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Guerre dei mondi e immaginari marziani

Dal recente, e mediocre, adattamento di Amazon del romanzo di Wells a come mito e ideologia guidino ancora l’esplorazione spaziale

Marte che vai, paese che trovi
(nasa)
22 agosto 2025
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Ogni epoca ha la sua ‘Guerra dei mondi’: il romanzo di H.G. Wells tocca del resto temi (umani e terrestri prima che alieni e marziani) che ogni periodo storico sente evidentemente il dovere di rileggere e reinterpretare alla luce delle proprie idee, ideologie e preoccupazioni.

Purtroppo in questo 2025 di conflitti e oligarchie la nostra ‘Guerra dei mondi’ è un film che si segnala più che altro per la manifesta piaggeria verso chi l’ha prodotto, Jeff Bezos e la sua Amazon che lo distribuisce anche nella sua piattaforma di streaming. Basti dire che il salvataggio dell’umanità avviene grazie al servizio di consegna rapida tramite droni del sito di e-commerce (sì, è davvero così e no, non c’è una giustificazione sensata all’interno del film e anzi è ancora più ridicolo di come sembra da questo accenno). Una scena che mette a dura prova anche l’amante più sfegatato del cinema spazzatura e dire che il film di Rich Lee con Ice Cube qualche idea buona l’aveva, come il ruolo della sorveglianza digitale di massa oppure la struttura narrativa, con l’invasione aliena seguita attraverso video e immagini che arrivano sullo schermo del protagonista, un addetto di alto livello dell’intelligence statunitense (certo, nel bel thriller ‘Searching’ di Aneesh Chaganty, proiettato in Piazza Grande al Festival di Locarno nel 2018, la soluzione aveva una funzione narrativa, qui pare solo un modo per non spendere troppo di effetti speciali). Nel complesso il film è “peggio di quel che puoi pensare” (è il claim che troviamo nel trailer e che dovrebbe riferirsi all’invasione aliena, ma che in realtà si applica meglio allo stesso film).

Navi a propulsione psichica

Eppure il film di Lee non è la peggiore opera di fiction che riguarda Marte e anzi rischia di non entrare neanche in classifica vista la presenza di romanzi come ‘Across the Zodiac’ del 1880. L’autore, Percy Greg, presenta un protagonista che su Marte incontra una società matriarcale e reagisce da buon vittoriano, contestando l’egualitarismo marziano con una serie di luoghi comuni paternalisti che già all’epoca dovevano risultare stucchevoli. Pochi anni dopo Gustavus W. Pope, con ‘Journey to Mars’ del 1894, riuscì a fare di peggio: il tenente Frederick Hamilton si risveglia su Marte e si stupisce che gli alieni non conoscano gli Stati Uniti, la più grande e gloriosa repubblica sulla faccia della Terra. Se vi state chiedendo sulla plausibilità di un risveglio marziano, tenete presente che il francese Galopin immaginò delle astronavi a motore spirituale sospinte nello spazio grazie all’energia psichica di migliaia di fachiri. Il drone di Amazon è nulla, al confronto.

Quelle citate sono alcune delle opere giustamente dimenticate che Silvia Kuna Ballerio ha avuto il coraggio e la pazienza di recuperare non tanto per prendersi gioco degli autori o del loro periodo storico – del resto, cosa diranno i posteri del ‘War of the Worlds’ di Lee e Bezos? – ma perché quei romanzi fanno parte del nostro immaginario collettivo su Marte. Il suo saggio ‘Rapsodia marziana. Scienza, fiction e ideologie’ (Codice edizioni) è appunto una esplorazione di quello che questo pianeta (e prima ancora corpo celeste dal colore rosso e dallo strano movimento in cielo) ha significato e significa: non il Marte in sé, ma il Marte in noi. L’idea alla base del progetto è che questo immaginario non riguardi solo il mito o la letteratura, ma sia intrecciato con la ricerca scientifica e più in generale con la nostra visione della vita e della società.

Marte è un vuoto, o meglio si presenta come un vuoto con il suo aspetto desertico e un passato apparentemente più interessante della situazione attuale. E, come intelligentemente osserva l’autrice nell’introduzione, tendiamo a voler riempire i vuoti. Possiamo proiettare su Marte utopie e distopie varie, immaginare società più avanzate, e variamente decadenti, o al contrario più primitive, usare quel pianeta come metafora di invasioni fatte o subite.

Immaginare futuri davvero nuovi

Non si tratta solo di analizzare il contesto culturale e sociale di ricerche scientifiche (pensiamo ai famosi “canali” osservati da Schiapparelli) o di opere letterarie per fortuna più interessanti di quelle citate (una su tutte, le ‘Cronache marziane’ di Ray Bradbury) per evidenziare come queste dimensioni siano strettamente intrecciate le une alle altre. L’aspetto davvero interessante, e potremmo anche dire urgente, del saggio è quello di farci interrogare sul peso che questo immaginario ha ancora oggi ad esempio nei progetti di esplorazione e colonizzazione marziana. E il pensiero qui va subito a Elon Musk e ai suoi progetti di dare all’umanità una casa al di fuori della Terra. Il suo, e lo si capisce bene leggendo i vari capitoli di ‘Rapsodia marziana’, è un futuro vecchio, strettamente legato alla retorica della frontiera e ai modelli espansionistici ottocenteschi. Marte è un “nuovo mondo” da conquistare e sfruttare, senza perdere tempo a ragionare non solo sugli aspetti etici, ma anche quelli tecnologici e politici di una simile colonizzazione.

Forse il punto è tornare alla ‘Guerra dei mondi’. Non al film, che riprende e in maniera abbastanza maldestra la retorica dell’alieno come nemico e della salvezza nell’economia di mercato, ma il romanzo originale di H.G. Wells. La sua ‘Guerra dei mondi’ del 1897 è un capovolgimento della retorica precedente (e di buona parte di quella successiva) sull’esplorazione e il progresso oltre che una forte critica al colonialismo e all’imperialismo britannico e in generale europeo, la cui voracità e spietatezza viene proiettata su invasori marziani. Si potrebbe ripartire da qui per provare a costruire qualcosa di nuovo che non veda in Marte (o nella Terra) semplicemente uno spazio libero a disposizione dell’umanità o, meglio, di pochi esseri umani ricchi e potenti. Come scrive l’autrice nell’ultimo capitolo, “ripetendo acriticamente lo stesso modello di sviluppo nello spazio, rischiamo di non avere più nessun posto in cui scappare, e questo ci impedirà di andare davvero oltre; l’espansione diventerebbe quindi uno strumento per rimanere fermi dove siamo, riciclando vecchi futuri”.