Parlano i progettisti della riqualifica degli spazi pubblici del centro urbano di Locarno: ‘Va bene un rinnovo, ma sempre tenendo alta l’ambizione’
«Se qualcosa si può e si deve contestare ai vertici del Locarno Film Festival, riguarda le modalità utilizzate, oggettivamente discutibili. Nel merito, invece, un ragionamento riguardo al rinnovamento può e deve essere fatto, ma in modo qualificato, ponderato e soprattutto condotto con l’aiuto di professionisti. Il che, a quanto ci risulta, non è purtroppo avvenuto. Si può cambiare, anche radicalmente, ma nel farlo bisogna mantenere alta l’ambizione».
Dal grande dibattito sulla dismissione forzata dello schermo di Livio Vacchini in Piazza Grande potevano anche chiamarsi fuori. Ma gli architetti Ludovica Molo e Felix Wettstein dicono di aver «sentito l’esigenza di esporsi». Il loro non è un pulpito qualunque, ma quello, oltremodo qualificato, dei progettisti della “Nouvelle Belle Époque”, la grande e delicata opera di riqualifica di tutti gli spazi pubblici del centro urbano di Locarno. Fra essi, Piazza Grande; uno spazio che, rimanendo le cose come quest’anno, durante i 10 giorni del Festival sarà deprivato del suo principale elemento architettonico: lo schermo gigante progettato dal Vacchini nel ’71, poi assurto a simbolo della rassegna e rimasto tale, su scala internazionale, fino all’inopinata decisione di mandarlo in pensione per questioni economiche, logistiche e di tempistica.
La precisazione di Molo e Wettstein è che «non abbiamo nessun interesse diretto nella questione, perché noi stiamo lavorando su ciò che è permanente». Tuttavia, «impegnandoci da qualche anno, proprio per la Città, sugli spazi pubblici del centro urbano, non possiamo non sentirci toccati molto da vicino da questa situazione».
Considera innanzitutto Ludovica Molo che «con lo schermo di Livio Vacchini parliamo di architettura temporanea, che per sua natura non è stata concepita per essere definitiva ma deve primariamente rispondere alle esigenze dei grandi eventi. Ma purché temporanea, in nessun caso va “pensionata”, buttata o venduta, perché fa parte del patrimonio del Festival ed è molto bello e importante che il pubblico della rassegna si riconosca in questi simboli dell’architettura ticinese. Va ricordato e sottolineato che per creare quei simboli il Festival era andato a cercare un grande architetto. E già quello era stato un passo unico. Oggi, se vuole rinnovarsi, è necessario che non dimentichi il passato e anzi faccia la stessa cosa».
Ma, prosegue Wettstein, le cose sono andate diversamente: «In effetti sembra che non vi sia stato il coinvolgimento di un architetto. Questo è un peccato, esattamente come lo sarebbe cedere sull’ambizione di fare le cose per bene che sempre ha caratterizzato il Locarno Film Festival. Possono cambiare le esigenze, possono emergere necessità di tipo economico, logistico o dal punto di vista della tempistica (come sembra sia il caso oggi), ma applicando una nuova soluzione non ci si può limitare a un approccio tecnico, economico e funzionale. Se è così, la critica dev’essere ferma. Serve una soluzione che tenga alta la qualità, con qualcuno che accompagni il processo». Qualcuno che, per dirla con Molo in riferimento alla collaborazione logistica fra “Moon&Stars” e il Locarno Film Festival, «pensi a un elemento-cerniera di assoluto valore architettonico».
Proprio a proposito della struttura affittata, che serve prima a “Moon&Stars” da palco per i suoi concerti, poi rapidissimamente si può trasformare in grande schermo per il Festival, l’architetto Wettstein fa un distinguo importante: «Quello che è stato fatto con questa nuova struttura non è architettura, ma scenografia; e nella scenografia nessuno guarda l’architettura. Ben diverso è il discorso del Festival, che ragiona sull’architettura nello spazio perché ha sempre avuto un’ambizione tanto alta da ragionare su un tema come l’impalcatura di uno schermo».
Dunque, affermano i due architetti, «si può cambiare, anche radicalmente, ma ogni passo, nel caso del Film Festival, dev’essere svolto all’insegna della qualità. Il “come” non lo sappiamo; sappiamo per contro con certezza che non dovrà essere fatto come quest’anno (un anno che confidiamo venga considerato solo come un anno di prova)».
Per Wettstein e Molo la strada da percorrere non è quella della difesa a oltranza dello schermo del Vacchini quale unica soluzione logistica e architettonica per Piazza Grande: «No. Piuttosto, il ragionamento va fatto a proposito di un riuso, che secondo noi non solo è possibile, ma anche auspicabile. A Locarno ciò dovrà scaturire da un processo creativo che porti a una soluzione permanente».
Wettstein, in particolare, in qualità di membro della giuria per la riqualifica della Rotonda di Piazza Castello (concorso poi vinto da Bartke Pedrazzini Architetti di Locarno con “Un giardino per la città”) considera che «un riuso della struttura può essere valutato insieme ai vincitori del concorso; forse addirittura come elemento orizzontale, come tettoia o pergola. Ma non mi fermo in Rotonda: un ragionamento potrebbe essere fatto anche attorno al Forum @ Spazio Cinema (dietro il Palexpo Fevi), ad esempio mettendo il reticolato dello schermo come tetto, o pergolato, sopra una superficie che serva tutto l’anno, anche per altre attività che vengono svolte su quella vasta area a disposizione dei cittadini». Insomma: «Una vera, approfondita ponderazione delle diverse opportunità presenti», come considera Wettstein, che si dice «d’accordo con l’architetto Buzzi quando sostiene che Livio Vacchini sarebbe stato stimolato dalla ricerca di un riutilizzo della sua struttura nel momento in cui esso si fosse dimostrato lo sviluppo naturale e inevitabile».
La conclusione dei due architetti della “Nouvelle Belle Époque” è la seguente: «Una città non è mai completamente costruita o completamente pensata. Le situazioni complesse portano spesso a soluzioni creative e inaspettate. Il riutilizzo di una struttura temporanea di alta qualità architettonica quale è lo schermo del Vacchini dovrebbe essere possibile, ma sempre nel rispetto di quella stessa alta qualità».