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‘Non si è accontentato della sua porzione di eredità’

Al processo per amministrazione infedele qualificata l'accusa chiede condanne di 36 mesi da scontare; la difesa l'assoluzione piena

(archivio Ti-Press)
27 maggio 2025
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Una «fattispecie familiare» legata a «una donazione contestata che lo zio avrebbe fatto a favore del nipote. Reati economici che potevano essere gestiti diversamente e discussioni che definirle scellerate è elegante». Così la procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti ha riassunto i fatti che la Corte delle Assise criminali, presieduta dal giudice Paolo Bordoli, sta esaminando da lunedì. Un caso di ripetuta amministrazione infedele qualificata, e istigazione alla stessa, che ha portato alla sbarra un 57enne svizzero e un 53enne italiano. A essere contestata è la firma dello zio, oggi 92enne, di quest'ultimo, e il conseguente passaggio delle azioni di due società e un patrimonio stimato in circa 70 milioni di euro al nipote. Al termine della sua requisitoria, la procuratrice ha chiesto per entrambi una pena di 36 mesi di detenzione, senza opporsi a una sospensione parziale. Se confermata dalla Corte, i due dovranno trascorrere almeno 6 mesi in carcere, anche nella forma della semiprigionia o degli arresti domiciliari. «Malgrado il tempo trascorso – ha detto Rigamonti – si parla comunque di malversazioni milionarie». Per entrambi la colpa e i reati commessi sono stati definiti «gravi». A «quantificare negativamente la colpa del 53enne c’è l'aver agito contro lo zio, un parente che lui stesso indica come una figura paterna. Sfruttando la sua influenza si è adoperato per salvare il patrimonio di famiglia dal fisco italiano». Per l'accusa «non ci sono dubbi che il 57enne abbia agito nella sua qualità di rappresentante, approfittando del fatto che da un po’ di tempo la gestione dei beni era stata lasciata al nipote e che quindi lo zio non avrebbe chiesto particolari informazioni».

‘Contestata sin dal primo verbale’

Il caso è arrivato in aula quasi 15 anni dopo la firma contestata (che risale all'8 giugno 2010, «siamo quindi a 5 minuti dalla prescrizione») e sei anni dopo la denuncia del 92enne. «Periodi importanti – ha ammesso Rigamonti –, ma le perizie grafologiche non hanno aiutato la celerità». Una prima perizia giudiziaria «ha indicato che la firma era autentica, da qui la decisione di un decreto d'abbandono». I legali del 92enne hanno però presentato un reclamo alla Corte dei reclami. Il successivo esame calligrafico ha concluso che la firma era contraffatta. In virtù del principio ‘in dubio pro duriore’, tocca quindi alla Corte delle Assise criminali esprimersi. Già durante la denuncia, l'anziano ha dichiarato «di non aver mai avuto intenzione di cedere tutti i suoi beni, ma solo affidarli al nipote». La denuncia ha inizialmente interessato solo il 57enne per appropriazione indebita relativa alla vendita di un immobile di Lugano e il mancato versamento del guadagno. Tornando alla firma contestata, la rappresentante dell'accusa ha ricordato che entrambi gli imputati «hanno negato ogni addebito».

La domanda di fondo: voleva cedere?

Tutto, ha aggiunto Rigamonti, «ruota attorno alla volontà del 92enne di donare tutti i suoi averi, decine di milioni di euro, al nipote. Ma come determinare questa volontà?». Il primo punto da analizzare «sono proprio le parole di colui che, ancora ieri, rispondendo alla domanda della Corte, ha fermamente contestato questa sua volontà con un fragoroso e convinto ‘no’». L'anziano potrebbe aver cambiato idea e aver voluto rientrare in possesso dei suoi beni? «Nella vita tutto è possibile – ha aggiunto la pp – ma è risultato un uomo lucido, forse un po’ ingestibile per la tanta voglia di parlare e spiegare come sono andate le cose, e anche se sono passati sei anni dalla denuncia, non è risultato confuso o reticente». Oltre alle già citate perizie, «ci sono altre indicazioni che permettono di dire che il documento non è stato firmato dal 92enne e che la sua intenzione non era quella di donare tutti i suoi averi al nipote». Tra questi la procuratrice ha citato l'assenza di «testimoni diretti», diversi messaggi tra zio e nipote «con richieste dei rendiconti delle società». Per l'accusa, quindi, la risposta alla domanda iniziale è chiara. «Non c'era la volontà di donare i suoi beni ma di lasciare in gestione il patrimonio che, come indicato nel testamento, prima o poi sarebbe comunque finito nelle mani del nipote e dei suoi fratelli». Il nipote «non si è accontentato della sua porzione di eredità».

Pretese civili per 21 milioni di euro

Intervenuti a nome del 92enne, gli avvocati Giampiero Berra e Marco Scarvaglieri hanno presentato pretese civili per 21 milioni e 232mila euro e 459mila franchi «perché necessita di fondi per vivere decorosamente». La somma include il «dissequestro immediato» del capitale sociale delle due ditte, delle «pigioni di pertinenza percepite indebitamente» e l'importo relativo alla compravendita di Lugano.

‘La donazione c’è stata’: assoluzione piena

Per l'avvocato Emanuele Stauffer, legale del 57enne, «la donazione c’è stata e portava su tutti i beni mobili e immobili del 92enne». Il legale ha quindi chiesto «la piena assoluzione». Alla stessa conclusione arriverà anche l'avvocato Davide Ceroni, legale del nipote 53enne, che terrà la sua arringa domani mattina. Stauffer ha posto l'attenzione sul contesto fiscale – «eravamo nel periodo del segreto bancario» – in cui i fatti si sono svolti. Ma anche sulla figura del suo cliente. «Lo conosco da anni e l'ho visto sempre a guai combinati. La sua è una storia di una lunga inesorabile discesa perché non ha mai saputo gestire un'attività professionale e i clienti. La sua incapacità di prevedere il rischio è all'origine di tutti i suoi guai giudiziari». È questo il contesto in cui «mette in piedi una donazione in modo obbrobrioso, senza chiedersi se il contesto potesse essere rischioso. Non per questo le modalità di questa donazione possono essere indiziarie». Il legale ha inoltre sottolineato «l'assenza totale di movente: da questa storia, come da tutte le altre, è uscito danneggiato». Il 53enne «in quel momento ha avuto la sfortuna di averlo come persona di fiducia».

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