laR+ L'intervista

Un nuovo cold case per Delia Fischer

Esce per Salvioni editore ‘Le Idi di giugno’, ultimo romanzo della saga nata dalla penna di Monica Piffaretti. Il 5 giugno la presentazione a Bellinzona

Il nuovo libro si sviluppa sullo sfondo dell’ultima dittatura novecentesca europea
3 giugno 2025
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Se fossimo negli States li chiameremmo cold case: casi freddi. Sparizioni, delitti o incidenti rimasti senza un colpevole. Semplicemente irrisolti. Abbandonati per anni, a volte decenni, nel pantano di una storia impossibile da sbrogliare. Fino a quando qualcuno non decide di incamminarsi di nuovo su quella pista cieca e polverosa per un ultimo tentativo di spiegazione. Come fa Delia Fischer, brillante detective nata dalla penna dell’economista, giornalista e scrittrice Monica Piffaretti: ‘Le idi di giugno’ è il quarto volume della saga, pubblicato – come i precedenti – da Salvioni Editore, che vede la protagonista alle prese con un nuovo enigma da ricomporre. Anche qui la chiave per risolvere il caso si trova nella Storia, con la S maiuscola. Piffaretti sceglie infatti, di volta in volta, un’ambientazione specifica in cui intrecciare realtà storica e invenzione narrativa in un’abile commistione di generi, dove suspense, introspezione e documentazione convivono felicemente.

Dopo gli anni ’60 di ‘Rossa è la neve’ (2017), la fine della Seconda Guerra Mondiale in ‘Nere foglie d’autunno’ (2019) e la guerra fredda raccontata in ‘La memoria delle ciliegie’ (2022), ‘Le idi di giugno’ ci conduce a Barcellona nel 1974, dove quattro studenti salgono su un treno diretti a Ginevra per fuggire dal regime franchista. La polizia politica è sulle loro tracce, ma in Svizzera il leader del gruppo non arriverà mai. L’autrice presenterà il libro con Andrea Fazioli giovedì alla Galleria Casagrande di Bellinzona.

Monica Piffaretti, partiamo dalla trama: perché il franchismo?

‘Le idi di giugno’ si sviluppa sullo sfondo dell’ultima dittatura novecentesca europea. Mi intrigava riproporre in chiave indiretta un periodo storico agitato dove si affacciano i fantasmi del ‘900, purtroppo ancora presenti nell’Europa di oggi. I miei libri sono sempre un pretesto per dire anche altro, per osservare attraverso la lente del giallo e della cornice storica la società contemporanea. Mi piace lavorare sui cold case perché emettono ancora le loro radiazioni nel presente, restando in dialogo costante con la contemporaneità. Ma non c’è solo la Storia, gli strati sono molteplici.

Quali?

Ci sono diversi filoni che sviluppo. Quello più evidente riguarda l’indagine poliziesca. Poi c’è la relazione tra le due donne: Delia, la detective, e Montserrat, la moglie del suo amante. È lei a interpellarla chiedendole di occuparsi del caso. Sono due figure che in modi diversi cercano giustizia. Distanti per ovvie ragioni ma con un obiettivo comune. Ho terminato il libro nel 2024, anno del centenario dell’omicidio di Matteotti. Il mio pensiero è andato a Velia, la sua vedova. Una combattente nell’ombra, silenziosa e discreta, che per anni ha chiesto giustizia senza mai ottenerla. ‘Le idi di giugno’ è dedicato proprio a lei.

Si parla anche di tradimento?

Certamente. Lo suggerisce anche il titolo stesso che evoca l’omicidio di Giulio Cesare, simbolo per eccellenza di tradimento. Qui il tema è declinato sotto più aspetti, non solo quello amoroso. Il mondo non si divide in bianco o nero, traditi e traditori, buoni e cattivi. C’è una complessità che merita di essere analizzata.

Come si costruisce un libro che mischia realtà e finzione?

Bisogna innanzitutto documentarsi. Una volta scelto il periodo storico si deve approfondire. Sulla mia scrivania ho diversi libri sul franchismo. Ho visto anche numerosi documentari. Mi servivano per assimilare il contesto, anche se ‘Le idi di giugno’ non è un romanzo storico. Le vicende del passato sono come fili dorati che tesso nella mia trama.

Chi è Delia Fischer? Com’è nata?

Ho creato una figura molto diversa da me anche se in lei confluiscono alcune mie caratteristiche. Ma questo avviene in tutti i personaggi che creo. Perfino negli assassini. Mi piace disseminare tante parti di me qua e là. Delia è una detective sulla quarantina, indipendente testarda. Vive con un gatto e due canarini e ha infranto i sogni di sua madre, che desiderava vederla sposata con tanti bambini. Per risolvere i casi ascolta molto il suo inconscio, fa dei disegni tentando di strappare all’oblio racconti dimenticati, informazioni giudicate in un primo momento trascurabili.

Come ha iniziato a scrivere?

Io nasco come giornalista. Posso dire di aver fatto chilometri e chilometri di articoli. Questo genere di scrittura richiede però un’oggettività che costringe a dosare la parte creativa. Per questo ho iniziato a scrivere cose mie. Mi appaga moltissimo inventare mondi, creare personaggi a partire dalla realtà che assorbo tutti i giorni. Ho cominciato con piccoli racconti ed esordito con la raccolta ‘La panchina di Samarcanda’, che è stato segnalato al premio Stresa. Poi mi sono fatta coraggio e sono passata al romanzo. Ma i miei libri esistono perché c’è qualcuno che li legge. E questa è la cosa che amo di più: la relazione con i lettori che mi fermano per strada. Una dimensione umana che non voglio assolutamente perdere.

Quali sono i suoi autori di riferimento?

Nel campo del giallo sicuramente Fred Vargas. Ora sto leggendo Michel Bussi, che è stato ospite quest’anno al Festival Tutti i colori del giallo. Lui affresca tanti mondi diversi, ricominciando daccapo ogni volta con trama e personaggi. Poi Gianrico Carofiglio, ovviamente.

Premesso che questa è una domanda che raramente si farebbe a uno scrittore di sesso maschile: come ha conciliato quattro figli e una solida carriera in un Paese in cui la parità di genere è ancora lontana?

Non lo so! Me lo chiedo spesso anche io. Ma è vero che non si farebbe questa domanda a uno scrittore maschio. La verità è che incastro tante cose, faccio tanti lavori. Quando sono arrivata al quarto figlio mi sono effettivamente domandata dove trovassi il tempo per fare tutto. Adesso che la più piccola è alle medie posso dedicarmi maggiormente alla scrittura. La mia famiglia è diventata il primo pubblico a cui sottoporre quello che scrivo.

Quali sono le prossime tappe?

Ho un sacco di progetti in testa che ancora non so se realizzerò. Mi emoziona questo filo rosso che si sta creando con la lingua tedesca: la traduzione di ‘Rossa è la neve’ uscirà l’anno prossimo e a ottobre ‘Le idi di giugno’ sarà al festival del Poliziesco di Berna.