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Novant’anni dopo, di nuovo a Lucerna

Il Kunstmuseum di Lucerna ospita fino al 2 novembre ‘Kandinsky, Picasso, Miró et al.’, una rilettura interessante (e anche bella) della mostra del 1935

Wassily Kandinsky, Durchgehender Strich, 1923
(Walter Klein)

Negli anni Trenta, Lucerna era una città in forte espansione urbanistica, animata pure da una crescente vita culturale. Nel 1933 si era conclusa l’audace costruzione del nuovo Kunstmuseum su progetto di Armin Meili, tra i più significativi esempi di architettura modernista svizzera nel periodo tra le due guerre: abbandono di qualsiasi riferimento classico-storicista, linee pulite e volumi geometrici, chiarezza compositiva e organizzazione razionale delle parti, volumi e spazi funzionali privi di ornamenti superflui. Quell’edificio fu poi demolito nel 1991 per lasciar posto al nuovo Centro culturale e congressuale di Lucerna (KKL Luzern), progettato dall’architetto francese Jean Nouvel. Nel clima di allora fu un evento spartiacque, celebrato soprattutto da una ristretta cerchia di intellettuali, architetti e artisti del moderno, ma che per non pochi altri fu come un pugno nello stomaco. Tanto più che per la sua inaugurazione Paul Hilber, direttore dal 1925 al 1949, optò per una mostra altrettanto radicale incentrata proprio su artisti e movimenti del ‘moderno’ in modo da conseguire un’ideale correlazione tra architettura, pittura e scultura. In affinità con il titolo della rassegna stessa: Tesi-Antitesi-Sintesi.

Nessun intento commemorativo

Da qualunque parte la si guardi e consideri, se riposizionata nel suo contesto storico e culturale, quella fu senz’altro una rassegna che divenne un punto di riferimento, fors’anche divisivo, nella storia non solo del Kunstmuseum ma anche dell’arte svizzera. Ciò che permise al museo lucernese di affermarsi a livello internazionale e restò poi nella memoria come un evento “leggendario e senza pari”. Per questo, a 90 anni di distanza, la direzione di quella istituzione ha deciso di ricostruirla e ripresentarla: non per un intento commemorativo o di autocelebrazione, ma per una sua rivisitazione e rilettura storica alla luce di quanto è avvenuto poi. Bisognava, però, identificare anzitutto le opere allora in esposizione che, all’epoca, venivano direttamente dagli atelier degli artisti, ma da ricercarsi ora in importanti collezioni, pubbliche o private, sparse nel mondo.

Non tutte però. Grazie a un impegnativo lavoro di ricerca durato 5 anni, delle 99 opere allora in mostra, 69 sono state identificate sulla scorta di documenti d’archivio, descrizioni e fotografie; per 26 di queste non si sa più nulla, quattro sono state probabilmente distrutte, 43 sono state rintracciate e presenti per la mostra, le restanti sono invece state sostituite con opere coeve stilisticamente affini a quelle originali.


Stadler
Hans Erni, Plastide, 1934

Svizzeri inclusi

Quel che va subito detto è che ci si confronta con una mostra non solo interessante, ma anche assai bella, con opere veramente ammirevoli, veri capolavori che hanno contribuito a creare la recente storia dell’arte europea. Vi si possono ammirare opere di Cézanne e Van Gogh, di Braque e Picasso, di Juan Gris e Léger, di Derain e de Chirico, di Kandinsky, Mondrian e Paul Klee, di Max Ernst, Miró e Alberto Giacometti (ma non di suo padre Giovanni o di Hodler e Cuno Amiet, per fare dei nomi di importanti artisti svizzeri). C’erano anche Jean Arp e sua moglie Sophie Taeuber-Arp, unica donna presente in mostra (ecco i primi segni di un distanziamento critico che già si affaccia), in quanto giustamente difesa e voluta dal marito che diversamente non avrebbe esposto sue opere; cosa che non riuscì invece a Ben Nicholson nei confronti dell’allora sua moglie, la rifiutata scultrice Barbara Hepworth: un torto cui ha voluto porre rimedio la curatrice Fanny Fetzer inserendola oggi in mostra e volendo con quell’atto fare ammenda di tanti pregiudizi che, allora come nei decenni a seguire, hanno precluso la strada a non poche donne (artiste e non) impedendo loro “pari opportunità”.

Va anche segnalato che la cancellazione all’ultimo minuto di alcuni prestiti già concordati, indusse il mercante d’arte Siegfried Rosengart a integrare la rassegna con alcuni dipinti, tra cui le due nature morte di Paul Cézanne e Van Gogh. Per quanto rilevanti, sono opere che, con la loro presenza, spostavano però equilibri e tempi del progetto iniziale, tutto intenzionalmente incentrato sulla storia del “modernismo” novecentesco, nella linea che dalla figurazione cubista arriva, per passaggi interni, all’astrazione di Mondrian e, più tardi, dal surrealismo perviene alla reazione degli astrattisti contro il surrealismo allora dominante. Da qui il titolo Tesi-Antitesi-Sintesi che, ambiziosamente, proiettava, per l’arte a venire, un’ideale e innovativa linea di incrocio e sintesi tra le varie tendenze di quel “moderno”, e ignorando i primi cupi venti che in Germania soffiavano sull’“arte moderna e degenerata”, in particolare sugli espressionisti che non figurano in questa mostra. Per due ragioni: che la rassegna voleva essere di settore, e quindi volutamente indirizzata verso un preciso ambito del “modernismo”; la seconda, perché il giovane Hans Erni (1909-2015), che doveva allora definire la cerchia degli artisti da esporre, propose perlopiù quelli da lui conosciuti e frequentati nei suoi soggiorni a Parigi. La mostra divenne così una sorta di ‘cronaca dal fronte’ di Parigi, uno dei luoghi di nascita del modernismo, ignorando non pochi altri artisti e correnti, di altri paesi e regioni, che pure contribuirono in maniera sostanziale all’affermarsi di quel movimento culturale e intellettuale, assai più articolato e complesso per esser racchiuso in quel tracciato.


Successió Miró
Joan Miró, Peinture, 1925