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Protesi e cioccolato: dazio americano bifronte

La Smb Medical di Sant’Antonino e la Chocolat Stella di Giubiasco stanno vivendo agli antipodi la nuova imposizione di Trump al 39%

I rispettivi direttori Andrea Costa e Alessandra Alberti
(Ti-Press)
23 agosto 2025
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Dazi Usa al 39% per l’export elvetico: una stangata che dal 7 agosto mette sulla graticola centinaia di ditte svizzere. Particolarmente preoccupata Swissmem, l’associazione mantello dell’industria metalmeccanica ed elettrica, settore che esporta otto prodotti su dieci, di cui una fetta consistente negli Stati Uniti. Particolarmente colpite le piccole e medie imprese che rappresentano il 96% del totale: a rischio diverse decine di migliaia di posti di lavoro. In ambito medicale tira un’aria meno pesante. Come alla Smb Medical di Sant’Antonino che conta circa 200 dipendenti e produce protesi ortopediche esportate anche negli Usa: dal 2017 è di proprietà del gruppo francese Marle, il secondo al mondo per importanza nel settore.

Trumpiano convinto

Il direttore Andrea Costa è fra i pochi industriali a leggere positivamente l’agire di Trump. Lo aveva già fatto nel novembre 2021, intervistato da ‘Fare impresa’, portale gestito dall’Associazione industrie ticinesi, a sua volta oggi preoccupata di fronte all’offensiva lanciata dalla Casa Bianca per riequilibrare la bilancia economica col resto del mondo. Quattro anni fa alla domanda ‘Cosa la inorgoglisce?’, Costa aveva risposto “Presidenti che non hanno mai iniziato una guerra per ‘esportare’ democrazia e che si prendono cura del popolo cercando di mantenere un’identità culturale e storica”. E alla domanda ‘Qual è il personaggio storico o contemporaneo che ammira di più?’ aveva detto: “Donald Trump (contemporaneo), Vladimir Putin (contemporaneo), JFK (storico) e Abraham Lincoln (storico)”.

‘Meno superficialità più approfondimento’

Nel frattempo Putin ha avviato la guerra in Ucraina e Trump è tornato dettando legge commerciale. Andrea Costa però non cambia opinione, che avrà occasione di esporre dettagliatamente in una tavola rotonda prevista prossimamente da Camera di commercio e Ubs. Nel frattempo invita ad approfondire: «Nella politica e nell’informazione – spiega a ‘laRegione’ – vedo sui dazi superficialità, scarsa conoscenza e conclusioni affrettate. Eppure la Svizzera, per antonomasia il Paese del compromesso, dovrebbe essere in grado di approfondire e vedere la soluzione, specialmente di fronte a un Trump che agendo non come politico ma come ‘dealer’ spinge a sedersi a un tavolo per ottenere qualcosa. Invece qui si vuol far credere, a torto, che tutti o la gran parte dei circa 60 miliardi di dollari annui generati dall’esportazione elvetica verso gli Stati Uniti sarebbero ora tassati al 39%. Non è vero. Semmai le informazioni più recenti, risalenti a settimana scorsa e che ricavo direttamente dal sito delle autorità doganali americane, dicono che questo vale per i beni di lusso già disponibili negli Stati Uniti, che corrispondono a circa il 10% dell’export totale: citerei ad esempio orologi, pietre preziose e determinati alimenti, che già prima sottostavano a dazi attorno al 5-10%», fra cui il cioccolato elvetico mondialmente conosciuto.

‘Il 90% è duty free’

Andando nel dettaglio, Andrea Costa rileva che le principali categorie merceologiche elvetiche esportate e identificate dalle autorità doganali Usa sono prodotti farmaceutici per un valore di 11 miliardi di dollari, vaccini e affini per circa 10 miliardi, metalli preziosi e pietre preziose per 15 miliardi, orologeria per 6,4 miliardi, sostanze chimiche e organiche per 4,6 miliardi e il restante dispositivi medicali e affini. «Ebbene, il 90% di tutto ciò è ‘duty free’, senza dazi. Lo era prima ed è ora confermato come tale. Parlo di quei beni necessari, urgenti o di carattere umanitario connesso alla sanità di cui gli Usa non dispongono direttamente un’alternativa, poiché non in grado di produrla in tempi brevi. Come appunto, nel nostro caso, le protesi al beneficio di brevetti specifici. Ma aggiungo anche dispositivi medici, farmaceutica, biotech, metalli preziosi, chimica industriale e macchine a utensili».

Trenta tonnellate ferme

A un paio di chilometri di distanza, chi mastica molto amaro è Alessandra Alberti, direttrice della Chocolat Stella che impiega una cinquantina di persone ed esporta in una quarantina di Paesi. Ferme nel magazzino della ditta ha 30 tonnellate di cioccolato bio ‘fair trade’ specificatamente prodotte e imballate per un cliente americano che ha per il momento sospeso l’acquisto non intendendo pagare un dazio sestuplicato essendo passato dal 6 al 39%. «Siamo specializzati nella personalizzazione. Un punto di forza di cui andiamo fieri e che ci distingue dai grossi gruppi, ma che non può nulla di fronte all’ultima decisione di Trump». Per il momento, prosegue la direttrice, «non ci troviamo ancora nella condizione di dover far capo al lavoro ridotto. E ci stiamo attivando con ogni mezzo per trovare nuovi mercati e individuare altre opportunità di sviluppo».

Lunedì incontro strategico di Chocosuisse

Dal canto suo l’associazione di categoria Chocosuisse, la Federazione nazionale dei fabbricanti di cioccolato, ha agendato per lunedì prossimo una riunione strategica. Federazione che riunisce sia le ditte principali, sia quelle più piccole, come appunto quella di Giubiasco. Alberti fa parte del comitato centrale: «Il nostro direttore è in contatto con la Segreteria di Stato per l’economia e col Consiglio federale. Abbiamo suggerito che Berna si accolli la differenza fra il dazio applicato alla Svizzera e quello all’Ue del 15%. Vedremo. C’è grande incertezza e vogliamo capire, tutti insieme, cos’è possibile mettere in atto per parare il colpo. A preoccuparci maggiormente, qualora i dazi rimarranno così elevati, è la perdita definitiva dei clienti: una volta andati, è difficile se non impossibile recuperarli».