il tutto “in assenza di un chiaro regolamento che funga da linea guida”, nonostante la presidente “abbia dato la disponibilità a elaborarlo, senza però infine farlo”.

‘Gravi disfunzioni operative’

Terzo capitolo, la disorganizzazione del lavoro. A detta dei segnalanti la doppia funzione “è incompatibile con la mole di lavoro e porta a gravi disfunzioni operative”, facendo ricadere il tutto “sugli altri membri di Arp e sul segretariato, chiamato a svolgere mansioni non di sua competenza”. Le riunioni settimanali “non sono organizzate a dovere” e in quel frangente la presidente “trascorre il tempo leggendo e firmando documenti”. E così “importanti temi finiscono per essere rimandati”. Ritenuta deficitaria anche la modalità di gestione delle udienze “a causa del poco tempo che lei dedica alla mansione”, ciò che la rende “non adeguatamente preparata e non coordinata” con i collaboratori preposti. Inoltre “sovente lei prepara le decisioni prima delle audizioni, rendendo vano il confronto e l’approfondimento”. Criticata infine la forma, ossia il fatto di non usare la posta elettronica ma ‘post it’ per passare informazioni e di non redigere note d’incarto che sarebbero utili alla comprensione dei dossier.

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