laR+ Eurovisioni

Un tram che si chiama Eurovision

Le delegazioni su rotaia, sul Turquoise carpet più lungo di sempre tra guggen, danze, pro-Palestina e fuori programma calcistici. Domani la musica

A sinistra Zoë Më, in gara per la Svizzera
(Keystone)

C’è quella vecchia storia che dice che a un certo punto della loro vita, chi prima chi dopo, molti grandi artisti ambiscano a vestirsi con larghe e lunghe tuniche bianche, testimonianze di un’acquisita spiritualità di cui i fan, disposti per natura a trasformarsi in discepoli o addirittura in sudditi, possono beneficiare. È un’attitudine della gente di spettacolo che a volte è solo un’escrescenza di onnipotenza data dai fumi del successo, altre volte una naturale predisposizione all’imbonimento delle folle, la stessa dei promotori finanziari o dei venditori di pelacarote nei mercati in piazza, che alle carote fanno fare i riccioli. Interrogato sul suo rapporto con i raduni musicali, Woody Allen disse un giorno che le rockstar gli ricordano tanto i dittatori, per via della modalità di comunicazione univoca; altri invece vedono i frontman come leader religiosi che i fan li benedirebbero pure, non fosse che anche al delirio di onnipotenza c’è un limite, e quindi preferiscono allargare le braccia come San Domenico Modugno e limitarsi a una più contenuta venerazione.

Uno di questi mistici, durante un vecchio Festival di Sanremo nel quale gareggiava, si alzò dal suo posto al ristorante per ottemperare a una mistica minzione, e per via del completo bianco candido indossato venne scambiato per un cameriere da un vate della canzone napoletana, oggi non più vivente, che sedeva un paio di tavoli più in là. “Ragazzo!”, gli disse il vate, “mi porti dell’acqua!”. “Maestro, ma io sono Tizio!”, rispose il cantante di bianco vestito, dove Tizio sta per noto cantautore che ha fatto la storia della canzone italiana. E il maestro: “Ah scusami. Allora mi chiami un cameriere?”. Anche il maestro era vestito di bianco.


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Australia douze points

Moltiplicazioni

Nel giro di pochi giorni siamo passati da Roma a Basilea, da un giubilo collettivo a un altro. Certo, a Roma erano in ballo i destini del mondo e all’Eurovision Song Contest (Esc) al massimo sono in gioco quelli della discografia. E il trio svedese KAJ, dato per vincente quest’anno con una canzone che parla dei benefici della sauna, vanta meno del miliardo e 400 milioni di fan della Chiesa di Roma, in testa nella hit parade delle chiese. Anche Lucio Corsi, che in Italia è in via di beatificazione per essere artista vero in mezzo a un coro di voci senza niente dietro, al massimo può fare la moltiplicazione dei dischi, cosa che – guardando a quanti se ne vendono oggi – pare un miracolo.

Però certe idolatrie, certe sfumature del culto, hanno affinità sorprendenti. Più a Sanremo che non nell’educata Svizzera, Paese nel quale i paparazzi non possono lavorare e se anche lavorassero farebbero la fame, perché ognuno di norma si fa i fatti propri. Un Paese, la Svizzera, nel quale se anche un giorno Jim Morrison riapparisse vivo e vegeto in un grottino ticinese, nessuno andrebbe a chiedergli: “Scüsa, ma ti te sé mia chel di Doors?”.


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‘Pero ci si sta, stringendosi un po’’

Ci mancava giusto il calcio

Dalle 14 esatte di ieri, fino a metà pomeriggio, e alla velocità della papamobile, le trentasette delegazioni dei Paesi in gara, cantanti in testa, hanno sfilato a bordo dei tram sul lunghissimo ‘Tourquoise carpet’ dell’Esc, un chilometro e trecento metri di drappo turchese incollato a terra col velcro, dalla Marktplatz fino all’Eurovision Village, dal cuore della città al cuore del MesseQuartier, sede di concerti e arte varia da qui fino a domenica. Li avevano preceduti le parole profetiche di Conradin Cramer, Presidente del Governo di Basilea, a dire tutto il buono dell’FC Basel 1893 che di lì a qualche ora avrebbe vinto il suo 21esimo campionato, un trionfo anticipato che dalle 20.30 è diventato un tutt’uno con l’Esc, tanto da fermare la musica nella Barfüsserplatz per un momento di delirio calcistico collettivo di cui non tutti sentivano un urgentissimo bisogno.

Poche ore prima, sotto un sole caldo, a tratti caldissimo, la parata di tram alternati a guggen, gruppi carnevaleschi, scuole di ballo, bande, bandelle, ottavini in quantità da rompere i timpani, corni delle Alpi e varie ed eventuali locali, per un omaggio al più grande Carnevale della Svizzera camuffato da red carpet cinematografico (o da green carpet sanremese). Pochi gli isterismi pop, forse solo per Gabry Ponte, in gara per San Marino con un inno decisamente italiano (‘Tutta l’Italia’) che ha scaldato i cuori degli italiani in strada (al mondo gli italiani sono molti di più dei sanmarinesi, dunque quelli in strada dovevano essere italiani).


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Free Palestine

Tutto è politico

Mentre Cramer parlava dell’Esc come veicolo di pace, la Marktplatz era tutta uno sventolio di bandiere palestinesi, in numero superiore a quelle delle altre nazioni messe insieme. Le agenzie stampa parlano di una decina di manifestanti, ma forse si riferiscono a quelli più rumorosi, perché le bandiere erano su tutto il Mittlere Brücke, il ponte sul Reno. Momenti di tensione al transito del tram con dentro la cantante israeliana Yuval Raphael, che i manifestanti pro-Palestina e pure Nemo, il vincitore dell’edizione 2024, non vorrebbero in gara. “Non credo che abbia senso che Israele faccia parte di questa edizione dell’Eurovision”, aveva dichiarato l’artista di Bienne a HuffPost UK. “Sostengo l’appello per la sua esclusione”.

In serata, l’emittente pubblica israeliana Kan ha sporto denuncia alla polizia svizzera per la presunta minaccia di morte (la mano passata orizzontalmente sul collo, a mimare il taglio della gola) da parte di un uomo con bandiera palestinese, gesto del quale le immagini non permettono di individuare il destinatario, che per la Kan sarebbe stata Yuval. Forze aggiunte di polizia hanno fermato i manifestanti all’altezza dell’Eurovision Village, praticamente col tram a fine corsa.

Martin Österdahl, Mister Eurovision, il supervisore esecutivo dell’Esc, dovrà farsene una ragione: nemmeno quest’anno il suo concorso sarà il luogo asettico nel quale, per regolamento, di politica non si dovrebbe pronunciare nemmeno la parola. E invece la politica c’entra sempre, anche all’Esc, perché ogni atto è politico, anche cantare una semplice canzone d’amore. A Basilea si canta da domani, ma l’Eurovision Song Contest è già cominciato, e che a Österdahl piaccia oppure no, fuori dalla St. Jakobshalle c’è il mondo reale. “Uniti dalla musica”, recita il claim. E quindi, vestiti di bianco oppure di scuro, la musica sia con voi (cantiamo in pace).


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Sul Mittlere Bruecke