Bellinzonese

TPF: la difesa contesta le intenzioni terroristiche degli imputati

4 novembre 2025
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L'avvocato di uno dei due islamisti di origine balcanica, che si trova a processo davanti al Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona, ha contestato oggi l'esistenza di un'organizzazione terroristica sia a Ginevra che a Viti, in Kosovo.

Dopo che ieri sera il ministero pubblico ha chiesto una condanna a nove anni per il 37enne kosovaro considerato l'"emiro" dei "Fratelli di Ginevra", l'avvocato della difesa, Kastriot Lubishtani, ha chiesto l'assoluzione dall'accusa di partecipazione e sostegno a un'organizzazione terroristica, affermando che "in mancanza di meglio, l'accusa ha raccontato una storia, una storia senza consistenza".

Secondo l'avvocato, né i "Fratelli Viti" (dal nome della località del Kosovo da cui proviene la maggior parte dei membri del gruppo, ndr) né la sua filiale ginevrina avevano le caratteristiche di un'organizzazione di questo tipo: nessuna struttura gerarchica - ognuno faceva quello che voleva - nessuna organizzazione, nessuna sanzione, nessun addestramento, nessun atto di violenza, nessuna attività operativa.

"Ha creduto a un'utopia"

I "fratelli", a Ginevra come a Viti, erano certamente affascinati dal gruppo jihadista dello Stato Islamico (Isis) durante la sua ascesa, ma non credevano in una presa di potere con la forza nella regione del Kosovo, che sapevano essere irrealistica. "Hanno solo creduto per un momento in un'utopia"

L'avvocato ha paragonato l'appello dell'Isis ai migliaia di volontari stranieri che presero parte alla guerra civile spagnola nelle Brigate Internazionali (dal 1936 al 1939, ndr). L'emiro ha simpatizzato con la causa per un certo periodo, poi ha nutrito dubbi e alla fine ne ha preso le distanze. "La sua adesione era puramente intellettuale".

Il difensore ha contestato anche la corruzione di un procuratore in Kosovo. Secondo Lubishtani, l'accusa su questo punto è vaga e non regge. Questo magistrato non aveva l'autorità per chiedere una condanna, anche se è stato ammesso che era stato pagato con i fondi raccolti dai Fratelli di Ginevra.

Condanna lieve invocata

Dopo aver provato a smontare le accuse di riciclaggio di denaro e di favoreggiamento, l'avvocato è passato alla truffa per mestiere.

Se truffa c'è stata, l'aggravante dell'aver agito per mestiere non può essere soddisfatta, in considerazione delle somme coinvolte e del fatto che gli atti erano distribuiti su più di due anni. "Non c'è stata una delinquenza radicata, ma solo il desiderio di rimettersi in piedi", ha insistito l'avvocato.

Il legale si è quindi battuto per una riduzione della pena a un massimo di 15 mesi e una pena pecuniaria di 100 aliquote giornaliere, entrambe sospese, sottolineando inoltre che un'espulsione dalla Svizzera rappresenterebbe per l'imputato una "morte sociale".

Il 37enne ha già trascorso più di 3 anni in detenzione preventiva e in regime di esecuzione anticipata della pena. Una privazione eccessiva della libertà e un danno morale che dovranno essere risarciti, secondo il legale.

Tocca al difensore del secondo imputato

L'udienza prosegue oggi con l'arringa dell'avvocato del secondo imputato, un 34enne svizzero-macedone, già condannato tre volte in passato, per il quale la pubblica accusa ha chiesto nove anni e mezzo.

I due sono stati arrestati il 1° settembre 2022 dopo una lunga sorveglianza e da allora si trovano in carcere. Le accuse promosse dal Ministero pubblico della Confederazione (MPC) sono pesanti: partecipazione e sostegno a un'organizzazione terroristica, corruzione di pubblici ufficiali stranieri, riciclaggio di denaro, favoreggiamento, falso in documenti, truffa per mestiere e altri reati minori.

L'antenna "Fratelli di Ginevra"

I due, che ieri in aula hanno sostenuto di aver preso le distanze da ogni forma di radicalismo, sono in particolare accusati di aver sostenuto e finanziato i "Fratelli di Viti", creando e dirigendo tra il 2014 e il 2022 l'antenna svizzera chiamata "Fratelli di Ginevra".

Il kosovaro dirigeva l'antenna con il titolo di Emiro. I Fratelli di Ginevra venivano reclutati nella cerchia della moschea di Petit-Saconnex (GE) e dal 2016 in poi si sono concentrati sul finanziamento dell'organizzazione in Kosovo.

Secondo l'accusa, i fondi raccolti e poi inviati nei Balcani si collocano tra i 64'000 e i 77'000 franchi, ottenuti tramite partecipazioni, doni, ma soprattutto frodi alle assicurazioni sociali e crediti Covid. Nel 2016 i due imputati avrebbero pure immagazzinato e nascosto, in Kosovo, quattro fucili d'assalto Kalashnikov, una pistola e 3'000 proiettili.