Tre cittadini impugnano la risoluzione del Consiglio comunale dell’11 giugno, ritenendo problematici il business plan e il finanziamento presentati
Non solo lo spauracchio del voto popolare. Mentre prosegue la raccolta di firme per un referendum, si aggiunge un altro ostacolo sul percorso del credito da 4,7 milioni di franchi per la ristrutturazione e l’ampliamento della casa montana Madonna delle Nevi di Nante del Comune di Monteceneri. Tre cittadini hanno infatti impugnato la risoluzione del Consiglio comunale (Cc) dell’11 giugno, quando è stato approvato il messaggio, e si sono rivolti al Consiglio di Stato. A essere contestati sono principalmente il business plan e i finanziamenti presentati dal Municipio, oltre ad alcune questioni formali.
A suscitare perplessità, in primo luogo, è l’esplosione dei costi. “L’aumento del prezzo è motivato in maniera assai raffazzonata” si legge nel ricorso, precisando che si tratterebbe di costi “nettamente al di sopra degli attuali standard di mercato”. Il Municipio ha imputato all’adeguamento del progetto agli standard Minergie e in generale al boom dei costi delle materie prime a causa della pandemia e della guerra in Ucraina questo aumento. Tuttavia, per i ricorrenti sarebbero spiegazioni insufficienti. “L’adozione dello standard Minergie comporta una maggior spesa non superiore a circa il 10%”, mentre riguardo al rincaro si ricorda che solo fino a due anni fa i progettisti avessero indicato tariffe di 800 franchi per metro cubo per la ristrutturazione e di 1’000 per la costruzione a nuovo, mentre il progetto attuale ne prevederebbe 1’600.
“Fuorvianti e inconcludenti” vengono pure definite le considerazioni dell’Esecutivo sul finanziamento delle opere. A cominciare dal milione del Fondo per le energie rinnovabili, in quanto non sarebbe stato spiegato se si tratti di un contributo ottenuto specificatamente per questo progetto o piuttosto buona parte del fondo già a disposizione del Comune e inserito a bilancio, e in ogni caso ci sono dubbi su un suo utilizzo per un bene fuori dal territorio comunale. E poi, una questione già messa in evidenza dalla consigliera comunale Alessandra Noseda (Lega), sui sussidi cantonali “dati per scontati nel messaggio, non c’è nessuna assicurazione”, anzi considerati i dubbi di natura gestionale e finanziaria sollevati, i ricorrenti ritengono che si debba prevedere che i requisiti per il sussidiamento cantonale non siano dati. Mancano, e vanno chiariti, pure altri contributi concessi da privati.
“La stessa aleatorietà – si legge ancora – caratterizza anche il non meglio chiarito modello di gestione della casa”. Mancherebbero infatti l’indicazione dell’assetto societario e una chiara responsabilità, se condivisa dal Comune e da terzi o meno. Due convenzioni di utilizzo dello stabile, allegate dal Municipio al messaggio, sono ritenute “insignificanti”, ma nel mirino delle critiche è soprattutto la lettera di intenti firmata dalla Valbianca Sa, che si è candidata per la gestione della casa. “Non v’è nulla di assicurato, come peraltro non potrebbe essere, vista la situazione di tale società”, osserva il ricorso, ricordando “la situazione di precarietà finanziaria in cui versa la Valbianca”. Che fare inoltre se nessuna società dovesse candidarsi, o essere all’altezza dei requisiti, per la gestione della casa? Uno scenario ritenuto “tutt’altro che improbabile”, nel quale “sarebbe il Comune a dover provvedere da solo e direttamente a gestire l’immobile, con tutti gli oneri e i rischi che tale opzione comporta, sui quali nulla è dato sapere”. Sempre riguardo alla Valbianca, si ricorda che per la gestione della casa è necessario un concorso e va chiarito se quanto discusso col partner privato sarebbe una locazione o un mandato di prestazione e in questo secondo caso andrebbe deciso dal Cc.
Nello scritto si elencano poi i principi sui quali si poggia la gestione finanziaria degli enti pubblici secondo la Legge organica comunale (Loc). Nello specifico, il progetto ne violerebbe diversi: quello di parsimonia (è ritenuto “faraonico” in quanto non giustificato); di economicità (si sarebbe dovuto preferire un’alternativa a costi più contenuti, come quella da 2 milioni circa elaborata negli anni scorsi); in parte di causalità e compensazione dei vantaggi (visto il rischio imprenditoriale che rischierebbe di gravare sul solo Comune). Sempre la Loc, si ricorda, contempla il divieto di speculazione, ossia l’impiego di beni comunali in operazioni prettamente commerciali, comportanti un rischio economico e rivolte prevalentemente al conseguimento di un lucro. Per non ricadervi, la motivazione d’interesse pubblico di un’operazione deve essere preponderante rispetto al fine economico. Ebbene, dato che secondo i ricorrenti allo stato attuale del dossier il rischio economico ricadrebbe unicamente sul Comune, il divieto di speculazione sarebbe stato altrettanto violato.
Critiche infine anche al business plan, definito “del tutto irrealistico” in quanto “non si fonda su elementi sufficientemente accertati ed è frutto di un obiettivo politico”. Ricordiamo che per il Municipio, e con esso per i rapporti favorevoli che hanno sostenuto il messaggio, l’investimento effettivo grazie ai sussidi sin qui confermati sarebbe da stimare in circa 2 milioni di franchi, mentre l’onere della gestione corrente sarebbe stimato in poco più di 130’000 franchi annui, quasi interamente coperti dall’affitto versato dal gestore, dagli utili generati e dal risparmio derivante dal non dover più ricorrere ad altre strutture in affitto per le settimane montane delle scolaresche. La struttura sostanzialmente si autofinanzierebbe.