Si terrà il 21 maggio la prima veglia di questo tipo in una chiesa cattolica ticinese. Il coordinatore del progetto: ‘Più dialogo fra Lgbt+ e Chiesa’
Una novità assoluta che rappresenta anche un tassello di una svolta storica. Il 21 maggio, la Basilica del Sacro Cuore di Lugano ospiterà una veglia di preghiera per il superamento dell’omobitransfobia, ovvero la paura – che può sfociare in disagio, disprezzo o peggio – verso le persone che non sono di orientamento eterosessuale o che hanno un’identità di genere diversa da quella assegnata alla nascita. La organizzano l’Azione cattolica ticinese (Act), la Chiesa cattolica cristiana della Svizzera e la Chiesa evangelica riformata ticinese. E se le ultime due sono note per posizioni relativamente progressiste in ambito sociale, quantomeno per i parametri ecclesiastici, a stupire è l’Act, erede di una storia ben più conservatrice. Ne abbiamo parlato con Emilio Motta, coordinatore del progetto ‘La Porta Aperta’, nato proprio in seno all’Act.
«Si tratta di veglie che esistono da tanti anni, in molti Paesi, organizzate dalle comunità cristiane di solito a maggio» ci spiega. Perché maggio? «Perché il 17 maggio 1990 l’Organizzazione mondiale della sanità ha derubricato definitivamente l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali e quindi si fa per rimarcare quest’anniversario». E in cosa consistono? «Si tratta di preghiere ecumeniche e universali, non sono rivolte al superamento dell’omobitransfobia in un ambiente particolare, come potrebbero essere la Chiesa cattolica o il Ticino, ma sono rivolte a tutte le persone perseguitate per quello che sono e per quelli che amano. In tutto il mondo. Persone che vengono discriminate, malmenate, incarcerate, uccise, per via del loro orientamento o della loro identità di genere. È un problema che riguarda tutta la comunità umana. Ancora oggi ci sono più di sessanta Paesi al mondo che criminalizzano l’omosessualità e alcuni di questi applicano persino la pena di morte».
Motta ci svela che quella in programma non è del tutto una novità. «In realtà, in Ticino era già stata fatta una veglia di preghiera nel 2018, in occasione del Pride. Allora però la Chiesa cattolica non era coinvolta». Come si è arrivati al coinvolgimento? «L’iniziativa rientra nel progetto ‘La Porta Aperta’, nato proprio allo scopo di iniziare un dialogo tra la comunità Lgbt+ ticinese e la Chiesa cattolica. Si tratta di un percorso iniziato già lo scorso anno su vari temi, tra i quali la sessualità, e lo scorso novembre si è anche tenuta a Lugano la conferenza ‘Gay o cattolico? Chi sono io per giudicare’, citando la famosa frase di Papa Francesco, artefice dell’apertura della Chiesa cattolica su questi temi. Lì è stata colta la necessità di aprire uno spazio di dialogo nella comunità dei credenti, rivolto alle persone Lgbt+, ai loro famigliari o amici, o anche solo agli interessati, per condividere il cammino di fede in uno spazio inclusivo e non giudicante, in maniera sicura».
Un messaggio che nella Chiesa ha faticato e tuttora fatica a passare. «Proprio per questo ci vuole. Invece di trincerarsi dietro a muri, bisogna piuttosto costruire dei ponti. Il dialogo naturalmente non è interno solo ad Azione cattolica. Abbiamo parlato anche con l’amministratore apostolico Alain de Raemy, che è stato informato del progetto e della veglia». Che riscontro avete avuto? «Non abbiamo ricevuto alcuna obiezione, anzi ci è parso che siano stati accolti con favore. Poi abbiamo chiesto ospitalità, che ci è stata offerta dalla Basilica del Sacro cuore di Lugano, che ringraziamo». Essendo una veglia ecumenica, precisa Motta, non riguarda solo i cattolici e il dialogo tra la comunità Lgbt+ e la Chiesa cattolica, ma tutti i cristiani. E trattandosi di un progetto, in cos’altro consisterà? «Questo è un primo passo, anche per presentarci, di un percorso che vorremmo lungo e ricco. Poi ci piacerebbe organizzare iniziative, incontri, momenti di formazione e di dialogo aperti a tutti».
Il nostro interlocutore racconta dei numerosi feedback positivi ricevuti. Sui social però non è mancato neanche qualche post critico, anche da parte di chi fa politica, che ha parlato di propaganda woke o gender. «Se la sensibilità di qualcuno è urtata, basta non venirci – replica Motta –. Finché le obiezioni rimangono entro limiti civili, si può dialogare senza problemi ovviamente. Se invece, come troppo spesso accade, i toni iniziano ad alzarsi, allora a mio giudizio vanno ignorati: non vedo nulla di costruttivo nell’entrare in discussioni di basso livello. Noi siamo sereni: l’intento è positivo e non c’è assolutamente nulla di controverso. Si prega per la pace e per il superamento delle discriminazioni di una parte della società. In questi giorni è stato ripetuto più volte quanto questo sia stato un messaggio di Papa Francesco».
Un Papa importante da questo punto di vista, sebbene ci siano stati soprattutto recentemente alcuni scivoloni anche da parte sua. A giorni inizierà il conclave per decretarne il successore, che aspettative avete? «Per noi l’ideale chiaramente sarebbe un Papa che si ponga in continuità con quanto iniziato. Dal nostro punto di vista, di comunità Lgbt+ cattolica, avremmo forse voluto qualcosa di più, avrebbe magari potuto cambiare la dottrina, il catechismo, la prassi. Ma Francesco ha comunque fatto tanto, nessun suo predecessore ad esempio aveva mai avuto un rapporto così profondo con la comunità delle persone transessuali di Roma. Con le sue azioni, in pochi anni, ha fatto più di tutti i predecessori messi assieme. Vedremo se quando faremo la veglia avremo già un nuovo Pontefice o meno. Speriamo quindi che il successore continui nel suo solco, portando ulteriori aperture e cambiamenti». La veglia, per chi fosse interessato, si terrà il 21 maggio dalle 20.30.