laR+ La recensione

Tutta una vita a strapparsi i capelli

‘Il buco’ (Sellerio) di Gessica Franco Carlevero, romanzo bello e disperato, raccontato con affascinante freddezza chirurgica

Raccontato con l’attenzione di una documentarista
21 luglio 2025
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Una vita raccontata a ritmo di tic. Dall’infanzia fino al presente. In una narrazione che procede per salti temporali, dove lo sguardo della protagonista bambina si intreccia con quello di lei adulta. Il corpo che cresce, le esperienze che cambiano, si accavallano. A rimanere costante quell’unico gesto incontrollato, nevrotico, terribilmente liberatorio: tirare i capelli. Staccarli uno a uno afferrandoli tra indice e pollice fino a far terra bruciata sulla cute martoriata dalle crosticine. Buchi di alopecia, segni visibili di un inconscio che trova nello strappo il suo modo per farsi sentire, per rispondere ai dolori, piccoli e grandi, dell’esistenza. “Tiro mentre guido, parlo al telefono, scrivo, cucino, la destra fa e la sinistra tira, tranquilla. Se tiro troppo la testa brucia, e mi pento. Poggio i palmi sulla cute, una benedizione, e riprendo. Quando nessuno mi vede tiro con due mani allo stesso tempo, punto le tempie”.

Genealogia al femminile

Gessica Franco Carlevero con ‘Il buco’, edito da Sellerio, crea una genealogia al femminile dove la narratrice, poco più che trentenne, racconta in prima persona la sua storia di bambina trascurata, di adolescente poco amata, di giovane donna capace e ambiziosa, eppure sempre precaria. Gli uomini dell’infanzia compaiono come meteore: sono incostanti, distratti, poco affidabili. Le donne restano incastrate nel loro ruolo di madri, abbandonate da compagni troppo impegnati in giochi d’azzardo e tradimenti per occuparsi di loro e della famiglia.

E così la piccola Irma tenta di farcela da sola. Studia, si laurea, scrive, promettendosi una vita diversa, lontana da scenate di gelosia, gabbie e dipendenze affettive. E mentre cerca la sua strada, tira quei capelli che diventano un po’ come la coperta di Linus.

Conosce un ragazzo, si innamora, rimane incinta, si trasferisce con lui a Marsiglia, in cerca di un nuovo, fortunato inizio. Ma i sogni di una realizzazione emotiva e professionale si scontrano con una realtà fatta di lavori precari, pagati a cottimo, di lunghe giornate senza scopo, ad attendere un avvenire che ristagna in un presente noioso e sempre uguale.

Con un neonato da mantenere in terra straniera le alternative si diradano ancora di più. Lui lavora, lei resta a casa. Schiacciata da un ruolo forzato di madre a tempo pieno. Isolata in una città che non conosce. Nonostante tutti i buoni propositi di emancipazione da un passato di sofferenza, ecco il ciclo che si ripete in una passiva maternità che frena qualsiasi possibilità di riscatto, qualsiasi spinta all’indipendenza.

‘Il buco’ è un romanzo bello e disperato, raccontato con affascinante freddezza chirurgica, come se la narratrice osservasse la propria esistenza attraverso il vetro di un acquario. Fatti, eventi, situazioni vengono descritti con frasi brevi, dirette, precise. Con l’attenzione di una documentarista attenta a riportare tutte le informazioni nell’ordine corretto, di modo che ognuna trovi il proprio posto all’interno del giusto scompartimento.

Le emozioni invece non vengono esplicitate. Si manifestano attraverso il gesto ossessivo che sopperisce a tutti i non detti. Mentre i denti mordono la lingua nel tentativo di allontanare da sé le ferite di un passato implacabile.

“Un tonno, nel sonno, sognò che un’onda lo gettava in una scatola tonda. Nel sonno, il tonno rinchiuso nel buio, perduto, chiese fortissimo aiuto. Un granchio, nel sogno muovendo in cerchio le chele, tagliò quel chiuso coperchio. Aperta la scatola tonda, uscì il tonno dal sogno, nuotando nell’onda”.