Il Servizio per l’integrazione degli stranieri ricorda le libertà costituzionali. Quadri replica alla Sinistra. Foletti: ‘Dispiace per la ragazza’
Non si placa la polemica sollevata dall’attacco de ‘Il Mattino della Domenica’ (Mdd) contro Ail Sa. Sulla sua ultima edizione il settimanale di via Monte Boglia, ricordiamo, ha duramente criticato la campagna per i posti di apprendistato 2025-26 delle Aziende industriali di Lugano, per la scelta di sponsorizzarla tramite un’apprendista con il velo. Non un velo che copre il viso, quindi nessuna infrazione della Legge sulla dissimulazione del volto negli spazi pubblici, ma tanto è bastato per parlare di “velo islamico, simbolo di mancata integrazione e di rifiuto dell’Occidente”. Di mezzo c’è andata però una ragazza in carne e ossa, l’apprendista in questione, che è stata difesa dalla direzione di Ail.
La vicenda è sbarcata a Palazzo civico, con Sinistra e Verdi che hanno interpellato il Municipio chiedendo di prendere posizione e soprattutto se il municipale Lorenzo Quadri, capodicastero Formazione e socialità nonché direttore del Mdd, sia al posto giusto o meno. Tra i punti sollevati, la libertà d’espressione. Un aspetto, questo, ripreso anche dal Servizio per l’integrazione degli stranieri del Dipartimento delle istituzioni, al quale abbiamo chiesto di commentare la vicenda. «Non entro nel merito delle scelte aziendali, ma dal punto di vista del Servizio – ci dice la delegata Michela Trisconi – accogliamo con grande favore l’impegno delle aziende sul territorio a sostegno della formazione dei nostri giovani. In questo caso, parliamo di una giovane apprendista che si sta formando in un settore chiave del nostro sistema educativo, strettamente legato alle esigenze del mercato e della società. Chapeau a lei!».
E il fatto che indossi un velo? «Non dovrebbe avere alcuna rilevanza: ciò che conta davvero sono le competenze e la formazione dei nostri giovani». Ma il velo può essere definito “simbolo di mancata integrazione”? «Assolutamente no. È fondamentale ricordare che sia l’articolo 15 della Costituzione federale sia l’articolo 8 della Costituzione cantonale garantiscono la libertà di coscienza e religione. L’idea che una persona che lo indossa non sia integrata – aggiunge la nostra interlocutrice – è uno stereotipo, se non addirittura un’espressione di razzismo antimusulmano, come lo dimostrano recenti studi scientifici su questo tema. Questa visione non riflette del resto la realtà del nostro cantone, dove operano diverse associazioni di pubblica utilità composte anche da persone musulmane, che propongono numerose attività socioculturali che rafforzano la coesione sociale e l’integrazione».
Proprio l’integrazione nell’ambito della diversità religiosa è un aspetto importante per il Servizio. Tanto che proprio ieri è stata presentata la nuova cartografia della diversità religiosa in Ticino, che «offre uno sguardo approfondito sulla ricchezza spirituale del territorio, considerando anche le numerose attività di oltre 500 comunità religiose a favore della collettività». E «per costruire una società sempre più diversificata dal punto di vista religioso», osserva Trisconi, «è essenziale riconoscere la presenza consolidata di numerose comunità al di fuori della tradizione cattolica, che ha storicamente caratterizzato il territorio. È altrettanto importante valorizzare il loro contributo alla vita sociale del cantone, attraverso attività socioculturali e iniziative di solidarietà che arricchiscono l’intera collettività. Queste realtà favoriscono il dialogo interculturale e la conoscenza reciproca delle religioni, contribuendo così a superare stereotipi e pregiudizi».
Questa dunque la ricetta di chi per lavoro si occupa di integrazione. Il tema tuttavia, come detto, è anche politico. Abbiamo interpellato Lorenzo Quadri per una replica alle critiche di Sinistra e Verdi. «Premetto che non era chiaro che si trattasse di una persona concreta, sarebbe potuta tranquillamente essere una modella o una figura realizzata con l’intelligenza artificiale – osserva il municipale leghista –. Il tema non è la persona ma il messaggio che si veicola con quest’immagine che compare sulla pagina d’apertura del sito dell’Ail, un’azienda pubblica». Non era quindi un attacco a lei? «No. L’articolo è stato travisato. Non si discuteva l’integrazione di quella persona singola e non era un attacco a lei. Il problema non è quella singola persona lì». Che cosa lo è dunque? «Il messaggio e quel che rappresenta in generale il velo islamico. Ricordo che l’Unione europea aveva fatto delle campagne sull’integrazione con le donne con il velo e le ha dovute ritirare». Però quelle erano campagne sull’integrazione, questa è legata agli apprendistati, sono due cose distinte. «Ribadisco: si sarebbe potuta scegliere una foto di un gruppo di apprendisti, fra i quali anche una ragazza con il velo. Così sembra una propaganda al velo islamico». Ma quando avete saputo che si tratta di una ragazza ‘vera’, non vi è dispiaciuto che sia finita nel mezzo della polemica? «È colpa di chi ha fatto questa scelta di marketing, si tratta di un’immagine divisiva. E le polemiche lo dimostrano: in redazione è arrivata una pioggia di segnalazioni».
Oltre a difendere la decisione di pubblicare l’articolo sul domenicale, Quadri respinge le critiche del fronte progressista. «La loro interpellanza è strumentale ed è un attacco farneticante e vergognoso alla libertà di stampa e di espressione – valuta –. C’è un pieno diritto di criticare questo tipo di scelta da parte di Ail, da parte di un giornale che ha una linea che non decidono né il Municipio né tantomeno il Consiglio comunale (Cc). È l’ennesima dimostrazione di intolleranza e isteria della sinistra, che si riempie la bocca con la pluralità delle opinioni ma poi non tollera le opinioni diverse dalla propria e tenta di censurarle e di criminalizzarle. E ci aggiungono gli attacchi al sottoscritto». A questi come replica? «Non è di competenza del Cc decidere sull’attribuzione dei dicasteri, come non è competenza del Municipio decidere dove una società partecipata fa pubblicità e dove no (in riferimento alle pubblicità di Ail sul Mdd, ndr). Dimostrano di non avere alcuna conoscenza della governance. Oltre a dimostrare di non sapere nulla neanche di Islam».
Sulla vicenda, infine, abbiamo consultato anche il sindaco Michele Foletti, che spiega che in Municipio l’argomento – anche dell’attribuzione dei dicasteri – non sia stato tematizzato. «Non ero a conoscenza del fatto che Ail facesse promozione tramite i propri dipendenti – premette –. Mi dispiace per la ragazza se si sia sentita in qualche modo attaccata. Ma l’articolo sul Mdd era, dal mio punto di vista, un attacco alla scelta aziendale, non a lei. E d’altra parte, posso capire che qualcuno abbia preso la scelta di Ail come provocazione». Perché? «Un’azienda pubblica, che peraltro opera in un mercato vincolato, dovrebbe essere la più neutrale possibile. Forse, il messaggio di inclusività che magari volevano lanciare, non era da fare sui posti d’apprendistato».