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Una natura morta miracolosamente in equilibrio

Era già stato ospite della Galleria Doppia V di Lugano-Besso nel 2020, Santiago Carrera vi è tornato, per restarvi fino al 17 ottobre

1 ottobre 2025
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Santiago Carrera (Buenos Aires, 1982) è un artista argentino. Definirlo semplicemente fotografo sarebbe forse riduttivo, poiché sa creare improbabili ‘nature morte’ dove zucche, pannocchie, uva e melograni stanno miracolosamente in equilibrio una sull’altro e con uno sfondo nero che esalta affinità e/o discordanze cromatiche. Era già stato ospite della Galleria Doppia V di Lugano-Besso nel 2020, dove allora presentò le sue ‘piramidi vegetali’ ancora congelate, la brina scintillante ancorché sull’orlo di vedersi compiere il proprio destino: trasformarsi in gocce d’acqua e scivolare definitivamente su scorze e bucce.

A distanza di un lustro, Carrera torna a Lugano per proporci stavolta un’altra declinazione delle sue piramidi vegetali. Ancora miracolosamente, una sull’altro e senza trucchi di sorta (fili di nylon o peggio ancora colla!), la sua mercanzia non è più semiscongelata, bensì ricoperta da pennellate di acrilico nero, “forse nell’ambizione di un connubio tra la natura e cioè che è una sorta di suo opposto: il sintetico” (S. Sala). Tra l’oscurità dello sfondo – ancora nerissimo – e frutta&verdure di nero dipinte, ecco irrompere quello che Roland Barthes definiva “il punctum”. Quel dettaglio che attira immediatamente l’occhio dello spettatore messo di fronte a un’immagine. Nel caso delle opere più recenti di Carrera, il punctum può diventare il giallo vivissimo di una zucca perforata come un tozzo di emmental; il rosso dei semi d’un melograno tagliato esattamente a metà e ancora in equilibrio sull’immancabile zucca, stavolta però con una banana che si appoggia delicatamente sulla piramide. Nature morte d’una certa originalità, che possono pure richiamare quelle proposte dal brasiliano Vik Muniz (1961), solito creare dei set con materiali improbabili (polvere, reti da pesca usurate o petali essicati), ricoprire poi il tutto con cioccolata fondente e infine fotografarlo. Fece scalpore un altro suo gesto iconoclasta: ricoprire la Monna Lisa con burro d’arachidi e gelatina. Un procedimento che se da un lato ci interroga(va) sulla nostra costruzione della memoria e della percezione, dall’alto non nasconde(va) certo il manifesto bisogno di un tocco ludico.

Carrera non si spinge a gesti così eclatanti, accontentandosi per così di stupirci e divertirci. Difficile non sorridere dinnanzi al ‘racconto’ del tuorlo di un uovo: refrattario all’equilibrio richiesto dalla consueta piramide, si spezza il guscio nella caduta – e il giallo del suo tuorlo diventa allora punctum. Poi, sempre miracolosamente, lo ritroviamo bello sodo qualche immagine più in là!

Nelle altre due sezioni che completano la mostra, Carrera si ritaglia un metro quadrato di cielo, velando delicatamente il proprio obiettivo per cogliere sia gli ultimi bagliori dell’occaso, sia le tenebre che anticipano il buio della notte. Forse “solo una provocazione – annota ancora Simona Sala nella brochure che accompagna l’esposizione – in un’epoca abitata da una civiltà che già si è comprata lo spazio, che ha già messo le mani sui mari, per non parlare della Terra (…) Quanto manca fino a quando vedremo in vendita il cielo?”.

Carrera tuttavia ci regala una brezza di speranza: quella figura rossa (un panno liberatosi dalle mollette, un aquilone sfuggito di mano, due pagine strappate da un libro?) che svolazzando si staglia sul grigio-bianco del nevischio onsernonese. “Era la prima volta che Santiago vedeva la neve – ci racconta la Signora Eugenia della Galleria Doppia V ricordando una gita di qualche anno fa – e si divertì come un matto a calpestarla e a ricoprirsi la faccia coi candidi fiocchi!”.


Per la serie Still Life