La Commissione di ricorso sulla magistratura conferma la decisione del Cdm impugnata dai due ex giudici. Broggini: ‘Andremo al Tribunale federale’
La Commissione di ricorso sulla magistratura ha respinto la contestazione del verdetto di destituzione degli ex giudici del Tribunale penale cantonale Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti, emanata dal Consiglio della magistratura il 10 dicembre dello scorso anno. Insomma, stando alla Commissione di ricorso, organo presso il quale possono essere impugnate le decisioni del Cdm entro 30 giorni, il Consiglio della magistratura ha agito correttamente. Il patrocinatore dei due magistrati destituiti, l’avvocato Marco Broggini, contattato da ‘laRegione’ ha confermato la ricezione delle sentenze (una per giudice) e afferma: «Continuo a ritenere che non c’era e non c’è spazio per una misura tanto grave, quale è la destituzione. Faremo quindi ricorso al Tribunale federale».
Il Cdm aveva licenziato con effetto immediato Quadri e Verda Chiocchetti alla fine (fine?) dell’annosa questione caos Tribunale penale cantonale con la motivazione che avrebbero “gravemente violato i loro doveri di magistrato denunciando per il reato di pornografia il presidente del Tribunale penale cantonale (Mauro Ermani, ndr): la denuncia del collega per un reato che sapevano non sussistere è inaccettabile e inconciliabile con la funzione di magistrato”. È la denuncia, da loro inoltrata nel luglio dell’anno scorso al Ministero pubblico, per la tristemente famosa foto tratta da Internet – con un paio di peni giganti di plastica, una donna seduta in mezzo e la scritta ‘Ufficio penale’ – che Ermani ha trasmesso via WhatsApp nel febbraio 2023 alla segretaria presunta vittima di mobbing da parte di una collega.
I due giudici avevano chiesto alla Commissione di ricorso sulla magistratura di bocciare la decisione del Cdm definendo la destituzione “del tutto tendenziosa” nell’esposizione dei fatti, non priva di “numerose considerazioni arbitrarie” e “frutto di accanimento”. Nelle oltre trenta pagine che componevano entrambi i ricorsi si ricorda tra le altre cose che “un giudice è per definizione garante dei diritti fondamentali di cui agli articoli 7 e seguenti della Costituzione. Non solo verso le parti processuali, ma anche nei confronti del personale del tribunale in cui lavora, specie se è un giudice ordinario attivo al 100%”. Per questo gli allora giudici Quadri e Verda Chiocchetti “non potevano rimanere con le mani in mano di fronte a una collaboratrice che aveva loro confidato di essere mobbizzata da tempo” da una collega, “di aver ricevuto immagini oscene e indesiderate da parte del giudice Mauro Ermani” e “di non aver ricevuto alcun supporto da parte di quest’ultimo con riferimento al mobbing subìto”. Immagini indesiderate, ovvero non richieste.
Ma la Commissione di ricorso sulla magistratura, quindi? Nelle due sentenze fotocopia, 13 pagine l’una, intimate martedì 25 marzo alle parti, si scrive che i ricorrenti hanno tenuto “una condotta ingiustificabile e gravemente lesiva dei loro doveri di magistrati. Egli (essa, in caso di Verda Chiocchetti, ndr) non si è fatto scrupolo di denunciare penalmente un suo collega, presidente del tribunale in cui era attivo, per un reato infamante che sapeva essere del tutto infondato, cavalcando il conflitto suo e di altri per pura e semplice volontà di attaccare il suo avversario, in una fase in cui le istituzioni erano attive per invece risolvere quei conflitti. Risulta poi dagli atti – scrive ancora la Commissione di ricorso sulla magistratura – che tale denuncia e tutto quanto ne è seguito è stato concertato con la sua collega Verda Chiocchetti (rispettivamente Quadri, ndr), pure lei (lui, ndr) attiva presso il Tpc. Tutti i passi intrapresi dai due giudici sono la fotocopia l’uno dell’altro. Al riguardo basta riferirsi alla documentazione agli atti dei due incarti”. La ricorrente e il ricorrente “non hanno avuto alcun riguardo per lo sconcerto provocato nell’opinione pubblica dal proprio agire e ciò che ne è seguito, così come della perdita di fiducia nella magistratura”.
