laR+ Teatro dell’architettura

‘Make Do With Now’. L'architettura giapponese della post-crescita

In mostra a Mendrisio le opere di giovani architetti e architette che ripensano edifici e il proprio ruolo nella società

Mostra ‘Make Do With Now. Nuovi orientamenti dell’architettura giapponese’, Teatro dell’architettura Mendrisio, 2025
(USI-ARC, Alberto Canepa)
11 aprile 2025
|

Al centro del grande spazio centrale del Teatro dell’architettura dell’Università della Svizzera italiana abbiamo, con modellini e immagini in pannelli trasparenti, con una ventina di progetti diversi: palazzi di uffici riconvertiti, centri multifunzionali, officine ristrutturate. Ma l’attenzione va subito al grande grafico che domina una delle pareti.

La linea più spessa mostra l’andamento demografico del Giappone, con la popolazione in crescita costante dopo la Seconda guerra mondiale fino al picco di 130 milioni di abitanti intorno al 2008, e poi un declino. Una seconda linea, più sottile, traccia l’aumento delle abitazioni vuote, con previsioni che parlano di un possibile 30% nei prossimi decenni. «Significa che le infrastrutture e le città costruite per ospitare 130 milioni di persone stanno diventando rapidamente troppo grandi» ha spiegato Yuma Shinohara, curatore della mostra ‘Make Do With Now. Nuovi orientamenti dell’architettura giapponese’ che il Teatro dell’architettura ospita fino al 5 ottobre.

Nel grafico a parete vediamo anche l’andamento dell’economia, in stagnazione dagli anni Novanta, quando scoppiò la famosa bolla speculativa. È in questo contesto che Shinohara ha definito “di post-crescita” che si muove la nuova generazione di architetti giapponesi protagonisti di ‘Make Do With Now’. «È un’architettura che non ha paura di lasciare le cose un po’ ruvide ai bordi» ha proseguito il curatore. «Un’architettura di trasformazione piuttosto che di nuova costruzione, che riutilizza materiali e strutture esistenti, che interviene in modo creativo e pragmatico sul patrimonio edilizio».

Giappone, Europa

Quelle che vediamo nel grafico sono dinamiche demografiche che, pur con differenze legate a fattori come l’immigrazione, vediamo anche in altri Paesi. «Da diversi decenni noi architetti europei, e io personalmente da oltre 40 anni, seguiamo con grande interesse la scena giapponese» ha spiegato in conferenza stampa il direttore dell’Accademia di architettura dell’Usi Walter Angonese. Ed è ancora più interessante vedere «una nuova generazione e rendersi conto che in un paese meraviglioso, con un grande passato ma anche con problemi demografici ed economici, stia emergendo una giovane scena così stimolante». Non è solo la scoperta di una cultura della costruzione lontana, cercando differenze e punti di contatto, «ma anche di mostrare come queste giovani generazioni stiano lavorando su temi sociopolitici e socioculturali che potrebbero essere importanti in primo luogo per i nostri studenti, ma anche per tutti i visitatori». I lavori selezionati – ha aggiunto Marco Della Torre, responsabile delle mostre del Teatro dell’architettura – «dimostrano che è possibile adattarsi in maniera creativa anche all’uso di risorse limitate, operando sul patrimonio esistente e in condizioni economiche non sempre vantaggiose: un bell’esempio non solo per i nostri studenti, ma anche per chi è già inserito da tempo nel sistema produttivo dell’architettura».

Due piani, tante storie

Per esplorare questa nuova architettura giapponese, troviamo nella sala al piano terreno una ventina di progetti, tutti realizzati negli ultimi cinque anni e di dimensioni diverse, da ristrutturazioni di singole case alla trasformazione di un supermercato in disuso in un centro multifunzionale con sale a disposizione per la comunità, un doposcuola e strutture per anziani (è il progetto Kasuga Centre Centre dell’architetta Chie Konno). «Questa selezione mostra la diversità delle pratiche emergenti in Giappone oggi» ha spiegato Shinohara. Tra i progetti più interessanti c‘è il ‘Good Cycle Building’, a Nagoya, una ristrutturazione di un edificio per uffici degli anni Novanta. L’architetto ha rimosso la facciata in vetro tipica del periodo per crearvi una serie di balconi accessibili che permettono ventilazione naturale e luce solare diretta, riducendo così il consumo energetico. I materiali di scarto generati durante la ristrutturazione sono stati trasformati in arredi e altri elementi dell’edificio. «In Giappone esiste un modello chiamato ’scrap and build’: gli edifici hanno tipicamente una vita utile di circa 30 anni, dopo i quali vengono demoliti e ricostruiti» ha spiegato il curatore. «Questo edificio avrebbe dovuto essere demolito, ma l’architetto ha scelto di trasformarlo invece, prolungandone la vita utile e creando un prototipo applicabile ad altri edifici simili».

Al primo piano, la mostra si concentra su cinque studi di architettura, approfondendo il loro processo creativo e il loro approccio alla professione. Qui il visitatore può vedere non solo i progetti, ma anche filmati, modelli e materiali provenienti dagli studi, nonché interviste video in cui gli architetti spiegano il loro pensiero. Qui scopriamo ad esempio il ‘Chidori Bunka’ dei dot architects, uno studio collettivo che opera in un quartiere periferico di Osaka. Hanno trasformato un intero isolato di case abbandonate in uno spazio culturale e comunitario, preservando gran parte della struttura originale nonostante fosse stata costruita in modo improvvisato e spesso con materiali di recupero. «La caratteristica unica è che gli architetti continuano a essere coinvolti nel progetto anche dopo il suo completamento» ha raccontato Yuma Shinohara.

«Ciò che sta accadendo oggi in Giappone è rilevante per il mondo intero e offre spunti per una discussione più ampia sul ruolo dell’architettura in un contesto di post-crescita» ha concluso il curatore. «Questi progetti dimostrano che ‘adattarsi’ non significa rinunciare, ma può dar vita a una straordinaria creatività».