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La pioggia non ferma il popolo ProPal: ‘Stop al genocidio’

Almeno 2000 persone, nonostante la meteo inclemente, hanno sfilato da Largo Elvezia a Piazza Governo, in ricordo dei bambini uccisi dal 7 ottobre in poi

27 settembre 2025
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La pioggia e il freddo non hanno fermato il popolo dei ProPal che in occasione della giornata di protesta a livello nazionale ha inondato il viale della Stazione e Piazza Governo. Un lungo serpentone di ombrelli, per un corteo silenzioso e senza slogan che ha sfidato l’accanirsi della meteo per dire basta al genocidio in atto a Gaza e rendere omaggio a tutti i bambini uccisi dal 7 ottobre a oggi. Difficile stimare la partecipazione, ma sotto gli ombrelli si sono protette verosimilmente alcune migliaia di persone. Di certo, un successo, considerando appunto le condizioni atmosferiche tutto fuorché clementi.

Il percorso tra Largo Elvezia, punto di raccolta, e la fontana della foca prospiciente a Palazzo delle Orsoline, è stato scandito dalla lettura dei nomi delle migliaia di bambini morti nella tragedia di Gaza, a cominciare dalle giovani vite uccise nell’assalto del 7 ottobre. Un corteo di lutto, lo ha definito Nelly Valsangiacomo nel discorso che ha dato il via alla pacifica manifestazione: «E anche un corteo di indignazione per quanto sta accadendo in tutta la Palestina, per ciò che non si fa contro il governo di Israele, ma anche per quanto si continua a fare, senza vergogna, a favore del governo di Tel-Aviv. Che considera la Palestina un progetto immobiliare, con i cadaveri del genocidio come basamento degli hotel di lusso».

Corteo di lutto, ma anche di indignazione

Ma quello che ha attraversato le strade di Bellinzona è stato anche un corteo di resistenza: «Perché resistenza significa non piegarsi, non normalizzare la violenza sistematica, brutale e inumana. Resistere serve ed è un dovere morale. Davanti a uno sterminio non ci si può arrendere, non ci si deve arrendere».

E risposte come quella di Bellinzona sono importanti, perché secondo Nelly Valsangiacomo, «non bastano i social, non bastano i like, bisogna esserci in carne e ossa, fare comunità. Poiché come i fascismi, i nazionalismi radicali, xenofobi e razzisti, dividono, isolano, disumanizzano».

Una manifestazione di solidarietà e un appello civile e morale «a chi di dovere, a iniziare dalla Svizzera, affinché fermi lo sterminio, rispetti e sostenga il diritto internazionale e condizioni i rapporti con Israele al rispetto delle leggi e dei diritti umani. Perché Gaza oggi è un laboratorio di morte fisica e morale».

‘Come il ghetto di Varsavia’

Giunto in Piazza Governo, il serpentone ProPal ha applaudito altri tre discorsi. In particolare quello del dottor Pietro Maino, che nelle scorse settimane, con un gruppo di altri medici, ha effettuato uno sciopero della fame a staffetta davanti a Palazzo Federale… «E voglio iniziare con una premessa: sono figlio di un rifugiato ebreo accolto in Ticino, per cui non posso essere tacciato di antisemitismo. È anche per i valori ricevuti dalla mia famiglia che sono convinto di quanto sia importante essere qui oggi in piazza. A Gaza la popolazione sta vivendo una situazione simile a ciò che è stato il ghetto di Varsavia».

L’iniziativa dello sciopero della fame a Berna, secondo il dottor Maino è stata molto istruttiva: «Tre settimane durante le quali abbiamo conosciuto la commovente solidarietà della popolazione. Per noi era molto importante posizionarci anche rispetto a quanto sta succedendo ai nostri colleghi di Gaza, i quali sono morti in un rapporto due volte e mezza superiore rispetto al resto della popolazione. A dimostrazione di come la categoria sia stata bersaglio deliberato da parte dell’esercito».

