Un film che non lascia indifferenti sia per come viene gestita la tensione dei corpi e tra i corpi, sia per come sa restituire il presente
Nel mondo c’è un virus mortale che si trasmette attraverso il sangue. I malati vengono emarginati, gli ospedali sono stracolmi, la vita cerca di proseguire ma la paura del contagio riduce a brandelli quel poco di umanità che ci è rimasta. Forse l’abbiamo già visto. Forse l’abbiamo anche in parte vissuto. Se poi aggiungiamo il fatto che la protagonista, Alpha, è una ragazzina di 13 anni (quella generazione lì quindi, alpha) e che la sua generazione vive sulla propria pelle il disagio dovuto dalla situazione, ci sembra davvero che questa distopia possa a tutti gli effetti simboleggiare la realtà. Alpha di Julia Ducournau è stato presentato la scorsa edizione a Cannes e qui è nella sezione Histoire(s) du Cinéma, in occasione dell’Excellence Award Davide Campari conferito a una delle protagoniste, Golshifteh Faharani. L’intensa attrice franco-iraniana è la madre di Alpha, nel film è medico, e spinta da una vocazione inarrestabile nell’aiutare gli altri. In un’epoca molto complicata, dove la droga lascia solo morti dietro di sé, l’integrazione è una barzelletta, l’esclusione è mascherata dall’ipocrisia, la ragazzina tredicenne si fa tatuare una A sul braccio a una festa (memorabile la scena su Roads, dei Portishead), e questo le costerà molto caro perché diventa una probabile contagiata. E in un mondo che sembra fermarsi, raffreddarsi, farsi marmoreo, la sua agitazione e ribellione stridono e fanno male, come il sangue che continua a colarle dal braccio, dalla fronte.
Un film, quello della Ducournau che a Cannes aveva già vinto una Palma d’Oro con Titane (altra pellicola forte in cui una donna veniva messa incinta da un’automobile), che non lascia indifferenti sia per come viene gestita la tensione dei corpi e tra i corpi, che tanto si tendono fino a frantumarsi, sia per come sa restituire il presente attraverso un racconto tanto reale quanto orrorifico. In sala a Cannes c’è chi è svenuto, qui no, ma ci siamo andati vicino.