In centinaia hanno preso parte alla manifestazione di Mendrisiotto Regione Aperta e ‘Stop all’ignoranza di massa’. Dalla piazza voce a chi non ce l’ha
Da dodici anni ormai, il Primo agosto, Chiasso a ogni festa nazionale sa abbattere le frontiere. E ogni volta ci si rende conto che un’‘altra’ Svizzera esiste davvero. Un Paese che, per citare lo slogan di questa edizione, conosce la solidarietà ed è aperto verso il mondo. Così come la stessa Costituzione federale auspica. Il clima è gioioso e a condividere il pranzo c’è un popolo che è la migliore rappresentazione plastica del ‘melting pot’, di una società realmente cosmopolita. In centinaia, infatti, si sono dati appuntamento venerdì in piazza Indipendenza – tanto che si è dovuto raschiare il fondo delle pentole per sfamarli tutti – per una manifestazione che nel tempo si è conquistata anche il riconoscimento delle istituzioni locali: alla tavolata non manca mai una delegazione del Municipio cittadino, con il sindaco Bruno Arrigoni anche i municipali Davide Dosi e Davide Lurati. E pensare che tutto ha avuto inizio nel 2013 da un manipolo di ‘ribelli’. Ad accendere la miccia, per così dire, in quei giorni era stata la campagna anti-immigrati (ricordate la pecora nera?). «Dapprima è nato il gruppo ‘Stop all'ignoranza di massa’, poi l'idea di un Primo agosto senza frontiere – ci ricorda Giancarlo Nava, tra le memorie storiche del movimento –. E non è un caso neppure che l'Associazione Mendrisiotto Regione Aperta sia nata qui, su questa piazza». Due realtà, il gruppo e l'Associazione, che con altre organizzazioni umanitarie e solidali con tenacia anno dopo anno ripropongono l'iniziativa. Del resto, sono sempre in tanti a non avere voce.
«Oggi il benessere delle persone che si trovano in un momento di fragilità è messo fortemente a repentaglio da nuovi e vecchi poteri – ha richiamato Willy Lubrini, tra gli ispiratori di Mendrisiotto Regione Aperta –. Come è possibile ribellarsi e preservare i valori di solidarietà, giustizia sociale ed eguaglianza? Una risposta può venire dalla società civile, dove si inventano nuovi rapporti fra uomini, si formano nuovi movimenti sociali, dove si cerca si pensare al mondo e alla società mettendo al centro l'essere umano, l'ambiente, i diritti umani e le regole dello Stato di diritto. L'avanzata delle politiche xenofobe mira a piegare l’esistenza delle minoranze e del diverso, negando la dignità della persona con il non riconoscimento e la criminalizzazione». Una volta di più, quindi, a Chiasso si è voluto aprire il microfono a favore di testimonianze dirette. Come quella di Hector, un giovane originario del Messico, il quale, «parlando con il cuore», ha ricordato agli svizzeri di nascita la valenza della festa nazionale. «Oggi – ha detto con sincerità – è un giorno che onora qualcosa di molto profondo, la libertà di un popolo. Una libertà non scaturita dalle armi, ma da un patto reciproco fra tre regioni che hanno scelto la pace, la neutralità e l’unità nella diversità. Per questo non celebriamo solo l’indipendenza, bensì una scelta umana. Io sono arrivato da molto lontano, guidato dal desiderio di trovare un luogo dove poter vivere con dignità. E a Balerna ho trovato più di un rifugio. Ho trovato una comunità che ascolta, che lavora, che custodisce le proprie radici e al contempo apre strade nuove. Da bambino sognavo di esplorare montagne e mari, di trovare amici in ogni angolo del mondo. Oggi sono qui e quel sogno è ancora vivo».
Anche Antoine, esule della Repubblica Democratica del Congo, ha voluto far sapere a chi affollava la piazza come, arrivato in Svizzera, ha «fatto suoi con ammirazione i valori fondanti di questo Paese. E la mia esperienza qui – ha spiegato, dicendosi grato per l'accoglienza ricevuta – mi ha permesso di comprendere che sono questi valori che definiscono una nazione, costruita con il contributo di ciascun cittadino. Un Paese che mi sta dando una nuova prospettiva e visione della vita».
A non fare sconti alla Svizzera (ma soprattutto a una certa classe politica) ci ha pensato Beppe Savary, medico e gran consigliere. «Io mi considero un patriota, perché amo questo Paese e vorrei fosse migliore – ha ribadito –. Ma non sono un nazionalista, di quelli che pretendono di essere patrioti ma lo fanno parlando e agendo male contro gli altri. Mi piace, insomma, l'idea che questa sia una festa internazionale, di chi una patria ristretta non ce l'ha». È così che voci e pensieri sono andati a quanti vivono nella Striscia di Gaza e alla causa palestinese. E ai bambini e alle bambine morti in guerra, ai quali Clyo, artista mesolcinese, ha voluto rendere giustizia con il suo progetto, destinato a divenire un’istallazione; chiedendo ai presenti di lasciare la loro impronta della mano.