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Lotta alle mastiti bovine, operazione riuscita

Eradicata dal 2019 la principale causa della malattia, anche nella fase di monitoraggio i casi sono stati marginali. Manca però un progetto nazionale

Sebbene il progetto sia terminato, le sfide restano importanti
(Keystone)
22 aprile 2025
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Lotta alle mastiti bovine, il Ticino dichiara vittoria. Lo stafilococco aureo genotipo B (SagB), tra le principali cause della malattia infettiva nelle mucche da latte, risulta eradicato in tutte le aziende che hanno partecipato al progetto pilota lanciato nel 2015 dall’Ufficio del veterinario cantonale (Uvc), poi sostenuto dall’Ufficio federale dell’agricoltura (Ufag) e dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (Usav). Già nel 2019, solo ventuno mesi dall’avvio della fase operativa, il SagB appariva assente in queste aziende. A essere «straordinario» è che la situazione sia restata sostanzialmente invariata fino alla fine del progetto pilota, terminato lo scorso dicembre. Più salute e benessere per le mucche, un aumento della produzione e della qualità del latte, nonché un minor ricorso agli antibiotici per una diminuzione del rischio di sviluppare resistenze: questi in estrema sintesi gli obiettivi raggiunti e presentati oggi, in concomitanza con la giornata dell’alpigiano, al Centro professionale e sociale di Cugnasco-Gerra dal veterinario cantonale Luca Bacciarini.

Un problema esoso

Un problema tutt’altro che marginale. «Ogni anno a livello svizzero – evidenzia Bacciarini – si stimano costi superiori ai 130 milioni di franchi legati alle mastiti bovine. Costi dovuti alla minore produzione di latte, a un calo della sua qualità e al fatto che parte del latte prodotto non sia utilizzabile a causa dei trattamenti con gli antibiotici». Non solo. «A questi fattori – prosegue – si aggiunge il tema della sicurezza delle derrate alimentari, come pure quello del benessere degli animali stessi. Si tratta infatti di una patologia molto dolorosa. Il suo trattamento con gli antibiotici comporta poi il rischio di sviluppo di batteri resistenti, pericolosi anche per la salute umana». Come detto, a causare le mastiti, è in particolare lo stafilococco aureo. «Il suo genotipo B – spiega il veterinario cantonale – è altamente infettivo. Di conseguenza la trasmissione del batterio, che avviene durante la mungitura, può diventare molto rapidamente un problema aziendale». Notevoli poi le differenze regionali: in alcune località svizzere si arriva al 40% di aziende interessate dalla malattia, il cui punto nevralgico, va da sé, sono i cantoni alpini.

Oltre al finanziamento federale, il progetto è stato sostenuto dal Cantone, attraverso l’Uvc e la Sezione dell’agricoltura, e da enti privati, quali Swissmilk e la Federazione ticinese dei produttori di latte (Ftpl), con il sostegno tecnico e scientifico dell’Università di Berna e dell’istituto Agroscope dell’Ufag. Questi fondi sono stati utilizzati per i prelievi e le analisi del latte, il servizio di sostegno tecnico e la consulenza, il versamento di indennizzi per la macellazione in caso di animali resistenti alla terapia e per l’accompagnamento scientifico. In tal senso, in un primo momento era molto difficile disporre di test per effettuare screening di massa. Al giorno d’oggi, rileva Bacciarini, «grazie a un test Pcr sviluppato da Agroscope, è invece possibile rilevare la presenza della mastite direttamente nel latte».

Le tappe e il metodo di risanamento

Le prime valutazioni risalgono al 2015. «Nel 2016 – ricorda il veterinario cantonale – da un’analisi preliminare su 68 aziende era emerso che il 35% presentava casi di mastiti bovine, per un 10% di capi infetti». Dopo una prima fase di preparativi, la vera e propria lotta si svolge tra il 2017 e il 2020, a cui segue un periodo di monitoraggio per valutare se l’obiettivo raggiunto può essere mantenuto nel tempo.

