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‘Non si rendono conto del male che stanno facendo al Festival’

Fa discutere il pensionamento del grande schermo di Vacchini. La figlia e architetto Eloisa: ‘Mio padre avrebbe detto: chi non ha ali non sa volare’

I caratteristici tubolari che costituiscono lo scheletro dello schermo ideato dal Vacchini
(Ti-Press)
4 luglio 2025
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«Mio padre sarebbe molto triste e deluso, ma poi allargherebbe le braccia e direbbe: “Chi non ha le ali non sa volare”». È anche lei triste e delusa, Eloisa Vacchini, architetto e figlia di Livio Vacchini, che nel ’71 aveva progettato l’iconico schermo gigante che nei 53 anni successivi avrebbe fatto la storia di Piazza Grande e del Festival del film di Locarno. Triste e delusa innanzitutto «perché mi è stato detto che i vertici del Festival sostengono di avermi informata della volontà di dismettere lo schermo e che io mi sarei persino detta d’accordo. Ma santo cielo, no! Non ne sapevo niente perché nessuno si è interessato al mio parere né in quanto figlia del progettista, né per curiosità storica. Intendiamoci: il Festival non ha nessun obbligo nei miei confronti, se non forse, eventualmente, uno di tipo morale. Ma il problema è un altro: non si rendono conto del male che stanno facendo alla rassegna: come si fa a non capire che eliminare i simboli che la governano è il modo migliore per mandarla a ramengo?».

Un passo indietro. In occasione dell’assemblea annuale del Locarno Film Festival i vertici comunicano la decisione di fare a meno, già a partire dall’edizione 2025, dell’iconico schermo progettato da Livio Vacchini. Nessuno reagisce e poi non se ne parla più fino all’altroieri, quando l’architetto ed ex municipale di Locarno, Michele Bardelli, esce con il suo “j’accuse” nei confronti dei vertici della rassegna per una scelta che secondo lui guarda a questioni come la logistica e l’economia ma dimentica la tradizione, elemento invisibile ma fondamentale, che determina il senso di appartenenza a Locarno, al suo Festival e alla sua Piazza Grande, per una consistente fetta di pubblico; cinefilo e non solo.

«I motivi per cui il Festival di Locarno si distingue da tutti gli altri sono molti – considera Eloisa Vacchini –. Uno, fortissimo, è ovviamente legato ai suoi simboli. Il primo è Piazza Grande trasformata nel ’71 in enorme sala da cinema a cielo aperto, grazie allo schermo gigante e alla cabina di proiezione». Fin qui tutto chiaro. Lo aveva confermato lo stesso Ceo del Festival Raphaël Brunschwig, ricordando che in un primo momento non ci credeva nessuno, poi il colpo di genio di Vacchini “è diventato l’elemento identitario del Festival. Sappiamo che la nostra forza internazionale dipende da quanto sono solide le radici che ci legano al territorio”.

Eppure. «Nel corso degli anni le strutture sono state modificate – prosegue Vacchini –, adeguate ai progressi tecnologici, alle nuove esigenze. Ma sempre con intelligenza, nel segno del rispetto che si deve ai simboli, ai loro creatori e anche alle persone che vengono a Locarno proprio per quello. Quella stessa gente lo ha recepito e attorno a questa resilienza si è creato un “mito locarnese”. Se tu, con determinate scelte, mini alle fondamenta proprio ciò che c’è di più importante, allora significa che non ci stai capendo proprio nulla».

Quando ha saputo dell’intenzione di eliminare l’iconica struttura ideata da suo papà?

Pochi giorni fa. La notizia mi ha scioccato. Mi sono subito chiesta come si possa pensare che sia possibile far funzionare anche per il cinema una struttura ideata per la musica e come pensasse la nuova dirigenza di poter fare a meno del simbolo stesso della rassegna. Ho pensato a uno scherzo poco riuscito, anche perché nessuno sembrava saperne nulla. Poi si è fatto vivo Michele Bardelli, insieme abbiamo letto un articolo online in cui mio papà veniva chiamato “Bacchini” e non abbiamo potuto non ridere ricordando la lunga serie di momenti di mancata considerazione o attenzione che ha ricevuto durante la sua carriera… Uno importante risale proprio al ’71.

L’anno in cui il Festival inaugurò il grande schermo in Piazza Grande.

Esatto. E sa con quale film? “Prendi i soldi e scappa”, di Woody Allen… Non vorrei sembrare irrispettosa, ma visto che la decisione di dismettere questo schermo storico è dovuta anche a questioni economiche, non le pare una coincidenza straordinaria? Ma dicevo: pensi che allora, all’inaugurazione della nuova Piazza Grande cinematografica che mio padre aveva sognato insieme ai suoi collaboratori, nella corsa ai preparativi l’organizzazione del Festival... si dimenticò di invitarlo! Così lui e mia mamma decisero di guardare i primi film dal balcone del suo ufficio. Poi però qualcuno si accorse della gaffe e si rimediò.

Ritiene che informare lei come figlia ed erede del “credo” architettonico di suo papà fosse un atto dovuto?

Su questo devo essere molto chiara: se qualcuno deve intervenire su opere di mio padre e sceglie di non chiamarmi, è liberissimo di farlo. Una committenza deve essere libera di lavorare con chi vuole e con persone di cui ha piena fiducia. Io sono solo la figlia che ha preso in mano lo studio di mio padre, oggi me ne occupo unitamente a mio nipote Simone, anche lui parente diretto del fondatore. Non esiste nessun obbligo di coinvolgerci. È successo a Losone con la palestra della caserma e in parte con le scuole medie. Nessun problema. Il problema è non avermi informata. Il problema è asserire di averlo fatto per ottenere un placet morale. Non solo non sapevo e non sono affatto d’accordo, ma considero questa scelta assolutamente scellerata, per molti motivi. Se mi avessero chiesto un parere, avrei potuto dare una mia opinione, uno storico, offrire un’interpretazione su determinati aspetti ai quali forse non avevano pensato.

