laR+ Museo comunale d’arte moderna

Joana Vasconcelos e la giocosa trasformazione dell’ordinario

Alla rinomata artista portoghese è dedicata un’antologica ad Ascona. ‘Non si tratta di distruzione o riassemblaggio, ma di reimmaginazione’.

Wash And Go, 1998
(Atelier Joana Vasconcelos)
13 giugno 2025
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Un grande cuore in filigrana rosso dalle fattezze del ‘cuore di Viana’ – il tradizionale gioiello portoghese d’oro o d’argento solitamente portato dalle donne in occasione dei matrimoni come simbolo di purezza – che sospeso sul proprio asse compie un movimento di rotazione circolare, immerso in una stanza con le pareti nere in cui risuona uno struggente brano di fado di Amalia Rodrigues che parla del contrasto tra mente e cuore. Contrasto che rispetto a quell’atmosfera carica di suggestione emerge, tutt’a un tratto, nell’avvicinarsi all’installazione che risulta interamente e sorprendentemente composta da posate in plastica usa e getta.

Per la precisione sono «4’000 forchette, 4’000 coltelli e 4’000 cucchiai. D’altronde il fado si ascolta nei ristoranti – commenta l’autrice durante la visita guidata –. Le posate sono state piegate a mano a una a una, ci sono voluti più di sei mesi, e il lavoro di quattro persone, per realizzare quest’opera, che ha una struttura molto fragile».

‘Coraçao independente vermelho’ è solo uno dei tanti esempi di quella giocosa trasformazione dell’ordinario in straordinario che con le proprie opere realizza Joana Vasconcelos e che da domenica 15 giugno fino a domenica 12 ottobre si potrà vedere al Museo comunale d’arte moderna di Ascona in una mostra antologica dedicata all’artista nata a Lisbona. Intitolata ‘Flowers of my desidre’ e appositamente ideata per quegli spazi, l’esposizione curata dalla direttrice del museo Mara Folini e da Alberto Fiz propone oltre trenta opere – tra installazioni, lavori a parete, dipinti, disegni video e libri – che ripercorrono i momenti più rilevanti del percorso creativo di una delle voci maggiormente autorevoli dell’arte contemporanea che ha partecipato a tre Biennali d’arte di Venezia, esposto in prestigiose sedi in tutto il mondo ed è stata la prima donna a proporre una propria mostra alla Reggia di Versailles e al Guggenheim Museum Bilbao.

Riconosciuta per le sue sculture monumentali e le installazioni immersive, Vasconcelos decontestualizza gli oggetti di uso quotidiano e con leggerezza e ironia affronta tematiche connesse con l’identità femminile, la relazione tra spazio domestico e pubblico, la società dei consumi e la memoria collettiva.

‘Cultura alta e popolare si fondono in un’opera totale’

E la dimensione collettiva, come sottolineato da Maria Folini nella presentazione davanti ai rappresentanti media, è proprio uno degli aspetti che caratterizza quella «sorta di “bottega rinascimentale” reinterpretata in chiave contemporanea» – così la descrive nel catalogo – che è l’Atelier di Vasconcelos dove «la collaborazione tra diverse competenze – l’artigianato tessile, la ceramica, la metallurgia, la progettazione ingegneristica, la programmazione digitale e tecnologica – concorrono alla realizzazione di opere complesse, multidisciplinari e monumentali». Insomma, nella struttura operativa dell’Atelier, rimarca la direttrice, «cultura alta e popolare, considerate di pari dignità, si fondono magistralmente in un’opera totale”, opera che «ammicca allo spettatore mentre lo spiazza, con ironia e sagace incisività».

‘Oggetti disubbidienti, che non si riescono a possedere’

Sulla capacità di Vasconcelos di destabilizzare il nostro sguardo, «di metterci continuamente in crisi – pone l’accento anche il co-curatore Alberto Fiz –. Da un lato abbiamo questa debordante monumentalità delle opere che però, quando ci avviciniamo, inizia ad assumere una fortissima ambiguità e prende a traballare». Fiz parla di «oggetti disobbedienti, oggetti che prendono sempre un’altra strada, motivo per cui non riusciamo mai a catturarli, a possederli fino in fondo». E riferendosi a un’altra capacità di Vasconcelos, quella di giocare continuamente tra il macro e il micro, scrive nel catalogo: «Ciascun lavoro prende vita partendo dall’assemblaggio di elementi in serie o da intarsi minuziosi seguendo un procedimento del tutto simile a quello del ricamo».

