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Il bianco e nero della materia alla Collezione Olgiati

Si apre domenica 21 settembre l'esposizione dedicata ai due artisti del Novecento Enrico Prampolini e Alberto Burri

(StudioFotoEnricoCano)
20 2025
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Da una parte il bianco, dall’altra il nero: nel primo spazio, quello in bianco, le opere di Enrico Prampolini; nel secondo, in nero, quelle di Alberto Burri. L’allestimento ideato da Mario Botta per la mostra autunnale della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati – visitabile da domani, 21 settembre, fino all’11 gennaio 2026 nello spazio in Riva Caccia, vicino al Lac – si presenta con queste due lunghe sale arricchite da sporgenze e rientranze che creano ombre e tridimensionalità.

Bianco e nero, ovvero Prampolini e Burri, non sono da intendersi come l’uno l’opposto dell’altro: l’allestimento di Botta e il progetto espositivo – curato, sotto la guida di Giancarlo e Danna Olgiati, da Gabriella Belli (per Prampolini) e Bruno Corà (per Burri) – più che una contrapposizione netta vuole suggerire un confronto, un incrocio artistico oltre che biografico. «Sono due artisti autonomi che però viaggiano guardandosi in qualche modo» ha spiegato durante la conferenza stampa Corà. Un allestimento che, con il suo percorso circolare, invita – prima di scappare da un’apertura laterale per vedere le altre (belle) opere della collezione Olgiati in mostra – a visitare due volte il bianco e il nero, così da vedere Burri con la memoria delle opere di Prampolini ancora presente e poi rivedere Prampolini con Burri ancora in mente.

Novecento atto terzo

Un po’ di contesto. La mostra ‘Prampolini-Burri: della materia’ è il terzo episodio del progetto triennale promosso dalla Collezione Olgiati. «Questo trittico di mostre è dedicato a confronti esemplari tra alcuni dei massimi protagonisti del Novecento e ha già documentato la straordinaria contiguità tra Balla e Dorazio e la consonanza di poetica tra Yves Klein e Arman» ha spiegato Danna Olgiati. Il dialogo tra diversi momenti dell’arte è del resto ciò che caratterizza la collezione, con l’idea che «non si può mai scindere la contemporaneità dai grandi maestri che l’hanno preceduta».

Dicevamo degli incroci artistici e biografici. Prampolini, nato a Modena nel 1894 e morto a Roma nel 1956, è di almeno una generazione più giovane di Burri, che è del 1915 ma decise di fare l’artista solo dopo la Seconda guerra mondiale, tornato dall’esperienza della prigionia negli Stati Uniti.

Prampolini è stato, secondo Giancarlo Olgiati, «il massimo degli avanguardisti». Centrale il suo rapporto con il futurismo, e percorrendo la sala si percepisce l’eco del suo difficile rapporto con questa corrente artistica. Come spiegato da Gabriella Belli, Prampolini fu "un disobbediente“ del futurismo, capace di anticipare sperimentazioni che sarebbero diventate centrali nelle avanguardie europee. ”Ammira Boccioni, ammira Carrà, ammira Balla, espone con i futuristi, ma nel 1914 lui data questo piccolo lavoro, il ‘Béguinage’, che anticipa di anni le sperimentazioni dadaiste».

In mostra abbiamo poi gli anni parigini (1925-1937) e la fase dell’idealismo cosmico. Con l’introduzione di “materiali non tradizionali” come plastiche «che erano materiali assolutamente innovativi in quel momento», ha spiegato Belli.

A unire Prampolini e Burri, e tenere idealmente insieme il bianco e il nero di questa mostra, è infatti la materia. L’apertura a materiali eccentrici e anomali rispetto alla tradizione della pittura è certamente una delle chiavi di lettura dell’arte del Novecento e qui se ne assapora la centralità. Per Burri il rapporto con la materia è riconducibile a quello che Corà ha definito “un grande trauma”. Il riferimento è alla sua esperienza di ufficiale medico in Africa durante la guerra e la prigionia. «Quando ritorna ha già deciso che farà il pittore. Il problema fondamentale è fare una pittura come non è stata fatta mai, secondo lui, ricominciando da zero».

L’incrocio tra Prampolini e Burri, come accennato, non fu solo artistico ma anche biografico. I due si sono effettivamente conosciuti durante il decennio romano che va dal 1947 al 1956. Confrontando le biografie, potremmo dire che Prampolini fu il maestro e Burri il discepolo che apprese e andò oltre, ma in realtà il rapporto tra i due non fu così lineare e pacifico. «Parliamo di due artisti che non si sono amati e anzi abbiamo un appunto, o meglio un disappunto, di Burri che sconfessa l’idea avanzata da molta critica che ci fosse stata una influenza di Prampolini» ha spiegato Belli. Tensione confermata da Corà che tuttavia ha aggiunto come «le opere parlano da sole» e testimoniano uno scambio artistico che andava oltre le divergenze personali.

L’arte e il coraggio dell’umanità

Mario Botta ha ascoltato i curatori e ideato questo allestimento tra bianco e nero. Ma nel suo progetto non c’è solo questo “dialogo di contrasti” ma, come ha spiegato sempre in conferenza stampa, una riflessione molto schietta sul ruolo dell’arte contemporanea. «Di fronte al casino del mondo, il settore dell’arte e delle testimonianze che questi artisti hanno dato, mi sembra che diano un supporto, una spinta, un coraggio in mezzo all’inferno che ci sta attorno». L’arte si presenta infatti come un’attività umana «che può anche redimere tutta questa negatività: siamo orfani di bellezza, siamo orfani di coraggio, siamo orfani di un modo di pensare che ci porti il coraggio di essere uomini oggi sulla terra».