Non tutta la popolazione, a dire il vero, si è mostrata solidale. O meglio, non tutti coloro che stavano dentro Palazzo Federale: «Soltanto gli esponenti di sinistra, con l’eccezione di qualche sparuto rappresentante del Centro, tra cui Giorgio Fonio, e del ginevrino Mauro Poggia dell’Msg, ci hanno pubblicamente sostenuti. Tutti gli altri hanno finto di non vederci. È stato estremamente deludente e a questa destra lo dobbiamo dire chiaro: non vogliamo che siate voi a rappresentarci!».

E secondo il dottor Manio c’è un altro aspetto grave e riguarda la Confederazione: «La bella notizia è che è stato deciso di accogliere 20 bambini da curare nei nostri ospedali. Non sono molti, ma è qualcosa. Tuttavia, a pagare dovranno essere i Cantoni, non Berna. E questo è sconcertante, perché è inammissibile che una Confederazione capace di trovare 250 milioni per acquistare i droni da Israele o sei miliardi per aerei da combattimento, debba riversare sui Cantoni il costo di un intervento umanitario come questo. E mi rende fiero il fatto che il Ticino sia stato uno dei Cantoni a rendersi disponibile. Fiero di aver lavorato per un Eoc che, quando gli è stato chiesto, non ha nemmeno voluto sapere quanto bambini sarebbero arrivati, ma ha risposto immediatamente in modo positivo».

Infine, Pietro Maino ha lanciato un appello alle nuove generazioni: «Mi fa piacere vedere così tanti giovani in piazza. La nostra generazione sta facendo uno scempio del mondo che vi lasciamo. Per favore, impegnatevi, toglieteci dalle mani il potere che adesso abbiamo e con il quale stiamo macellando questo pianeta».

‘A Gaza ci stanno aspettando’

In seguito, ha preso la parola Stefano Ferrari, il quale ha raccontato il suo approccio con la Flotilla in navigazione verso Gaza, della quale ha seguito tutti i preparativi dalla Sicilia. E con la quale c’è stato un tentativo di collegamento telefonico, purtroppo non riuscito: «Conoscendo la precarietà del segnale – ha affermato Ferrari – in mattinata ho provveduto a registrare un messaggio di saluto da parte i Vanni Bianconi, imbarcato su una Flotilla che è diventata l’emblema della non violenza nel mondo».

Un messaggio nel quale Bianconi ha fatto un sunto dell’esperienza a bordo delle barche in viaggio verso Gaza: «Anche se molti affermano che la nostra è un’impresa inutile, da Gaza riceviamo molti messaggi che dicono il contrario: ci aspettano, ci chiedono di portar loro ciò che abbiamo, ma soprattutto di portare noi stessi per rompere quell’assedio fatto di privazioni che dura da mesi, anni, decenni. E allora noi faremo tutto il possibile per portare a termine la nostra missione».

Ultima a parlare, Lilith Mattei ha chiamato in causa la politica svizzera, ricordando come lo scorso 11 settembre il Consiglio Nazionale abbia bocciato l’introduzione di sanzioni contro Israele, compresa l’interruzione della cooperazione militare. «E degli otto Consiglieri nazionali ticinesi, soltanto due hanno votato a favore. Come si concilia tutto ciò con la tradizione umanitaria svizzera e con il rispetto del diritto internazionale? Grazie alla nostra classe politica, la Svizzera rimane complice di un genocidio».

Mattei ha ricordato come esistano forti relazioni commerciali con Elbit Systems, ditta di armamenti israeliana, alla quale il governo svizzero ha assegnato contratti per 600 milioni di franchi, tra l’altro per l’acquisto di droni che la stessa Elbit pubblicizza affermando di averli testati sul campo da battaglia. «Chiediamo dunque al Governo l’immediata interruzione di ogni collaborazione con Elbit Systems, l’annullamento di qualsiasi contratto in vigore con aziende belliche israeliane, l’imposizione di sanzioni economiche contro Israele e il riconoscimento dello stato di Palestina. Senza queste misure la nostra neutralità è solo una menzogna ipocrita, un paragrafo nella nostra Costituzione svuotato di significato. Questa non è neutralità, questa è complicità», ha concluso Lilith Mattei.

Terminata la parte ufficiale – e con i primi raggi del sole a far capolino – la manifestazione si è conclusa in modo pacifico, proprio come era iniziata.