In occasione dell’anniversario, il direttore di Unitas Gian Luca Cantarelli traccia un bilancio di Casa Andreina con lo sguardo rivolto al futuro
Musica, arte e cultura assumono dal 1995 un ruolo significativo nei programmi di Casa Andreina grazie alle attività all’interno della struttura. Questo è quello che contraddistingue il centro diurno di Unitas che negli anni si è trasformato nel luogo in cui lo scopo è quello di interagire tra persone cieche e non. A parlarne, nel trentesimo anniversario, è Gian Luca Cantarelli, direttore Unitas Associazione ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana.
Casa Andreina grazie ai suoi spazi accoglienti e funzionali è, in questo trentennio, diventata il punto di riferimento per le persone cieche e ipovedenti, permettendo loro di prendere parte alle numerose attività proposte da Unitas in una struttura, quella di Lugano-Ricordone, dotata di accorgimenti che permettono agli utenti di passeggiare in totale autonomia e sicurezza. Durante la giornata di festa, celebrata lo scorso 19 marzo, è stato presentato l’edificio completamente rinnovato, questo in quanto, spiega Cantarelli, «dopo trent’anni aveva bisogno di una serie di interventi. In questo modo abbiamo riconsegnato ai soci un centro completamente rinnovato e, con l’aiuto dei colleghi che si occupano della consulenza per le persone cieche e ipovedenti, abbiamo dotato il centro di tutti gli ultimi accorgimenti per la mobilità interna delle persone con disabilità visive». Così Casa Andreina «da piccolo centro riservato a una cerchia ristretta di utenti, è andato aprendosi sempre più verso l’esterno», come testimoniano Cantarelli e Mario Vicari, socio di lunga data di Unitas.
Tra le varie iniziative proposte dal centro vi è anche il progetto Moscacieca, che da circa una quindicina di anni si impegna nel campo della sensibilizzazione con le cene al buio. Queste, diventate un’offerta in continua crescita, hanno la doppia finalità di ingaggiare un gruppo di ciechi e ipovedenti come camerieri, invitando la popolazione a immergersi in un’importante esperienza sensoriale. Sempre in merito alla festa, riferisce Cantarelli «abbiamo avuto oltre un centinaio di persone che hanno partecipato e apprezzato il programma presentato. Inoltre, soprattutto grazie all’aiuto dei colleghi del centro diurno e della biblioteca abbiamo raccolto immagini e suoni in una testimonianza riassunta poi nel progetto ‘30 minuti, 30 anni di casa Andreina’». Si è dunque percepito, spiega il direttore un «forte attaccamento e affetto nei confronti di Casa Andreina». A fare da padrona alla giornata è stata dunque la celebrazione dell’inclusione, della storia e della comunità, grazie a un viaggio tra passato e presente, dove emozioni, luci e musica si sono intrecciate anche grazie al contributo di Ivan Dalia, pianista cieco noto per la sua capacità di trasformare ogni nota in emozione.
Per quanto riguarda il futuro, a Cantarelli chiediamo quali possano essere le principali difficoltà che le persone cieche e ipovedenti affrontano nella società. Ci sono ancora discriminazioni o barriere da superare? «Oggi c’è senz’altro una buona conoscenza delle difficoltà che una persona cieca o ipovedente incontra per strada – ci dice –, mentre meno conosciute sono le quotidiane sfide nel gestire la propria vita quotidiana in autonomia come cucinare, fare la spesa, pulire casa, seguire i propri figli nei compiti, gestire la corrispondenza e molto altro. Dover chiedere o accettare un aiuto non è semplice a nessuna età». Per questo, «viene molto apprezzato il lavoro che, come Unitas, svolgiamo nell’ambito delle sensibilizzazioni con le scuole, le associazioni e diverse categorie professionali per rendere la società maggiormente consapevole rispetto a queste tematiche. Inoltre, un altro obiettivo è far capire quali sono i mezzi a disposizione per facilitare l’inclusione sociale delle persone con una disabilità visiva e al contempo ci siano sempre meno barriere architettoniche nelle nostre città e le persone con disabilità possano muoversi più autonomamente».
L’inclusione professionale è un altro tema molto importante, in quanto «il sopraggiungere della disabilità visiva non permette di continuare a svolgere il lavoro esercitato in precedenza. Ed è qui che il progresso tecnologico aiuta». Ciò purtroppo non basta, in quanto la tecnologia, secondo Cantarelli, «è al contempo amica per i più tecnologici, che possono ora svolgere in autonomia una serie di compiti e accedere al mondo digitale in autonomia, e nemica per altri». Ciononostante si sta assistendo a un’evoluzione: «Sono sempre più le persone che, anche se non native digitali, utilizzano le nuove tecnologie al sopraggiungere della disabilità visiva. Da parte nostra abbiamo creato le premesse per disporre di una figura che si occupi regolarmente delle problematiche, a volte puntuali – come, ad esempio, l’etichettatura delle merci nei grandi magazzini –, altre volte più complesse – attualmente ci stiamo occupando del tema dell’audiodescrizione con la Rsi –, al fine di agevolare l’inclusione nella vita sociale».
Dal 2015 Casa Andreina è finanziata dall’Ufficio Anziani e Cure a Domicilio del Cantone, ma questo non toglie che il centro sia aperto a tutti, come sottolinea Cantarelli: «Casa Andreina è a tutti gli effetti uno dei 17 centri diurni socioassistenziali presenti in Ticino. Naturalmente, essendo un po’ la casa di Unitas, la parte di pubblico cieco e ipovedente è preponderante. Nonostante ciò, abbiamo moltissime persone, anche giovani, che frequentano i corsi che organizziamo. Un’altra cosa bella che vediamo con i nostri utenti è l’aiuto reciproco tra di loro».
L’esempio avanzato dal direttore è soprattutto in materia tecnologica, come l’utilizzo delle applicazioni sui telefonini. Oggigiorno, infatti, ci sono sempre più app che vengono utilizzate da ciechi e ipovedenti per le loro differenti necessità. «È bello vedere come spesso abbiamo degli utenti, vuoi perché di età più giovane o perché hanno maggiori competenze tecnologiche, che in questa forma aiutano l’altra persona».