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‘Il mio corpo attraversa i confini, i miei diritti e la mia dignità no’

La testimonianza di Alisina, 24enne afghano fuggito dall’inferno del centro migranti croato di Porin, dove era stato ‘spedito’ dalle autorità elvetiche

30 aprile 2025
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«Sono partito per cercare la vita, ma ora mi sento come se solo il mio corpo avesse attraversato i confini, non i miei diritti né la mia dignità».

Sono parole tanto sincere quanto crude e dirette, che colpiscono tra il cuore e lo stomaco, quelle che Alisina pronuncia dopo il suo ennesimo viaggio che più della speranza è ormai della disperazione. Il 24enne richiedente l’asilo afghano “accolto” per oltre due anni dalla comunità verzaschese è infatti dovuto fuggire dal centro per migranti in Croazia (primo Paese europeo in cui si era registrato) dove era stato “spedito” con la forza dalle autorità elvetiche dopo che la sua richiesta d’asilo in Svizzera era stata respinta.

Picchiato, insultato e umiliato senza motivo, anche dalla polizia

«Questa volta è stata ancora peggiore della prima – ci racconta da un luogo “sicuro”, dove è in attesa di conoscere il suo futuro –. Nel giro di cinque giorni, sono stato picchiato due volte dalla polizia croata senza alcuna ragione. Le violenze, gli insulti e le umiliazioni continue, oltre alle condizioni pessime di alloggio mi hanno costretto a scappare di nuovo».

Sì perché Alisina si era già trovato nella morsa del sistema di accoglienza (si fa per dire) croato oltre due anni fa, quando aveva lasciato il suo Paese d’origine «nella speranza di trovare sicurezza, dignità umana e un futuro migliore. Il 12 marzo 2022 sono fuggito dall’Afghanistan – ricorda –, dove la discriminazione etnica e le gravi ingiustizie rendono impossibile la vita. Dopo un viaggio di sette giorni, sono arrivato in Iran, dove ho lavorato per otto mesi in condizioni dure in una fabbrica a Mahmoudabad. Temendo il rimpatrio forzato da parte della polizia iraniana, sono stato costretto a partire di nuovo, utilizzando denaro preso in prestito e vendendo i pochi beni rimasti. Il mio viaggio dall’Iran alla Svizzera è durato 67 giorni, passando per condizioni estreme. Il 24 dicembre sono entrato in Grecia sotto il gelo invernale e ho camminato per 21 giorni consecutivi attraverso montagne e foreste fino a raggiungere Salonicco. Da lì ho proseguito, talvolta a piedi, talvolta in autobus o in treno. Durante tutto questo tempo mi ripetevo che, a 22 anni, potevo ancora studiare, lavorare e costruirmi una vita felice in Europa».

Una speranza che si è infranta una prima volta il 5 febbraio 2023, «quando sono stato arrestato dalla polizia croata mentre ero su un treno. Insieme a sei altri giovani afghani, siamo stati fatti scendere e trattati con insulti, umiliazioni e violenze verbali. Dopo due notti di detenzione in una stanza buia senza cibo, acqua o accesso ai servizi igienici, il 7 febbraio siamo stati trasferiti con un veicolo chiuso in un altro luogo, dove ci hanno preso le impronte digitali con la forza. Tre agenti mi trattenevano il petto e le braccia mentre altri due mi premevano le dita per ottenere le impronte. Dopo di che, mi hanno consegnato alcuni documenti in lingua croata, dicendomi semplicemente: “Firma, o ti deportiamo in Bosnia”. Spaventato e impotente, ho firmato quei documenti senza comprenderne il contenuto. Poi ci hanno detto che eravamo “liberi” e senza indugio ho proseguito il viaggio».

‘Avere delle competenze senza avere il diritto di vivere resta una ferita aperta’

Il 10 febbraio 2023 l’arrivo su suolo elvetico, con la speranza di «trovare finalmente protezione in un Paese conosciuto per la sua democrazia e il rispetto dei diritti umani. Purtroppo però anche in Svizzera ho affrontato gravi ingiustizie e senza aver commesso alcun reato, sono stato detenuto per un totale di 12 giorni in carceri in cui erano presenti criminali condannati per furti o traffico di droga. Quando raccontavo ai miei compagni di cella che ero lì solo per aver chiesto asilo, mi ridevano in faccia: “Richiedere asilo non è un crimine!”. Anche io mi chiedevo come fosse possibile che la semplice richiesta di protezione potesse essere trattata come un reato».

Nonostante le difficoltà, Alisina non si è arreso, anzi «durante i due anni e due mesi trascorsi nella confederazione (la maggior parte appunto in Valle Verzasca, ndr) ho iniziato a studiare online presso un’università, ho imparato da autodidatta anche l’italiano e ho aiutato volontariamente il cuoco di un ristorante, pensando che imparare un mestiere mi avrebbe aiutato. Ho imparato molto, ma avere delle competenze senza avere il diritto di vivere resta una ferita aperta. E alla fine, dopo più di due anni (e dopo che anche il Tribunale federale ha confermato il respingimento della sua domanda d’asilo), lo scorso 15 aprile sono stato nuovamente trasferito in Croazia».

Più precisamente nel Centro di Porin, struttura di Zagabria ormai tristemente nota per le condizioni disumane in cui vengono alloggiati i migranti… «Siamo stati sistemati in stanze sporche, piccole, senza elettricità, con bagni senza scarico e senza accesso ad acqua potabile. L’assistenza sanitaria era quasi inesistente e l’assenza di internet mi ha impedito di seguire le lezioni universitarie online, facendomi perdere un intero semestre. Il trattamento riservato ai richiedenti asilo nei campi inoltre era profondamente discriminatorio, gli operatori ci insultavano chiamandoci “spazzatura” e nel dormitorio l’abuso di sigarette, marijuana e alcol era la norma, con persone di altre stanze che venivano nella nostra per consumare droghe. Quando ho denunciato la situazione alle autorità del campo, mi è stato risposto: “Sei adulto, puoi farlo anche tu”. E dopo la denuncia, il comportamento dei miei coinquilini è peggiorato. Questa situazione ha avuto gravi conseguenze sulla mia salute fisica e mentale: stress, ansia cronica, insonnia e un senso permanente di insicurezza che mi hanno portato a fuggire di nuovo. Anche perché per quanto la Croazia sia un Paese bellissimo, io non sono fuggito dall’Afghanistan per la bellezza. Sono fuggito da pregiudizi, percosse e umiliazioni irragionevoli, che purtroppo ho ritrovato anche in Croazia e dalle quali sono dovuto nuovamente scappare, verso una vita sconosciuta».

In attesa di una nuova domanda d’asilo ‘voglio dare voce a chi soffre in silenzio’

Ora Alisina si trova al sicuro e si aggrappa alla speranza di una nuova domanda d’asilo alla quale un avvocato sta lavorando, ma è consapevole che potrebbe presto ritrovarsi nuovamente in un centro per richiedenti l’asilo… «Ho molta paura: della polizia, delle leggi ingiuste che calpestano i diritti umani, dei trasferimenti notturni operati dalle forze dell’ordine. Vivo nell’incertezza più totale. Ma ho deciso di raccontare (ancora) la mia storia affinché la voce di chi soffre in silenzio nei campi profughi e ai confini d’Europa possa essere ascoltata. Ignorare queste violazioni sistematiche dei diritti fondamentali significa perpetuare la sofferenza di persone che hanno sacrificato tutto nella speranza di una vita migliore».

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