laR+ L'intervista

Lucio Corsi e l’uomo che cammina

Filiforme che pare fatto da Alberto Giacometti, parla di chitarre e musica suonata. E non parlategli di gara canora: ‘La musica non è un gesto atletico’

Versione km zero
(F. Delacroix)

Sentitevi uniti anche dall’arte, non solo dalla musica, in lingua inglese “Feel United by Art”, uno dei tanti slogan creati per promuovere singole attività cittadine, come “Come on Basel, let’s go party”, diretto a chi vuole far mattina socializzando o bevendo fino al coma etilico. Aspettando l’incontro con Lucio Corsi, dopo mesi a chiedersi a chi somigliasse fisicamente (un pensiero che è andato da Bowie a Ivan Graziani e a tutti gli altri artisti che gli sono stati accostati, anche quelli che con lui non c’entrano nulla) la risposta è arrivata al secondo piano del Kunstmuseum di Basilea dove è esposta ‘Gamba’ di Alberto Giacometti, filiforme come quella di Lucio. Il pensiero è andato allora a ‘Scarpa’ di Lucio Corsi, tra virgolette non perché sia una canzone ma perché sotto la scarpa di Corsi c’è scritto ‘Andy’ come in Toy Story, un vezzo che fece il giro di Sanremo e che è arrivato fino a qui, insieme alla scarpa. Poi l’illuminazione si è estesa all’uomo di Giacometti in generale, perché Lucio Corsi è tutto filiforme, non solo la gamba, e a ‘Uomo che cammina’ più in particolare, un uomo tutt’altro che rigido al quale manca soltanto una chitarra in mano e di cantare.

Ora che ci siamo giocati i rapporti con i critici d’arte, i galleristi e i direttori di museo, possiamo tornare alla musica. “Ci siamo portati il pianoforte e le chitarre, anche se non suonano, tanto per farci compagnia”. Esordisce così Lucio, specificando che l’armonica a bocca che ha preteso di suonare in ‘Volevo essere un duro’ sopra il palco dell’Eurovision Song Contest (Esc), che non ammette strumentazione dal vivo, “non è una provocazione”, ma una lucida deduzione che ha messo a tacere gli organizzatori (la voce non è in playback, il suono dell’armonica va a finire nel microfono della voce, fine del discorso). Quello dell’importanza di suonare dal vivo però, resta un concetto difficile da far passare a quelli della tv: “Credo che potrebbe giovarne l’Eurovision stesso, perché cambia molto per chi canta e suona se il pianoforte c’è davvero”.

Tra le costanti di ‘Volevo essere un duro’ c’è pure la scenografia: “È quella che porto nei concerti, con il superamplificatore ispirato da un tour di Neil Young (con i Crazy Horse nel 2012, ndr) e il pianoforte lunghissimo, anche per dimostrare l’importanza di questi elementi, sia per me che per Tommaso, mio fratello e regista”. Tommaso è Tommaso Ottomano, co-autore, regista dei suoi videoclip e braccio destro o sinistro che sia.

Sul palco di Basilea è andata e ancora andrà (domani, per la finale) la sua ‘Wandrè Oval’, da Antonio Vandrè Pioli (1926-2004), liutaio. “Le sue sono chitarre magiche. Anche Guccini la usò, e disse che fu un errore, perché se ne prendi in mano una, rischi di perderti e non ritrovarti mai più”. Lucio ha conosciuto chi le dipingeva (“Usava il fumo di una candela, sono una diversa dall’altra”) e si rammarica un po’ che i colori escano falsati dai filtri applicati allo show. Sulle bombature delle Wandrè, diverse da tutte le altre chitarre, rimandiamo ad altra occasione, ma solo per motivi di spazio.

‘La musica non è un gesto atletico’

Lucio è felice di com’è andata la semifinale. “È un crescendo, più riusciamo a partire piano e più la canzone viene alla luce. E ora aspettiamo sabato, ma sia chiaro, a me della classifica non mi interessa affatto, amo lo sport e la competizione ma la musica per me non è competizione. Non ha senso: come si fa a gareggiare in musica? Non è un gesto atletico, per quanto io ami i gesti atletici”. In nome dei buoni rapporti di vicinato, a Corsi piacciono i portoghesi Napa, quelli della bella ‘Deslocado’, a testimonianza che “all’Eurovision ognuno porta il suo modo di intendere le canzoni”.

Su quanto una manifestazione di eccessi possa fargli bene o male, un po’ come la classifica, non è cosa che lo riguardi: “Mi interessa portare una cosa che non inganni me stesso, non voglio fare finta di essere qualcosa che non sono. Sanremo era il contenitore adatto per la canzone, non sono stato io a costruirla per il contenitore, perché chi mi conosce scoprirebbe il trucco e creerebbe in me un disagio interno. La cosa bella è poter portare una cosa sincera, che mi rappresenti in questo momento, non sono io a dover interpretare un personaggio che mi rappresenti, la cosa mi scoccerebbe”.

Lucio pensa alle colonne sonore, perché anche Randy Newman, oltre che essere un grande chansonnier, ne ha fatte tante (vincendo l’Oscar per i cartoons). Pensa che se Sanremo fu “un salto nel vuoto”, l’Eurovision è “una sbirciatina fuori dall’Italia, ma le due cose si somigliano. Certo, se riuscissi ad andare anche oltre l’Italia sarebbe bellissimo”. Lo spera, “però tranquilli”. C’è anche di mezzo l’italiano, e non tutte le canzoni italiane possono andare nel mondo: “Anche qui, io all’italiano ci sono affezionato, lo vivo come un rebus, mi diverte, per questioni di ritmo, di sintesi, è una lingua bellissima per scrivere canzoni”. E sui sottotitoli, che ha voluto accompagnassero ‘Volevo essere un duro’: “Il testo è stato tradotto in modo semplice, immediato. Il pubblico dell’Eurovision non è fatto di soli anglosassoni, serviva un inglese che facesse passare il significato delle parole”.

Come finirà l’Eurovision per Lucio Corsi? Lui ha detto “zero sorprese”, ma dice anche che “zero sorprese magari una sorpresa. Ma andiamo molto lisci”.


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Alberto Giacometti, ‘Gamba’, 1958