Un 36enne pregiudicato è stato condannato per aver spacciato 10,4 chili di cocaina. Oltre alla vendita, gestiva altri spacciatori
Non un semplice venditore di cocaina, ma «un basista». Il ruolo del 36enne, comparso ieri e oggi davanti alla Corte delle Assise criminali, non era solo quello di vendere droga, ma anche di organizzare una rete di spacciatori attivi soprattutto sulla piazza luganese. Il presidente della Corte Amos Pagnamenta, con i giudici a latere Luca Zorzi ed Emilie Mordasini e gli assessori giurati, ha deciso di confermare la proposta di pena della procuratrice pubblica Margherita Lanzillo e di condannarlo a 9 anni e mezzo di carcere e a 15 anni di espulsione dall’area Schengen per i reati di infrazione aggravata alla Legge federale (Lf) sugli stupefacenti, riciclaggio di denaro aggravato e ripetuta contravvenzione alla Lf sugli stupefacenti.
Durante la prima giornata di dibattimento, si è discusso principalmente degli episodi descritti dalla procuratrice, in cui erano stati venduti da 210 grammi a 3,5 chili di cocaina, per un totale di poco oltre gli 11 chili. Per quasi ogni vicenda, la quantità di droga era stata stimata sulla base delle dichiarazioni dei correi, alcuni dei quali erano già stati condannati da altre corti delle Assise criminiali. Tuttavia, l’avvocato difensore Cristina Faccini ha messo in dubbio la credibilità di alcune di queste dichiarazioni, cercando di ridurre la quantità di droga imputata al 36enne. Pagnamenta, però, ha confermato la versione dei correi, sottolineando che «il suo coinvolgimento è spiegato dal vasto universo di spacciatori con cui si è interfacciato. È evidente che le persone sentite sono credibili. Le dichiarazioni sono state fatte senza interessi personali, e in alcuni casi i correi hanno pure aggravato la loro posizione processuale». Infatti, nell’ultimo episodio in ordine cronologico, uno dei suoi soci in affari ha ammesso di essere stato coinvolto, insieme al 36enne, nella vendita di 3,5 chili di cocaina. «Gli spacciatori, di solito, hanno interesse a ridurre i quantitativi e spesso viene ricostruita solo la punta dell’iceberg – ha continuato Pagnamenta –. In questo caso, però, alcuni hanno dichiarato quantità maggiori di quelle inizialmente individuate». I quantitativi sono stati quindi solo stimati: «A distanza di diversi anni dal primo episodio, non è immaginabile determinare al grammo la quantità trafficata». Comunque, sottolinea, «il 36enne ha ammesso di aver trafficato cinque chili di cocaina». Tenendo conto di quanto dichiarato dall'uomo, delle stime fatte dai correi e di alcune dichiarazioni «esagerate», la Corte ha ritenuto il 36enne colpevole di aver spacciato 10,4 chili di cocaina, anziché gli 11 proposti nell’atto d’accusa.
Ad aggravare ulteriormente la situazione del 36enne albanese, c'è anche il ruolo che ricopriva nell'organizzazione internazionale di cui faceva parte: «Appena uscito dal carcere, dopo essere stato condannato in Francia a causa di vendita di eroina, ha ripreso a spacciare, e da semplice venditore, in poco tempo ha scalato le gerarchie, diventando un basista. Ha facilitato l'arrivo di connazionali sul nostro territorio, fornendo loro la cocaina da rivendere, una casa dove risiedere e i clienti, per poi riportarli in Italia quando il loro periodo era terminato. Non a caso era stato soprannominato ‘Logistica’». L’uso di differenti nomi e alias, fino anche «cambiare cognome con un matrimonio di comodo» gli hanno permesso di «muoversi con abilità nel nostro territorio per cinque anni scomparendo ogni volta che i tempi diventavano grami». La sua colpa è stata considerata grave, in quanto ha agito esclusivamente «per guadagnare soldi in modo rapido, mettendo in pericolo la salute pubblica. Lo spaccio era la sua unica attività e, fino all’ultimo, ha negato l’innegabile, dimostrando di non volersi assumere le sue responsabilità».