Dal Museo Hammer di Los Angeles alla Fondazione Gianadda di Martigny, un itinerario nell’arte francese dall’Ottocento ai postimpressionisti
Chi si fosse recato a Los Angeles forse ha in mente l’imponente massiccio edificio, posizionato sull’angolo tra due importanti boulevard, dove ha sede il Museo Hammer fatto erigere dall’imprenditore e industriale Armand Hammer (1898-1990) per esporvi la propria collezione d’arte. Venne inaugurato il 28 novembre 1990 con una mostra del pittore suprematista russo Kazimir Malevich, successivamente trasferita al Metropolitan Museum of Art di New York. Da allora il museo non ha solo presentato importanti rassegne d’arte sia storica che contemporanea, ma si è anche profilato come un centro culturale che, in partenariato con l’Università della California di Los Angeles (Ucla), ha acquisito rinomanza con i suoi incontri pubblici fatti di conferenze, simposi, concerti e proiezioni cinematografiche. A partire da giugno 2025, le collezioni, le mostre e i programmi del museo sono completamente gratuiti per chiunque voglia profittarne. Il che è notevole oltre che commendevole.
Armand Hammer nasce a New York nel 1898 da madre russa e padre russo-americano di prima generazione. Laureatosi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia della Columbia University, si reca in Unione Sovietica all’inizio degli anni 20 per rappresentare gli interessi dell’azienda farmaceutica di famiglia. Soggiornerà poi per ben nove anni in Russia, fornendo dapprima assistenza medica durante un’epidemia di tifo sugli Urali, aiutando poi la popolazione colpita dalla carestia provvedendo a far portare aiuti alimentari e medicamenti. Negozia poi un accordo commerciale con lo stato russo in base al quale può importare grano dagli Stati Uniti in cambio di prodotti russi spediti in America. Dopo un breve soggiorno a Parigi, dove si intensifica il suo interesse per l’arte moderna, torna in America e si dedica a molteplici attività: distilla whisky, produce mangimi per il bestiame che alleva pure, nel 1928 diventa socio (insieme al fratello Victor, laureato in Storia dell’Arte) di una rinomata galleria che poi ritira e lascia a Victor di dirigere. Nel 1971 acquista pure una delle più importanti e storiche gallerie degli Stati Uniti, la Knoedler & Co, fondata a New York nel 1848 e associata con la celeberrima Goupil di Parigi presso la quale avevano lavorato anche Vincent van Gogh e suo fratello Theo. L’arte era insomma il quotidiano companatico nell’intensa vita per Armand Hammer, tra le tante attività cui si dedicava e da cui traeva grandi profitti. Il quale, da uomo d’affari e ricco collezionista ma anche filantropo, l’ha poi però messa a disposizione di tutti.
Attualmente l’Hammer Museum accoglie e gestisce cinque collezioni distinte tra cui la Hammer Contemporary Collection incentrata sull’arte contemporanea; la collezione Grunwald appartenente all’Ucla che dispone di ben 40’000 tra stampe, incisioni e disegni dal Rinascimento ai giorni nostri; nonché le due originarie collezioni messe insieme da Hammer soprattutto dagli anni 60 e cioè la Armand Hammer Collection e la Armand Hammer Daumier and Contemporaries Collection da cui è poi derivato l’impulso originario per la fondazione dell’omonimo museo. Proprio da quest’ultime attingono quasi tutte le opere esposte in questi giorni a Martigny, il cui focus è sostanzialmente incentrato sull’arte francese del XIX secolo. Mentre la prima si profila come uno sguardo panoramico sull’evoluzione dell’arte francese durante l’Ottocento ed è il nucleo centrale della rassegna da Gianadda, la seconda raccoglie migliaia di opere tra litografie, disegni, pitture e sculture tutte incentrate sulla produzione artistica, grafica, caricaturale e satirica di Honoré Daumier (1808-1879) e di alcuni altri artisti a lui affini. Di conseguenza ha un ruolo minore nell’economia della mostra dal momento che Daumier non è che un artista tra tanti, ma spicca comunque specie per la straordinaria serie di bronzetti caricaturali che ritraggono noti personaggi del suo tempo. Armand Hammer amava Daumier al punto da riunire la più ampia documentazione sull’opera di questo straordinario artista che ci ha lasciato un impietoso spaccato della situazione sociale, politica, culturale e artistica della Francia di metà Ottocento.
In definitiva la mostra allestita a Martigny è un’interessante rassegna monografica, un sintetico ma anche qualificato excursus sull’evoluzione dell’arte in Francia a partire dal neoclassicismo (che in realtà non è rappresentato con opere dei suoi nomi più celebri artisti di inizio Ottocento, da Jacques-Louis David,1748-1825, a Jean-Auguste Ingres,1780-1867) ma richiamato per accenni con degli affondi che partendo da alcuni straordinari ritratti di Tiziano, Rubens, Rembrandt e, passando poi per Watteau e Fragonard, arriva alle celebri nature morte di Chardin con le quali si misurerà lo stesso Cézanne. Si tratta di una sorta di prologo che poi apre sulle innovazioni formali e tematiche di Corot, Daumier, Millet, colui che Van Gogh, artisticamente parlando, chiamava “papà Millet”. Esplode poi la parte centrale incentrata sugli impressionisti e postimpressionisti, con Gauguin, Cézanne e Van Gogh che vanno presto per proprie strade, lontanissime dal simbolismo per esempio di Moreau, e che già preludono alle esperienze neoavanguardistiche di inizio Novecento, come documenta l’ultima parte della rassegna nello sfaldarsi di forme e colori dei Nabis o con le infiammate cromatiche di Toulouse-Lautrec.