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L’alfabeto ornamentale dei dimenticati

Il ciclo Dèibambini del Musec indaga il pionieristico lavoro svolto da Maria Bertolani Del Rio nella Colonia-Scuola ‘A. Marro’ di Reggio Emilia

Piviale con motivi animali e vegetali, 1935-1945
(Archivio storico dell’ex Ospedale psichiatrico San Lazzaro, Reggio Emilia)
27 marzo 2025
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Paramenti sacerdotali con raffinati motivi animali e vegetali ricamati con maestria, vasi in terracotta con motivi geometrici, pannelli decorativi con lupi e grifoni, arazzi che riprendono lo stile di epoca romancia riconducibili a Matilda di Canossa. La mostra ‘Ars Canusina’ è il tredicesimo capitolo del ciclo espositivo “Dèibambini”, avviato dal Museo delle culture di Lugano nel 2006 per esplorare la creatività infantile, ma le opere che troviamo esposte allo Spazio Maraini fino al 29 giugno non hanno quelle caratteristiche di spontaneità e immediatezza viste, in varie epoche e culture, negli appuntamenti precedenti del ciclo.

Siamo al contrario di fronte a lavori artigianali dalle forme ben definite e a un repertorio ornamentale codificato. Eppure a realizzare la sessantina di opere esposte sono stati bambine e bambini, ragazze e ragazzi tra i 5 e i 15 anni. «È un progetto insolito per il ciclo Dèibambini», ha spiegato Massimiliano Vitali, cocuratore della mostra insieme a Chiara Bombardieri. Non solo perché, come detto, abbiamo a che fare con manufatti di artigianato artistico, ma soprattutto perché chi li ha realizzati «non appartiene alla categoria dell'infanzia come comunemente siamo abituati a pensare, ma rappresenta un'infanzia molto particolare, che era considerata “anormale” secondo i criteri di psichiatria del tempo».

Una storia di normalità

Il percorso espositivo non si apre con tappeti o vasi, ma con due pannelli che riproducono due valutazioni cliniche realizzate – con l’inquietante titolo di “interrogatorio” – negli anni Venti del Novecento. La prima, realizzata a scuola, inizia con semplici richieste (“Come ti chiami?”, “Quanti anni hai?”, “Hai fratelli o sorelle?”) per poi procedere verso domande sugli oggetti della vita quotidiana per concludersi con concetti astratti (“Che cosa vuol dire essere buono?”, “Sai che cos'è il premio? E il castigo?”). La seconda valutazione è invece firmata da un medico, e prevede valutazioni delle funzioni fisiologiche e un'analisi dettagliata della parte psichica: linguaggio, scrittura, percezione, capacità immaginativa, attenzione, memoria, emotività.

A firmare questo secondo documento è in realtà una dottoressa, Maria Bertolani Del Rio: fu lei a creare nel 1921, all’interno dell'Ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, la Colonia-Scuola “Antonio Marro”. Si tratta di una struttura pensata per accogliere minori considerati dalla psicologia dell’epoca semplicemente “anormali” o “arretrati di mente”. Oggi in quella anormalità siamo in grado di leggere un ampio spettro di condizioni, da disabilità intellettive lievi a disturbi comportamentali a disabilità sensoriali come sordità o cecità, identificando anche il contesto di forte degrado sociale dal quale provenivano molti di questi bambini. Dai documenti d'archivio studiati nel lungo lavoro che ha portato alla mostra, si scopre che gli ospiti erano definiti “emendabili”: al di là della terminologia datata, si riteneva che interventi terapeutici ed educativi sarebbero stati efficaci. E proprio a questo serviva questa Colonia-Scuola: offrire a bambine e bambini che non potevano stare nelle scuole “normali” né restare con le famiglie di origine un contesto sicuro nel quale ricevere assistenza, istruzione scolastica e formazione professionale.

Durante la conferenza stampa di presentazione della mostra, il direttore del Musec Francesco Paolo Campione ha sottolineato quanto questa esperienza fosse all’avanguardia e coraggiosa. Siamo nell'Europa degli anni Venti e Trenta del Novecento, un'epoca segnata dall'ascesa dei totalitarismi e da una diffusa cultura dell'esclusione sociale. Le concezioni psicopedagogiche erano ancora fortemente influenzate dalle teorie positiviste del secolo precedente, e i “diversi” – soprattutto se bambini – venivano spesso relegati ai margini della società. Un destino quello che toccò purtroppo anche agli e alle ospiti della colonia-scuola di Reggio Emilia: fino a non molti anni fa, “andare al Marro” era un modo di dire diffuso nella zona per indicare “quelli strani”. Eppure dai documenti risultano molti casi di ospiti che, una volta conclusa l’esperienza, si sono integrati, ricoprendo anche posizioni di un certo prestigio sociale.

Importante da questo punto di vista ricordare che la Colonia-Scuola Marro era sì parte dell’ospedale psichiatrico, ma si trovava anche fisicamente ai margini dello spazio occupato da quello che all’epoca era il manicomio. Un ponte verso la società e non solo in senso simbolico: quella posizione permetteva maggiori contatti con l’esterno, incluse le visite delle famiglie di origine.

Psichiatria e arte medievale

Questo progetto innovativo non sarebbe nato, e non sarebbe stato portato avanti negli anni difficili del fascismo, senza la capacità di Maria Bertolani Del Rio, figura straordinaria nel panorama scientifico italiano dell'epoca. Nata a Reggio Emilia nel 1892 da una famiglia di medici socialisti, si laureò in medicina e chirurgia a Genova nel 1915, in un'epoca in cui l'accesso delle donne agli studi universitari era ancora limitato. Una fotografia esposta in mostra la ritrae il giorno della laurea, unica donna in abito bianco circondata da decine di uomini in nero.

Dotata di una solida cultura umanistica e di ottime competenze linguistiche, Maria Bertolani Del Rio coltivò per tutta la vita una forte passione per la storia e l'arte medievale della sua regione, con particolare interesse per il vasto Dominio dei Canossa e per lo stile romanico delle sue pievi. Questa passione fu determinante per lo sviluppo del progetto Ars Canusina. Maria Bertolani Del Rio fu infatti pioniera in quella che oggi conosciamo come “arteterapia”: la formazione non era solo tecnica, ma anche artistica, riprendendo motivi decorativi che facevano parte della storia del luogo e nei quali bambine e bambini potevano in qualche modo riconoscersi. Maria Bertolani Del Rio, insieme al professor Giuseppe Baroni, insegnante di disegno alla Colonia, intraprese infatti un meticoloso lavoro di ricognizione dei motivi decorativi romanici presenti nelle pievi sparse nel territorio reggiano. Da questo studio nacque un vero e proprio “alfabeto ornamentale”, raccolto in un prezioso album illustrato edito nel 1935, di cui in mostra è esposta una copia originale. Come ha sottolineato Campione, «i bambini attraverso un lavoro continuo che aveva a che vedere con l'arte in fondo trovavano una pace dentro di sé, l'applicazione all'arte li pacificava, creava delle condizioni per cui era più facile poi dialogare con i loro mondi interiori».

Dopo questa ricognizione, possiamo tornare a guardare gli oggetti esposti con la loro strana bellezza un po’ fuori dal tempo, come sospesi tra il Medioevo della nobildonna longobarda Matilde di Canossa, il Novecento di Maria Bertolani Del Rio e il nostro presente nel quale quelle idee di società accogliente e aperta sono ancora guardate con ostilità.