Circa duemila le persone scese in piazza a Bellinzona. Tra le rivendicazioni anche la difesa del servizio pubblico e la tutela dei diritti senza frontiere
Sono partiti puntuali alle 14.30 dal piazzale Stazione a Bellinzona. Forse per sfuggire al sole battente e trovare riparo all’ombra dei cento tigli e sette ippocastani secolari che costeggiano il viale fino all'incrocio con largo Elvezia. Sicuramente per ribadire, una volta ancora di più, un concetto tanto importante quanto semplice: in Ticino ci vogliono salari giusti. È questa la rivendicazione portata in piazza dal corteo del Primo maggio, con la consigliera di Stato socialista Marina Carobbio in prima fila. Salari giusti e senza frontiere, quindi evitando di mettere lavoratore residente e frontaliero l'uno contro l’altro, e un servizio pubblico forte che posso rispondere ai bisogni crescenti di una popolazione in difficoltà. E qui si torna al punto di partenza, i salari. «Nel nostro cantone i lavoratori sono pagati in media il venti per cento in meno rispetto al resto della Svizzera. Questo nonostante alcuni costi, penso soprattutto ai premi di cassa malati, non siano certo inferiori a quelli d’Oltralpe. È per questo motivo che sempre più persone hanno bisogno di aiuti e sussidi», dichiara il segretario regionale di Unia Giangiorgio Gargantini al corteo del Primo maggio che lentamente si dirige verso piazza Governo. «La situazione peggiora. Anni fa le grandi aziende che cercavano manodopera a basso costo delocalizzavano nei Paesi dell’Est Europa. Ora lo fanno in Ticino perché sanno che qui possono pagare meno i lavoratori mantenendo i vantaggi di trovarsi in Svizzera. È per questo motivo – aggiunge Gargantini – che Zalando si è spostata da Soletta a Sant’Antonino». Ma il problema non tocca solo gli operai. «Anche i lavoratori altamente qualificati soffrono. Ci sono architetti pagati 4’200 franchi lordi. E poi qualcuno si stupisce che dal Ticino i giovani se ne vanno».
Un 1° Maggio quello di quest’anno che, come detto, ha voluto mettere al centro la questione dei salari e lasciare spazio alla voce dei lavoratori. Pochi gli interventi sindacali durante il pomeriggio che si è concluso con i concerti davanti a Palazzo delle Orsoline. Numerose, invece, le testimonianze di chi tutti i giorni vive la realtà di un mondo del lavoro difficile «e che sta peggiorando» racconta un’educatrice. «Nel nostro settore siamo tanti eppure sembriamo invisibili, soprattutto per una certa parte della politica. Il nostro carico di lavoro aumenta, il numero di persone che si rivolge a noi aumenta. Ma le risorse, complici i tagli decisi dal Cantone nel nostro settore, diminuiscono. Siamo quindi chiamati a fare più turni e avere sempre meno colleghi». Dal sociale al sanitario la musica non cambia. «Le cure di qualità sono un problema che tocca tutti. Perché tutti, ahimè, prima o poi devono ricorrere al nostro sistema sanitario», racconta un’assistente di studio medico. «Un sistema sanitario per il quale si è fatto poco o nulla dopo gli applausi ricevuti durante la pandemia».
Presenti in piazza anche alcuni lavoratori frontalieri, che hanno voluto ricordare come «il colore della pelle e l’accento possono forse essere diversi, ma le imprecazioni di un lavoratore davanti a un trattamento ingiusto sono uguali ovunque», spiega una frontaliera attiva nel commercio al dettaglio. «Dobbiamo far capire alla politica che tutti insieme noi lavoratori siamo forti».
Sul palco, poco prima dei concerti, è poi stato dato spazio ai rappresentanti sindacali del mondo dei media. Un settore particolarmente sotto pressione e in difficoltà. Il sindacato svizzero dei media ricorda «la pericolosità dell’iniziativa 200 franchi bastano», mentre Syndicom sottolinea «il rischio che l’accentramento dei media privati e i pochi fondi a disposizione dei giornali possono comportare per l’informazione».