Sono quattro le tappe del metodo di risanamento adottato. In primo luogo, attraverso il prelievo di un campione di latte, vengono fatte delle analisi Pcr per un gruppo di una decina di mucche. Se il campione risulta positivo, l’analisi avviene animale per animale. In secondo luogo, con un Pcr positivo le strade da percorrere sono due: una terapia mirata con antibiotici oppure la macellazione del capo infetto con relativo indennizzo. Se si sceglie di procedere con la terapia, una volta ultimata, seguono ulteriori due analisi Pcr. Nel caso in cui la mucca fosse ancora positiva, a questo punto segue la macellazione, anche qui con indennizzo. Terza tappa, la gestione in azienda che prevede un protocollo di mungitura che separi le bovine ‘sane’ da quelle infette. Non da ultima, la gestione degli animali alpeggiati. Attraverso una modifica delle disposizioni di alpeggio, solo gli animali negativi possono ora essere spostati in altura.

Sugli alpeggi i principali rischi di reinfezione

Venendo al dettaglio dei risultati, puntualizza Bacciarini, «le prime analisi fatte nelle circa centottanta aziende che hanno partecipato al progetto mostravano che il 10% delle bovine, distribuite nel 37% di queste aziende, erano infette». E rimarca: «Attuando le misure predisposte, già nel novembre del 2019 tutte le aziende partecipanti si erano negativizzate». Di più. «Alla fine del progetto pilota, il dicembre scorso, siamo riusciti a mantenere questa negatività in tutte le aziende». Un risultato notevole, che ha tuttavia avuto qualche inciampo qua e là. «Anche dopo il 2019 – chiarisce il veterinario cantonale – ci sono stati alcuni casi di mastiti, dovuti probabilmente alla pressione delle aziende della Svizzera interna. Si è trattato da un lato di animali acquistati laddove non era presente il test Pcr negativo, dall’altro di incidenti durante l’alpeggio di animali testati negativi, ma che in realtà erano positivi». Ed è proprio agli alpeggi che sono legati i principali rischi di reinfezione: «Ogni anno arrivano in Ticino circa 1’300 bovine da latte da oltre Gottardo da ottanta diverse aziende. Oltre al rischio legato all’acquisto di nuovi capi, la promiscuità sull’alpeggio desta preoccupazione», nota Bacciarini. Durante l’estivazione, attraverso il progetto pilota è stata quindi constatata una diminuzione drastica dell’utilizzo di antibiotici (-70%), mentre nei restanti mesi dell’anno la variazione è più contenuta (-9%). «Questo secondo dato è legato ad altre patologie, non solo alle mastiti», afferma. Meno antibiotici, ma anche maggiore qualità e sicurezza dei prodotti derivati del latte.

L’avvertimento di Pedrini (Uct)

Sebbene il progetto sia terminato, le sfide restano importanti. «La maggior parte degli allevatori coinvolti – indica Bacciarini – sono più contenti dei risultati ottenuti. Più dell’80% è favorevole a un prosieguo del progetto, nonché a un allargamento a livello svizzero». E precisa: «Quello che siamo riusciti a ottenere al momento è un programma di monitoraggio, sia nelle aziende ticinesi, sia in quelle non ticinesi che partecipano all’alpeggio».

«Purtroppo – interviene il presidente dell’Unione contadini ticinesi Omar Pedrini – non si è riusciti a sviluppare un progetto nazionale. Non essendo una malattia pericolosa per gli animali o per gli umani, non ci sono i presupposti per un’obbligatorietà. Tant’è che anche in Ticino era una misura facoltativa». L’auspicio di Pedrini è comunque «che si vada avanti con il monitoraggio e che si riescano a trovare i fondi anche coinvolgendo altre regioni svizzere». Un monitoraggio, avverte, «fondamentale specialmente per gli animali che provengono da Oltralpe. Senza una copertura per le analisi, rischiamo in pochissimo tempo di compromettere tutto il lavoro degli scorsi anni». Il Ticino, come evidenziato anche dal responsabile della divisione Salute e protezione degli animali all’Usav Martin Reist, ha dunque «fissato un nuovo standard. La speranza è che altri cantoni seguano il suo esempio».