Uscito per la prima volta con Einaudi nel 1997, torna in libreria grazie a Casagrande
‘Bambine’ di Alice Ceresa è un oggetto strano. Un libro anomalo che in qualche modo sfugge a tutte le definizioni che negli anni gli sono state date. Uscito per la prima volta con Einaudi nel 1997, torna in libreria grazie a Casagrande, in una versione arricchita da inediti materiali di archivio e più fedele al manoscritto. Questa nuova edizione curata da Tatiana Crivelli ripristina infatti la prosa ritmata da numerosi a capo che l’autrice utilizza per i due capitoli della cornice, e riporta nel frontespizio il titolo ‘La cacciata dal paradiso’, desiderato da Ceresa ma bocciato dall’editore.
Numerose dunque le recensioni uscite all’epoca e tanti i tentativi di inscrivere l’opera in uno specifico scompartimento letterario. Si è parlato di femminismo esistenziale, di iperrealismo, di denuncia della famiglia patriarcale. Definizioni queste che la stessa autrice accoglie solo parzialmente, rifuggendo con eleganza da qualsiasi etichetta posticcia.
“Io non credo – afferma Ceresa nell’intervista di Francesco Guardiani a corredo della nuova edizione – che un autore debba o addirittura possa obiettare alle varie letture alle quali il suo libro indubbiamente può prestarsi: e parlo naturalmente di narrativa”. Lo scopo resta in primis quello di scrivere, per dirlo ancora con le parole dell’autrice, “un libro decente”.
Attorno a questo intento primigenio ruota la produzione letteraria della scrittrice svizzera, vincitrice del Premio Viareggio Opera Prima con ‘La figlia prodiga’ e autrice, nonostante l’imponente quantità di inediti, di solo due titoli pubblicati in vita. La sua scrittura è spiazzante, fatta di contaminazioni eterogenee di stile – non sempre di immediata comprensione – che non mancano però di sfumature ironiche, declinate con irresistibile, aulico humor.
Scritto in modo impersonale, ‘Bambine’, in particolare, ha il piglio di un documentario filosofico/naturalistico intento a riprendere e studiare le abitudini di una specie animale. In questo caso quella sotto stretta osservazione è una famiglia tradizionale formata da un padre che va al lavoro e a pesca, da una madre casalinga e dedita alle attività domestiche e da due figlie, sottomesse alla volontà dei genitori.
Le regole le stabilisce il maschio di casa, al contempo amato e temuto dagli esemplari femminili. In un susseguirsi di brevi capitoli numerati da 0 a 35 ci addentriamo nelle abitudini di questo nucleo, seguendo da vicino la crescita delle due bambine attorno alle quali ruota questa invisibile telecamera. Attraverso i loro occhi e, successivamente, tramite la loro memoria inaffidabile sull’infanzia perduta, ricostruiamo quella che Toti Scialoja, in una lettera all’autrice, definisce come “una vita priva persino di impennate o alibi psicologici e fondata unicamente sull’ingombro momentaneo e insensato del suo esserci”.
Si potrebbe parlare di femminismo, certamente (esilaranti sono le descrizioni dell’uomo, ritratto come il classico maschio alfa, padre/padrone, capace di rapportarsi al mondo femminile solo con un’ottusa coercizione). E di iperrealismo, anche. Ma ci limiteremo a pensare a ‘Bambine’ come a un libro anguilla, che sguscia via appena si pensa di averlo afferrato. Alice Ceresa ha “una scrittura queer – per dirla con la curatrice Tatiana Crivelli –, che diventa un mezzo per ridefinire e decostruire le categorie imposte e costituisce uno spazio di resistenza e di esplorazione identitaria”.