Insomma, “non è tollerabile che, all’interno del più alto tribunale cantonale, un magistrato sfrutti scorrettamente un mezzo legale per ‘fare la guerra’ a un collega. In un simile collegio deve regnare unità d’intenti e tutti devono collaborare collegialmente per una corretta esecuzione dei loro compiti, rispettando per primi quei principi che sono chiamati ad applicare nell’attività giudiziaria”. Leggendo la sentenza, si vede messo nero su bianco che “per mesi in Ticino – prima e dopo la sentenza di destituzione – si è scritto (non di rado riportando i fatti in maniera incompleta se non addirittura tendenziosa), dibattuto o parlato di ‘Caos al Tpc’: caos dapprima ricondotto al preteso mobbing di cui sarebbe stata vittima una segretaria e poi alla sconcertante fotografia inviata da Ermani. Sennonché entrambe le circostanze erano da tempo oggetto di accertamenti e valutazioni a opera delle autorità preposte per legge al loro esame, ciò che era perfettamente noto alla ricorrente; ciò nonostante essa, non senza spregiudicatezza, ha messo in atto tutta una serie di iniziative, comportamenti e atteggiamenti volti ad esasperare ulteriormente la situazione all’interno del Tpc, fino ad arrivare a un irreparabile punto di rottura”.
Il tutto, stando alla Commissione di ricorso, “quando invece sarebbe bastato affrontare la situazione, all’insorgere delle prime incomprensioni e difficoltà, ispirandosi a quei principi – in primis del buon senso – che chiunque confrontato con una controversia sul posto di lavoro avrebbe applicato per risolverle. Il tutto di fronte a una cittadinanza e a un’opinione pubblica comprensibilmente scioccate da quanto accadeva all’interno del Tpc”. Al riguardo, si legge ancora, “non basta certo l’essersi limitata a chiedere al presidente Ermani, il 13 dicembre 2023, di ‘valutare’ se indire un nuovo plenum del Tpc, a distanza di un mese da quello precedente, per discutere di problematiche riguardanti due segretarie. In concreto invece si è preferito inasprire la situazione, esasperando il conflitto e non rispettando le varie competenze esistenti all’interno dell’autorità giudiziaria di cui faceva parte, con l’ingerenza della (e del, ndr) ricorrente in questioni che non erano di sua competenza. Un ulteriore fatto che dimostra la sua mancanza di rispetto per le regole che vigono all’interno di un tribunale”.
Detta breve: “Da parte di un magistrato tutto ciò è inaccettabile e, anche su questo si concorda con il Cdm, egli (ed essa, ndr) ha denotato una mentalità incompatibile con tale funzione. In una situazione come quella dinanzi descritta una misura diversa da quella della destituzione, quale ad esempio la sospensione per un anno e/o il trasferimento ad altro ufficio, non avrebbe senso: il comportamento della ricorrente è stato a tal punto incompatibile con il suo ruolo di giudice che, a prescindere dal suo comportamento anteriore, non può entrare in considerazione altra sanzione che quella pronunciata dal Cdm, con conseguente reiezione del ricorso”.
Una decisione che in definitiva è “l’unica misura in grado di ristabilire un clima di fiducia (e di un minimo di serenità) all’interno di un tribunale che si è trovato confrontato per mesi in diatribe perfettamente inutili, che hanno anche comportato non da ultimo un notevole impegno di alcuni giudici e altro personale nell’evasione delle continue sollecitazioni che il cosiddetto ‘Caos al Tpc’ ha comportato, venendo in questo tolti alle loro usuali incombenze giudiziarie quotidiane, e ciò a detrimento dell’utenza nonché in definitiva anche delle risorse finanziare dello Stato”.
In merito all’immagine di una donna seduta in mezzo a due falli giganti al Museo del sesso di Amsterdam con la scritta ‘Ufficio penale’ inviata dal già presidente del Tribunale penale cantonale Mauro Ermani a una segretaria, oggetto della denuncia per pornografia fatta da Quadri e Verda Chiocchetti, la Commissione di ricorso afferma che i due “non potevano non sapere che l’immagine in questione non adempiva il reato da loro preteso e non potevano non essere coscienti che con la loro denuncia non facevano altro che gettare benzina sul fuoco in un ambiente di lavoro già surriscaldato da gravi conflitti interpersonali”. Sul tema non risulta comunque che sia stato aperto un procedimento per denuncia mendace a carico dei due.
Sia come sia, l’agire di Ermani – si legge ancora nella sentenza della Commissione di ricorso sulla magistratura –, “era già oggetto di una procedura al momento dell’inoltro della denuncia penale. Stesso discorso per il presunto mobbing. Non vi era allora, né vi è adesso nessun elemento per ritenere che gli organi competenti all’interno della magistratura non stessero facendo il loro dovere per affrontare queste incresciose situazioni nel pieno rispetto delle procedure e dello stato di diritto”. Anche se, concede la Commissione di ricorso, “è pacifico che l’invio da parte del giudice Ermani della foto in questione, indubbiamente inaccettabile e di cattivo gusto, abbia contribuito in maniera non trascurabile a questa situazione”. Dove per situazione si intende il caos al Tribunale penale cantonale. Con buona pace di chi pensa che i fatti siano stati riportati in maniera tendenziosa.