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La Luna dall’utopia alla distopia al Verzasca Foto Festival

La fotografa Rhiannon Adam era pronta a una missione privata verso la Luna. Poi la cancellazione. ‘Rhi-Entry’ racconta questa promessa mancata

Rhiannon Adam e l’astronauta dell’Apollo 8 Bill Anders
(Rhiannon Adam)
6 settembre 2025
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Ci troviamo a Sonogno, circondati dalle montagne, il mormorio del fiume che si confonde con quello dei primi visitatori del Verzasca Foto Festival. «Qui è molto più civilizzato di New York» ci dice, senza ironia, Rhiannon Adam mentre cerchiamo un posto dove sederci per l’intervista.

La fotografa irlandese – è nata nella contea di Cork nel 1985 –, vive tra New York e Londra ed è cresciuta in giro per il mondo insieme al padre che, quando lei aveva sette anni, decise di vendere la casa per comprarsi una barca a vela e fare il giro del mondo. Eppure siamo qui, in mezzo alle Alpi svizzere, per parlare di spazio e di missioni lunari. Adam ha infatti vinto il primo premio del Verzasca Foto Festival con un progetto fotografico decisamente insolito, ‘Rhi-Entry’, allestito nella casa comunale di Brione Verzasca. Alla base di ‘Rhi-Entry’ c’è un altro progetto singolare, ideato dal miliardario giapponese Yusaku Maezawa: ‘dearMoon’, un giro intorno alla Luna sul razzo Starship di Elon Musk con a bordo lo stesso Maezawa e un gruppo di artiste e artisti che, con le loro opere ispirate da quell’esperienza, avrebbero potuto diffondere ideali di pace e solidarietà. Che in bocca alla proverbiale finalista di un concorso di bellezza “la pace nel mondo” suona vuoto e retorico; in bocca a un miliardario pronto a spendere una cifra non precisata ma certamente molto alta, sono parole che prendi sul serio.

Rhiannon Adam era l’unica donna dell’equipaggio principale – e, come ha raccontato, l’unica a non aver firmato il contratto con le sue clausole di cessione dei diritti, riservatezza e antidiffamazione. Così quando il progetto è stato improvvisamente annullato (ufficialmente per ritardi nello sviluppo di Starship), lei era l’unica a poter dire quello che pensa. E un’idea, di quello che Adam pensa di Maezawa, la possiamo trovare nell’allestimento – Gregory Tiani – della mostra a Brione, dove il ritratto di Yusaku Maezawa è posto sullo sciacquone del gabinetto.

Per mesi Rhiannon Adam si era preparata all’idea di partire, di isolarsi, di trasformare l’esperienza fisica della Luna in materia visiva. Poi, nel giugno 2024, l’annuncio dell’annullamento. Quello che resta è il progetto ‘Rhi-Entry’, gioco di parole tra il suo nome e il rientro dallo spazio. Una sorta di museo della missione mancata, fatto di fotografie, archivi storici di passati progetti di turismo spaziale: materiali di scarto e di desiderio che non raccontano solo una delusione personale, ma come una utopia spaziale si è in realtà svelata essere una distopia.

In balia degli elementi

Torniamo agli otto anni che Rhiannon Adam trascorse in barca con il padre. La sua è stata una infanzia in movimento. «Ti abitui a essere sempre un outsider. Non sei un turista, hai la casa con te; vivi dentro i luoghi, ma senza appartenere davvero a nessuno. Non hai un ambiente stabile».

Vivere nell’ambiente ristretto di una barca significa «essere in balia degli elementi: maree, tempeste, caldo estremo. Ti senti vulnerabile». Hai un controllo limitato di quello che accade. «Hai in mano la tua vita, ma fino a un certo punto. Il resto “è quello che è”. Ti colleghi all’idea della tua mortalità: il corpo è fragile, sei alla mercé di ciò che ti circonda. In città lo dimentichi». Dopo settimane di navigazione, «il mare è un orizzonte piatto e blu; poi compare una linea sottile, diventa sagoma, poi palazzi, poi persone. È come tornare sulla terra… una rivelazione lenta della vita». Un’esperienza, come emerso durante i colloqui di selezione per il progetto ‘dearMoon’, simile a quella di una navicella spaziale. «Isolamento, ambiente ostile, risorse limitate, convivenza forzata. Devi accettare che quelle sono le persone con cui resti bloccata».