Cosa avrebbe detto?

Che la questione logistica è solo una parte del problema. Prima c’è l’aspetto culturale. Locarno è soprattutto il Festival di Piazza Grande e la gente ci viene anche semplicemente per godere dello schermo di Vacchini. Ce n’è un sacco. Lo so perché in molti, ogni anno, si rivolgono direttamente a me. Penso agli studenti di architettura, molto interessati a com’era stato costruito; o a chi mi chiede di raccontare aneddoti sulla sua realizzazione, come Davide Gagliardi, l’attore che con Luisa Ferroni, il martedì mattina, propone visite guidate “teatrali” per conto dell’ente turistico, in cui una scena è ambientata nel ’71, quando mio padre ebbe quell’intuizione. Anche quello è un modo per raccontare a chi arriva a Locarno la storia dello schermo del Festival. Schermo che nel tempo è diventato un simbolo culturale unitamente alla Piazza stessa che lo accoglie: sono due simboli che vanno oltre la rassegna e la sua programmazione, perché sono il risultato di un pensiero sul cinema. Togliendo di mezzo i simboli sa cosa succede?

Secondo lei?

Crolla tutto, perché la gente non subisce più lo stesso fascino. Si parla di ragioni economiche, logistiche e di tempistica, ma bisogna stare attenti, perché qui ci si gioca l’immagine di tutto il Festival. E le dirò di più.

Prego.

Si ricorda cosa c’è sulla banconota da 20 franchi? Certo, e vedo che sorride: lo schermo del Locarno Film Festival. Che è appunto riconosciuto in Svizzera e all’estero come un simbolo di Locarno. Se tu lo cancelli per risparmiare una certa cifra, pensando di risparmiare perderai identità, toglierai alla gente il motivo per venire a Locarno e far parte di un luogo speciale con lo schermo “open air” tra i più grandi, se non il più grande, d’Europa (quanto più piccolo sarà quest’anno?). Questo ti porterà a perdere tutto, o quasi. La gente reagirà, si disaffezionerà, se ne andrà. È quello che succede quando togli di mezzo i simboli. Ciliegina sulla torta: saranno più i biglietti da 20 che usciranno dalle casse della rassegna di quelli che entreranno, lasciandoci più poveri sia fuori che dentro.

I vertici della rassegna non possono non saperlo.

Non credono al potere del cuore e della cultura, che è fatta di simboli e di condivisione della bellezza come atto sociale. E questo, conoscendo la cultura di chi ne è a capo, mi sorprende ancora di più. Come possono non capire una cosa così semplice? Secondo me in questa storia della collaborazione strutturale con “Moon and Stars” si sono fatti accecare dalla prospettiva di un risparmio. Hanno messo degli occhiali distorcenti e non vedono più chiaramente l’insieme. Non hanno minimamente preso in considerazione una perdita molto più importante, che è quella dell’anima della rassegna. La conseguenza è sempre la stessa: la gente alla lunga si disaffeziona e va da un’altra parte. Ho letto, nel racconto del discorso esposto all’assemblea, che sarebbe persino stato detto, ridacchiando, che qualcuno avrebbe di certo messo in piedi un’associazione per affittare la struttura in disuso. Questo la dice lunga su quanto grande sia la distorsione. E anche quanto lo scherno nei confronti di chi si oppone sia non solo fuori luogo, ma anche pericolosamente, estremamente inconsapevole del danno.

Che persona era suo papà e cosa avrebbe pensato della decisione di pensionare il suo schermo?

Il suo modo di vedere il mondo era talmente particolare che la gente gli dava dell’artista, nel senso di persona con una visione romantica delle cose, ma senza la necessaria attenzione per ciò che era considerato “importante” poiché legato al soldo. In realtà, grazie a quel suo sguardo completamente diverso riusciva a creare dei simboli che arrivavano al cuore della gente. Quando arrivi al cuore delle persone, queste sono pronte a venire a Locarno a passare le loro ferie invece di andare altrove. Tutti vogliono essere presenti quando la magia di un sogno, alle 21.30, si accende. Il guadagno è la conseguenza naturale e giusta di un colpo di genio. Osservando quindi un’operazione come quella in corso in Piazza Grande, mio padre si sarebbe arrabbiato moltissimo, avrebbe sofferto, ma poi avrebbe concluso che in certi casi è come lottare contro i mulini a vento; si sarebbe a poco a poco rassegnato a vedere che la città butta via un simbolo importante e identitario, per darsi agli arredi da fiera, quelli che non arrivano al cuore di nessuno.

In città già si parla di una raccolta firme per indurre il Festival a fare marcia indietro. Se venisse lanciata, vorrebbe avere un ruolo?

Certamente: se i promotori lo riterranno adeguato, sarò tra i primi firmatari. Alla Piazza Grande così come mio papà l’aveva intesa a favore del Festival sono legate la mia nascita (sono del 1971) e poi la mia crescita. Lo schermo e il modello di cabina di proiezione sono mio fratello e mia sorella. Come potrei fare altrimenti? Senza di essi il Festival perderebbe gran parte del suo significato. E le posso garantire che a pensarla come me sono in moltissimi: nel Locarnese e nel resto del mondo.

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