L’uncinetto come continuità, creatività e cura

Ricamo che assieme al ‘crochet’ – così si chiamano in portoghese le lavorazioni all’uncinetto – sono elementi presenti in numerose opere di Vasconcelos. L’uncinetto, che originariamente era utilizzato dai pescatori per realizzare reti, per l’artista «riflette resilienza e tradizione – dichiara in un’intervista condotta dai due curatori –. Se sai lavorare all’uncinetto, puoi pescare, puoi vestirti e abbellire l’ambiente che ti circonda. È qualcosa di potente, che riguarda continuità, creatività e cura. Rappresenta una grande tradizione femminile rimasta per secoli nell’oblio». E il suo uso dell’uncinetto, osserva la stessa artista, «è un omaggio a quelle mani invisibili».

Il femminile al centro

Ad Ascona molte opere hanno per tema il femminile, letteralmente centrale nello spazio museale: infatti dal lucernario scende un pezzo della serie ‘Valchirie’, una scultura tessile monumentale alta dieci metri disposta verticalmente e che a seconda del luogo da cui la si guarda presenta uno scorcio differente. Nella consuetudine di dedicare tali sculture a donne che hanno fatto la storia dei luoghi in cui vengono esposte, l’artista portoghese ha voluto omaggiare con questo esemplare la ‘Baronessa’, espressione con cui Marianne Werefkin, artista russa alla quale si deve la fondazione del museo asconese, veniva chiamata dagli amici facendo riferimento ai suoi nobili natali.

«Realizzate con tessuti, ricami, brocanti, velluti, lustrini e luci al Led – dice Fiz delle ‘Valchirie’ – planano nello spazio mantenendo costante la loro componente fluida. Sono, a ben vedere, opere queer per il loro destino ibrido e per la volontà di uscire da categorie predeterminate».

Varie le opere di critica sociale tra cui si trova l’ipnotico ‘Fashion Victims’, un’installazione dove tre bambole nude dal volto infantile con forme adolescenziali vengono progressivamente ricoperte da fili provenienti da rocchetti attivati da un motore. A poco a poco, i volti delle bambole scompaiono, la loro bocca viene imbavagliata e le gambe legate per mantenere visibili solo i seni e il pube. È la rivisitazione personale di Vasconcelos delle Tre Grazie.

La rocambolesca storia del letto di Valium

Davanti a ‘Cama Valium’, grande letto ansiolitico formato da blister per medicinali che contengono pastiglie di Valium, l’artista intrattiene i visitatori con degli esilaranti racconti sulla rocambolesca storia dell’opera: dal quasi divieto di esporla in un museo perché conteneva pastiglie di un dosaggio – 10 milligrammi – ormai vietato per il Valium nel Paese ospitante e dunque considerate come droga, al furto di alcune di esse proprio per la loro irreperibilità, fino alla stima del valore dell’opera calcolato dalla curatrice di un altro museo considerando solo il prezzo delle pastiglie sul mercato nero: ebbene, risultava più alto di quello dei Picasso in possesso dell’istituzione. «Si tratta di un’opera molto importante nella mia storia personale – rilevare Vasconcelos facendosi seria –, molte persone intorno a me prendevano dei farmaci. In particolare queste pastiglie di 10 milligrammi offuscavano completamente la mente: la parte alta del letto fatta di vetro sta a rappresentare proprio il vuoto nella testa, la malattia mentale».

‘Sono la versione femminista di Duchamp’

Tra le sezioni dell’esposizione ce n’è una denominata ‘Stupid Furniture’, un progetto che prevede il riutilizzo di mobili desueti o destinati a finire nelle soffitte: Vasconcelos ne riattiva le energie inserendovi forme tessili colorate che avvolgono strutture in legno o vetro in modo da creare ambienti organici e multidimensionali. I mobili inutili escono dal loro isolamento per invadere gioiosamente l’ambiente: sono opere che hanno titoli evocativi familiari o sentimentali quali ‘La Sirenetta’, ‘Caldi Abbracci’, ‘Happy Hour’, ‘Acconciatura’ o ‘Lollobrigida’ in omaggio all’attrice italiana.

Interpellata sul suo approccio, l’artista dichiara che le piace pensare a se stessa «come a una versione femminista di Duchamp. Il suo lavoro – evidenzia – era basato su una logica molto maschile e concettuale. Io lavoro in modo diverso, introduco emozione, intuizione e narrativa». Per Vasconcelos non si tratta di distruzione o riassemblaggio, «ma di reimmaginazione».

L’esposizione, che si sviluppa sui due piani del museo, presenta numerose altre opere tutte da scoprire in un itinerario appassionante che apre in continuazione nuove prospettive sul mondo, ma cui è necessario avvicinarsi senza pregiudizi tanto che, prima dell’ingresso, gli spettatori sono costretti a passare attraverso ‘Wash and go’, una installazione che ricorda l’autolavaggio, formata da due rulli ricoperti da collant colorati che propongono una simbolica rigenerazione.