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‘Hasta la victoria, siempre!’: il Che oltre l’icona pop

A Bologna una mostra celebra Ernesto Che Guevara raccontando la sua dimensione umana, vitale e storica

(Michele Lapini/Simmetrico Cultura)
14 giugno 2025
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“Agenda un po’ invecchiata dell’anno 68 – ricordava cantando il compianto Gianfranco Manfredi – i poster di Guevara son finiti nel salotto”. Probabilmente è vero che il Che è diventato suo malgrado un’icona universale. Su un ipotetico podio dell’immaginario collettivo, oggi siede, ironia del fato, accanto a due yankee DOC quali Marilyn e James Dean.

Chiarisce lo scopo di fondo della mostra “Che Guevara: tú y todos”, al Museo archeologico di Bologna sino al 30 giugno, uno dei suoi curatori, Daniele Zambelli: “A quasi 60 anni dalla sua morte, si vuole riscattare la figura di Guevara dall’oblio dell’icona pop. Vuole restituire alla sua dimensione umana, vitale e storica una figura cruciale del secolo scorso, caratterizzato da forti istanze rivoluzionarie e dalla lotta per i diritti civili in tutto il mondo”.

Le istanze rivoluzionarie da “forti” si son fatte flebili, sino a scomparire – quasi – del tutto. La lotta per i diritti civili è viceversa più accesa che mai. Nell’Argentina del Che, l’attuale presidente imbraccia la motosega per spazzarli via; la signora Meloni li sta rosicchiando poco a poco, mentre il suo magiaro amico Orbán ne ha già fatto un sol boccone.

La rivoluzione, e non solo…

E sempre giocando di metafora alimentare, avremmo bisogno come il pane di figure quali Guevara, capace non solo di ridare la libertà a Cuba e al suo popolo, ma pure di esportare l’idea della Rivoluzione. Dapprima e sfortunatamente in quel Congo ancora colonia belga, dove re Leopoldo faceva mozzare le mani ai ragazzini che non raggiungevano il tot da lui stabilito nella raccolta quotidiana di caucciù. Cercò di aiutare il socialista Patrick Lumumba, assassinato con – sembra – un ditino della Cia e del Belgio, schieratisi invece col colonnello Mobutu, poi rivelatosi uno tra i più feroci e corrotti dittatori del globo, epperò baluardo dell’anticomunismo. Infine laggiù in Bolivia, dove il nuovo tentativo insurrezionale si concluse col suo martirio. Il sergente Mario Terán ebbe il suo quarto d’ora di celebrità, mentre la Cia – che ha tuttavia sempre ostinatamente negato ogni complicità nell’esecuzione senza processo del Che – se la rideva sotto i baffi.

Tra le più multimediali mostre che il vostro cronista abbia mai visitato (incredibile la messe di documenti originali: foto, scritti, audio e quant’altro), la mostra bolognese si articola filologicamente su tre livelli di narrazione. Il primo, con un taglio prettamente giornalistico, descrive il contesto geo-politico che fece da sfondo alla formazione (è troppo dire “vocazione”?) del Nostro; ed è legato al secondo livello: quello squisitamente biografico, che parte ben prima della Rivoluzione cubana che lo vide protagonista accanto a Fidel Castro e a Camilo Cienfuegos, l’amico più caro a Guevara per il suo carattere gioviale, sempre sorridente e prontissimo alla battuta, anche nelle tremende giornate trascorse sulla Sierra Maestra, sotto gli attacchi e le bombe dell’esercito ancora fedele al dittatore Fulgencio Batista.

Giornalista, scrittore, poeta

Infine, forse l’apparato più sorprendente, ecco il Guevara giornalista, scrittore, poeta e filantropo. Tiene a battesimo “Radio Rebelde”, fonda il giornale “El cubano libre” e crea una ventina di scuole sparse sull’isola di Cuba, dove l’analfabetismo tocca ancora oltre il 40% della popolazione.

Scrive nel suo libro ‘L’America dal suo balcone afroasiatico’: “Il nostro spirito di fratellanza può sfidare l’immensità del mare. Questi uomini dalle barbe e i capelli lunghi, con le loro uniformi verde oliva, sono la Nuova America che scuote le sue membra intorpidite dal troppo tempo passato in ginocchio”.

Clamorosamente sconfitti alla Baia dei Porci (tentativo d’invasione voluto da J.F. Kennedy per rovesciare il governo castrista, nemmeno 100 giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca), gli Usa stanno cercando, da oltre mezzo secolo e invano, una rivincita sui barbudos comunisti con un blocco navale/economico che ancora sussiste, nonostante le promesse elettorali di Obama e di Biden, a parole intenzionati a cancellarlo. Sinora però non se n’è fatto nulla. E con il trumpismo, oggi, la questione non si pone neppure.