Così il presidente della Conferenza cantonale dei genitori Pierfranco Longo dopo il sì del Gran Consiglio all'obbligo di denuncia da parte del vescovo

«Credo che con la modifica legislativa appena decisa dal Gran Consiglio si sia compiuto un passo in avanti importante per la protezione dei minori, oltre che delle persone fragili, che frequentano la Chiesa cattolica e la Chiesa evangelica in Ticino. Tuttavia questi sono solo due dei molti ambiti in cui gli adulti si occupano anche di minori: il dibattito pertanto può e deve proseguire anche sugli e negli altri contesti organizzati». Così il presidente della Conferenza cantonale dei genitori Pierfranco Longo dopo il sì del parlamento all’obbligo di denuncia alle autorità di perseguimento penale – da parte rispettivamente dell’Ordinario (tra i quali il vescovo e l’amministratore diocesano) e il presidente del Consiglio sinodale – per rafforzare la lotta ai reati sessuali perpetrati da religiosi. «Sport minorile, mondo della scuola e della formazione professionale sono ad esempio tre ambiti importantissimi per la crescita dei giovani e per la costruzione di una cultura del rispetto del prossimo e della denuncia senza esitazione di reati contro l’integrità dei minori – sottolinea Longo –. Va poi ricordata l’importanza di un’adeguata prevenzione primaria, formando nella scuola gli allievi alla conoscenza dei propri diritti e dei propri obblighi per quanto riguarda il rispetto del prossimo, nonché l’importanza di sostenere una cultura della segnalazione e della denuncia dei comportamenti illeciti alle competenti autorità giudiziarie. Insomma, il lavoro da fare resta molto».
Per il responsabile della Conferenza cantonale dei genitori è «fondamentale scardinare la logica della gestione interna dei problemi. Ogni volta che in seno a questo o a quel contesto si annuncia l’apertura dell’ennesimo sportello per le vittime, tremo all’idea di lunghi iter legati all’accertamento dei fatti e alla ponderazione delle possibili segnalazioni. Cosa che rischia inesorabilmente di rallentare i processi di verifica, a volte di interromperli per svariati motivi e di scoraggiare così la fiducia dei denuncianti o dei segnalanti nella possibilità di ottenere la necessaria protezione. Ribadisco: la cultura della denuncia va coltivata».