Tramite firme false e scuse varie si è fatto consegnare circa 600mila franchi. Due anni sospesi alle Assise criminali di Lugano
«Le pulsioni che mi spingevano a giocare non mi permettevano di rendermi conto dei danni che stavo causando». È reo confesso il 53enne del Luganese, condannato oggi a due anni di detenzione sospesi condizionalmente per due anni. La Corte delle Assise criminali di Lugano lo ha riconosciuto colpevole di ripetuta truffa e falsità in documenti, a causa della sua ludopatia, che lo aveva trascinato in una spirale fatta di scommesse, menzogne e continue appropriazioni indebite, tra il 2016 e l’inizio del 2023. Dopo due settimane di carcerazione preventiva, l’uomo ha intrapreso un percorso di recupero dalla dipendenza dal gioco «per non ricadere nella tentazione. Il cammino, tuttavia, è ancora lungo», ha ammesso egli stesso, che oggi è titolare di un negozio in città.
Dalla ricostruzione effettuata dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli, è emerso che l’imputato dal 2008 lavorava come consulente alla clientela per una banca del Luganese. Nel 2015 era poi stato promosso a condirettore. Da quel momento, dopo aver instaurato un rapporto di fiducia con alcuni clienti e con i superiori dell’istituto di credito, aveva iniziato a falsificare firme su oltre quaranta documenti, al fine di ottenere denaro o lingotti d’oro per un valore complessivo di circa 600mila franchi.
Tali somme sono state quasi interamente spese nel gioco d’azzardo. Per distogliere l’attenzione dai suoi comportamenti e convincere altri clienti a consegnargli del denaro, aveva anche inventato che alla figlia fosse stata diagnosticata una grave malattia, problemi di salute inesistenti. «Mi rendo conto di aver causato sofferenza alla mia famiglia, che non mi ha mai abbandonato. Sto cercando di riconquistare la fiducia che ho perso, soprattutto quella dei miei cari», ha dichiarato l’uomo.
La Corte, composta dal presidente Paolo Bordoli e dai giudici a latere Fabrizio Filippo Monaci e Renata Loss Campana, ha accolto la proposta di pena, concordata tra la pp e l’avvocato difensore Marino Di Pietro. «La gravità dei fatti non deve essere sottovalutata – ha precisato il giudice –. Questo capitolo si è chiuso con un accordo rapido e indolore, ma la vicenda non è stata affatto tale, né per lei né per tutte le persone danneggiate che riponevano in lei la massima fiducia». L’attuale lavoro del 53enne, unito alla difficoltà «di accedere a capitali importanti, potrebbero costituire un freno rispetto ai comportamenti tenuti in passato».