Non è solo questo ad aver spinto Adam a dedicarsi a questa avventura poi mancata: «Pensavo che sarebbe stata una trasformazione e non solo per me». Adam ha citato Bill Anders – lo troviamo in una delle foto di ‘Rhi-Entry’ –, l’astronauta che durante la missione Apollo 8 scattò la celebre foto del sorgere della Terra (Earthrise). Secondo lui avrebbero dovuto mandare poeti e artisti, nello spazio, per meglio raccontare quella esperienza.

La materia prima del lavoro di Rhiannon Adam, però, è l’attrito tra realtà e racconto. Per questo, pur avendo anche lavorato con vari strumenti tra cui l’intelligenza artificiale, usa prevalentemente la Polaroid: «Una Polaroid è la manifestazione fisica più pura dell’immagine: non la ritagli, non la correggi, reagisce chimicamente all’ambiente e al mio corpo, porta i segni della sua nascita. Con il digitale, spesso cerchiamo la versione nella testa, non quella che c’era. Io voglio vedere il difetto». E infatti, durante i colloqui di selezione, ha insistito sulla fiducia nelle immagini, su come i complottisti mettano in dubbio le immagini delle missioni Apollo, di come una Polaroid possa in qualche maniera dare autenticità fisica all’esplorazione spaziale.

Fine di una utopia

Ma nulla di tutto questo si è realizzato. E la delusione non è stata solo personale. «Credevamo nello spazio come simbolo di libertà: niente leggi, nessuno a dirti “tu esisti/tu no”. Ma la realtà è un’altra: accesso controllato, potere concentrato, dipendenza da miliardari e stati. Libertà estrema, intrappolamento estremo. Le due cose insieme».

‘Rhi-Entry’ «è il mio rientro psicologico nella vita normale: un archivio di fallimenti e di desideri». In mostra, come accennato, anche gli albori del “turismo spaziale” quando negli anni Cinquanta, prima ancora di avere esseri umani nello spazio, si immaginavano viaggi interplanetari raccogliendo i desideri di chi avrebbe voluto lasciare la Terra. «Le lettere conservate ricordano il presente: c’è chi ha scritto di voler fuggire da una Terra di guerre, chi da un mondo che è troppo affollato».

Il messaggio è politico e in continuità con le intenzioni annunciate da Maezawa. E diametralmente opposto alle sue azioni successive. «Dovremmo preoccuparci dello spazio come ci preoccupiamo del clima. È il nostro ecosistema tanto quanto la Terra. Siamo nella seconda corsa allo spazio e pensiamo che non ci riguardi. Sbagliato: ciò che accade lì condiziona ogni vita qui».

Durante la preparazione della missione, Adam è entrata «in stanze dove poche persone possono cambiare la storia e ne parlano con leggerezza». Al centro dell’allestimento per il Verzasca Foto Festival, troviamo appunto riprodotta una di queste sale riunioni. «Vedi come il big business orienta la politica. L’idea romantica del cosmo – l’astronauta eroe, Hollywood, le passerelle – copre un’infrastruttura militare, finanziaria, geopolitica». A mantenere lo spazio un luogo pacifico di esplorazione è semplicemente un ‘gentlemen’s agreement’, simile ai tanti accordi internazionali che vediamo rompersi sempre più spesso. «Siamo clienti nel parco giochi dei ricchissimi. I loro capricci decidono la nostra traiettoria. Un giorno voliamo; il giorno dopo no».

Saputo dell’annullamento, Rhiannon Adam ha chiesto di poter parlare con Maezawa – ottenendo il colloquio solo dopo aver ricordato che lei non aveva firmato alcun impegno di riservatezza. «Ho parlato con lui mentre tutto veniva annullato. Gli ho detto: capisco se vuoi cancellare, siamo in mezzo a una guerra a Gaza, a una guerra in Ucraina, a guerre più o meno note e discusse; prendi quei soldi e usali per qualcosa di buono: aiuti, soluzioni, persino una piattaforma dove i leader possano confrontarsi». Nulla di tutto questo è stato fatto o anche solo tentato e il fatto che Maezawa alla fine si sia comprato uno yacht di lusso e una scuderia di auto da corsa è la più grande amarezza di Rhiannon Adam.

In mare, aveva ricordato all’inizio dell’intervista, «sei in balia delle maree, delle tempeste, del vento». Ma la realtà è che siamo alla mercé di poteri opachi, di miliardari che decidono se un sogno collettivo vive o muore, se una missione parte o viene archiviata.