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Con un gancio lo manda in coma, chiesti 13 anni di carcere

Il colpo è stato sferrato da un 26enne a un 21enne davanti al Blu Martini di Lugano, lo scorso novembre. La vittima si trova tuttora in stato vegetativo

Domani si ritorna in aula per la sentenza
(Ti-Press)
24 giugno 2025
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Uno dei colpi più efficaci nella boxe. Se va a segno, spesso mette al tappeto anche il miglior pugile. È un colpo rotante, il gancio. E quel sabato notte tra il 16 e il 17 novembre 2024, è stato sferrato da un boxeur con esperienza anche in incontri internazionali. Ma il ring non era una palestra bensì l’incrocio tra via al Forte e vicolo Orfanotrofio, a Lugano, e la sua vittima un ragazzo più esile incapace di difendersi. Il risultato? Il malcapitato è tuttora in coma vegetativo, mentre l’aggressore, un pugile amatoriale italiano residente a Lugano e pregiudicato, deve ora risponderne alle Assise criminali di Lugano.

Alla Corte – composta dal presidente Amos Pagnamenta e dai giudici a latere Renata Loss Campana e Fabrizio Filippo Monaci –, il procuratore pubblico Roberto Ruggeri ha chiesto di condannare a una pena di 13 anni di reclusione e 10 anni di espulsione il 26enne, per i reati di tentato omicidio intenzionale con dolo eventuale, subordinatamente di lesioni gravi con dolo eventuale e di violazione della Legge federale sugli stupefacenti. Tommaso Manicone, suo avvocato difensore, ha invece chiesto una significativa riduzione della pena, ritenendo che il suo assistito debba essere condannato per lesioni gravi colpose: reato che prevede al massimo tre anni di pena.

I fatti di quella notte

Dalla ricostruzione emersa in aula, quella del 26enne poteva essere una serata come altre. Una cena in compagnia, un ballo in una discoteca di Lugano, poi una seconda e, infine, l’arrivo al Blu Martini in compagnia prima degli amici e poi della propria compagna e di una sua amica. Dopo essere uscito dal locale per fumare – stando all’imputato –, ha visto un suo conoscente che cercava di entrare nel locale di fronte al Quartiere Maghetti, senza però riuscirci: la sicurezza glielo stava impedendo, perché ubriaco. «Ho iniziato a parlare con lui per allontanarlo – ha spiegato il 26enne –. La sicurezza mi aveva chiesto di dare una mano, visto che lo conoscevo. A un certo punto si sono avvicinati i suoi due amici. Ho spinto uno di loro e lui mi ha sferrato un pugno sulla bocca. Ho reagito. In quel momento non ho ragionato: ero sotto l’effetto di alcol e cocaina, in preda a un raptus per difendermi». A questo punto la vittima allontanandosi ha proferito delle presunte minacce verbali – di morte stando al boxeur, ma non ci sono prove a riguardo –. Ed ecco il fatale epilogo avvenuto alle 5.59 del mattino: un gancio destro sferrato con rincorsa che ha tramortito la vittima e causato un trauma cranico severo, conseguente all’impatto del capo con la pavimentazione.

Secondo l’aggressore, che lavora come allenatore in una palestra del Luganese, il colpo è stato «casuale». «Non so con quanta forza ho tirato il pugno. Ero in corsa, ma non ho caricato il colpo con l’intento di fargli del male. Non ho pensato che potesse cadere». Dopo l’aggressione, afferma di aver tentato di soccorrerlo: «Gli ho alzato le gambe e aperto la bocca per aiutarlo a respirare». Successivamente è rientrato nel locale a prendere la giacca e, all’arrivo dell’ambulanza, si è allontanato senza parlare con i soccorritori, rifugiandosi a casa della compagna e rimanendo irreperibile per 24 ore.«Non ho mai pensato di fuggire. Ho sbagliato a non andare subito dalla polizia che mi cercava, ma mi sono informato per sapere come stava il ragazzo».

«È uno spaccone di periferia»

«Non è possibile che un ragazzo esca per divertirsi e si ritrovi in quello stato». Per il procuratore Ruggeri, quanto commesso dal 26enne «è inaccettabile». L’omicidio non si è consumato, «ma il corpo della vittima è irrimediabilmente compromesso: gravi danni neurologici, necessità di alimentazione artificiale. Il tutto per un motivo futile, assurdo». L’imputato, continua Ruggeri, è «il classico spaccone di periferia, convinto di essere superiore agli altri, pronto a intervenire anche quando non serve. Un egocentrico, consapevole della propria forza. Il tutto alimentato anche dalla cocaina». L’accusato, invece di placare gli animi, «ha deciso di attaccare per primo». Il primo colpo, però, non è stato ripreso dalle telecamere perché l’area di fronte al locale è privata e priva di videosorveglianza. Le fasi successive, invece, sono state registrate dalle telecamere della Città: «Si vede chiaramente la vittima arretrare e poi fuggire. Durante la fuga, il 26enne lo insegue e, una volta raggiunto, sferra il gancio. Sostenere che si sia trattato di un colpo “casuale” è ridicolo, soprattutto da parte di un pugile».

A questo comportamento si aggiunge il fatto che «non ha collaborato con i sanitari». Per il pp, si tratta di una condotta gravissima. Sebbene l’omicidio non si sia concretizzato, «la riduzione di pena rispetto a un omicidio consumato deve essere minima». Da qui la richiesta: 13 anni di carcere e 10 di espulsione.

‘Manie di protagonismo di un maschio alfa’

Per il patrocinatore della vittima e della sua famiglia, Giuseppe Gianella, «su semplice sollecitazione di fare da paciere di un battibecco, ha pensato di essere più bravo dei ‘securini’. Dopo quel pugno ricevuto, gli scatta il raptus. Voleva ristabilire la gerarchia nei rapporti e fargli capire chi è il maschio alfa. L’aggressore voleva colpire per fare male. Sapeva di avere la forza per fare male. Lo dimostrano anche i suoi precedenti». Per Gianella non siamo di fronte a un boxeur di strada, ma a un atleta: «Anche il responsabile della palestra dove si allena, dice addirittura che il 26enne è più bravo di lui nel tirare i pugni». Il patrocinatore ha chiesto un riconoscimento di torto morale di 350mila franchi per il 21enne, 90mila franchi a testa per i genitori e 70mila a favore della sorella, soldi destinati al supporto psicologico e alle spese sostenute finora dalla famiglia.

‘Non è un mostro’

Manicone, invece, ha contestato le accuse rivolte al suo assistito in quanto «non è un mostro o un carnefice. Lavora come indipendente e allena alcuni ragazzi». Le immagini delle telecamere menzionate, inoltre, «sono state interpretate male: stava correndo, sì, ma al momento del colpo era sbilanciato. Dopo il pugno è caduto anche lui. Non poteva valutare l’effetto del colpo, e la sua formazione da pugile non può essere usata solo come aggravante». Contestato dunque il capo d’accusa principale, l’avvocato ha precisato che in caso di condanna per lesioni gravi colpose, non è prevista l’espulsione automatica. Infine, ha ricordato che il 26enne «gestisce un’attività in Ticino e ha qui tutti i suoi affetti più cari». La sentenza è attesa per domani pomeriggio.

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