Il parlamento respinge l'iniziativa di Ortelli (Plr), appoggiando il rapporto di Petralli (Verdi) e Padlina (Centro): ‘Le minoranze sono da tutelare’
Dopo lo “sgub” del Mago Otelma sull'arrocco leghista in governo, anche il parlamento ha avuto la sua divinazione andata a buon fine. «Venerdì 13, trattanda 17...», ha ricordato in entrata il deputato liberale radicale Paolo Ortelli sulla sua iniziativa per istituire una soglia di sbarramento del 3% per essere eletti in Gran Consiglio. Ed effettivamente – al termine di un dibattito libero per una volta denso di contenuti, al netto di toni apocalittici di cui si comincia francamente a essere stufi in una democrazia semidiretta e compiuta – per la proposta di Ortelli è stata una Waterloo. Il rapporto di maggioranza firmato da Simona Genini (Plr) e Andrea Censi (Lega), che aderiva all'iniziativa abbassando dal 4 appunto al 3% la soglia minima – uscito di maggioranza dalla commissione ‘Costituzione e leggi’ è stato ribaltato dal plenum. Perché, comprensibilmente, a far compagnia a Centro, Ps e Verdi nel sostenere il rapporto dell'ecologista Giulia Petralli e del centrista Gianluca Padlina, si sono aggregati tutti gli eletti dei partiti minori, che hanno contribuito – assieme a parte dell'Udc – a respingere l'idea soglia. Con 32 favorevoli e 49 contrari, il no a Genini e Censi. Con 46 favorevoli e 34 contrari, il sì a Petralli e Padlina.
Quanto ci ha provato e quanto ha lottato, Ortelli. «A chi evoca disastri e una diminuzione di democrazia, a chi sostiene che la soglia sia per escludere qualcuno dico che la rappresentanza non è matematica cieca, ma uno strumento al servizio della democrazia, del pluralismo e della governabilità». La vetta assoluta è stata raggiunta quando questa soglia è stata ritenuta dal suo proponente «qualcosa di importante per il futuro della democrazia, dei nostri figli e dei nostri nipoti». Usti.
Genini, nel difendere il suo rapporto, ricorda che «non sarebbe una forzatura, ma una risposta responsabile a un problema reale: non è più sostenibile un sistema che concede l'accesso al Gran Consiglio con poco più di mille schede». Anzi, «favorisce le realtà che cercano solo visibilità». Mentre con una soglia, «si rafforzerebbe la funzionalità del parlamento, il principio di proporzionalità e l'inclusione democratica». E cercando di controbattere all'Apocalisse di Giovanni, sempre Genini argomenta: «Non è un rimedio miracoloso, non ci sarà un prima o un dopo nella storia istituzionale, ma chi parla di assalto alla democrazia stia tranquillo: non perdiamo il senso delle dimensioni». Insiste anche il correlatore Censi: «Il punto cruciale è che il parlamento è bloccato, le decisioni non arrivano, i partiti piccoli paralizzano ogni iniziativa. Ed è inaccettabile».
Finita la festa, però. Perché ne comincia un'altra, quella che Centro, sinistra e partitini fanno al rapporto di maggioranza. Comincia una reboante Petralli, a testa bassa: «L'obiettivo è sbarazzarsi di chi disturba la quiete, di chi pone domande, di chi porta sensibilità nuove, di si ostina a rappresentare chi non vota i partiti di governo che hanno due terzi del parlamento: non è un problema di numeri, ma di idee che non convincono». E quindi, «invece che dialogare con queste forze politiche le si vuole accompagnare fuori dalla sala. È un segno di debolezza, non di forza, e quando la politica non si fida nemmeno più della democrazia è grave». Se la soglia fosse stata presente alle scorse cantonali, «il 9% dei votanti non avrebbe avuto una rappresentanza parlamentare: è questa la democrazia che vogliamo?». Nemmeno Padlina scherza: «Non ci sono valide ragioni per questa soglia, a pensar male si fa peccato ma la vogliono i due partiti che alle scorse elezioni hanno perso dei deputati... e non tiene neanche l'argomento di permettere alla popolazione di andare al voto. Cosa saremmo qui a fare? A votare argomenti che non ci convincono?». Già, perché altro grande cavallo di battaglia è stato il non votare tanto la soglia di sbarramento, ma dare – votandola – la possibilità al popolo di esprimersi, in quanto iniziativa costituzionale. Non un successone.
Rilancia Alessandro Speziali (Plr): «Non si toglie il diritto di voto a nessuno, è un filtro minimo». Niente da fare: «È una grave minaccia alla democrazia e alla pluralità politica», replica la socialista Lisa Boscolo. «Questo parlamento è, piaccia o no, lo specchio della società: escludere per legge nuove voci e nuove sensibilità è profondamente sbagliato», secondo Alain Bühler dell'Udc. Che è tutto tranne compatta. Per Lara Filippini «non è una spada di Damocle, ma equilibrio istituzionale». Per Sergio Morisoli, che ricorda a tutti essere grande estimatore del concetto di concorrenza, «senza di questa si finisce nel monopolio». E non sia mai, che il fantasma di Adam Smith la notte può essere inaffrontabile.
Amalia Mirante (Avanti) fa i conti: «Oltre 16mila persone hanno votato per i movimenti che oggi sarebbero esclusi dal parlamento, non valgono meno di altri elettori». Maura Mossi Nembrini (Più donne) sostiene che quella di Ortelli sia «una proposta che nasce dalla paura». Massimiliano Ay (Pc) si lascia andare al grande desiderio recondito della possibile conseguenza, «un'opposizione che vi trovereste fuori dal palazzo, e senza intermediari». Ma vota contro: “La rivoluzione? Oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente”. «Non siamo qui per sparare alla cieca», dice Giuseppe Sergi (Mps). Un gran momento si vive grazie a Massimo Mobiglia (Pvl): «Significherebbe promuovere l'oligarchia».
Butta male, malissimo e i favorevoli provano la mossa della disperazione: via il portiere, dentro un'attaccante: Natalia Ferrara (Plr): «Non si silenziano i voti, ma si spengono le luci sui palcoscenici di partiti personali che fanno a gara a chi la spara più grossa, senza portare proposte ma solo loro stessi, in partiti di cui non si sa neanche il nome». Sirena, vincono i contrari.