La poesia di ‘Mare’s Nest’ di Ben Rivers e di ‘Mektoub, My Love: Canto Due’ di Abdellatif Kechiche insieme all’irriverente ‘Dracula’ di Radu Jude
Un lungo fine settimana di film ha salutato la prima settimana del Festival numero 78 con sale spesso piene e Piazza Grande invasa. Ma più dei numeri è la qualità dei film che vengono presentati a rendere importante Locarno. Quelli che trovano spazio qui sono film necessari per comprendere la vivacità del cinema mondiale anche al di là dei circuiti commerciali. Pensiamo, in Concorso, a un film straordinario, dove la parola vuol dire esattamente fuori dell’ordinario, un film, ‘Mare’s Nest’ di Ben Rivers dove non ci sono adulti sullo schermo ma bambini e bambine che recitano con grande serietà ‘The Word for Snow’ di Don DeLillo, opera teatrale ispirata al cambiamento climatico globale, con meditazioni profonde sulla vita, sul nostro tempo.
L’opera racconta la storia di un pellegrino alla ricerca di un professore che ha smesso di parlare, e qui a pellegrinare vagando in un mondo post-apocalittico privo di adulti è una bambina di nome Moon (la bravissima esordiente Moon Guo Barker). Il film si apre con una piccola tartaruga che attraversa una strada di pietra in un brullo paesaggio, sentiamo il botto di un’auto, e scopriamo Moon che scende dall’auto uscita di strada per non investire la tartaruga: la favola ecologica inizia, la bambina prende tra le sue braccia l’animaletto, che si trova costretto a subire un lungo monologo sullo stato del pianeta e della corsa all’autodistruzione dell’umanità. Senza meta vaga in un mondo pietrificato popolato esclusivamente da altri bambini, come se un’apocalisse nucleare avesse salvato solo loro. Discutono tra loro, usando il testo di De Lillo, ma molti sono i silenzi. Moon scopre anche un labirinto dove si muove un minotauro spaesato, in una sequenza monocromatica, tra stanze comunicanti in un buio che solo con la sua torcia può illuminare scopre degli adulti pietrificati, come in tragedia pompeiana i loro corpi sono contorti, i visi disperati. Il suo cammino è raccontato in quadri divisi da scritte sulla lavagna dove la stessa Moon indica il suo fare. Lo stile di Rivers è di grande e sicura qualità, si sente non lontana la lezione pasoliniana, la bellezza del suo dire inquieta e sorprende, come rincuora la recita della giovane protagonista, la sua purezza illumina il film, e ci guida a pensare che forse abbiamo ancora un minuto per salvare questo mondo alla deriva.
Sempre in concorso abbiamo visto ‘Mektoub, My Love: Canto Due’ di Abdellatif Kechiche; il regista non c’è a Locarno, porta ancora le conseguenze di un ictus passato a marzo. Questo Canto Due è la terza parte di un progetto cominciato otto anni fa, con ‘Mektoub, My Love: Canto Uno‘, un film presentato aVenezia nel 2017, un’epica storia d’amore erotica ambientata nei primi anni Novanta, che racconta la storia di un ragazzo di nome Amin che torna da Parigi nella sua città natale, Sète, dopo aver abbandonato gli studi di medicina per seguire il suo sogno di diventare sceneggiatore, e si ritrova immerso negli intrighi dei suoi amici, come Ophélie che è fidanzata con un ragazzo che sta facendo il servizio militare, ma ha una relazione con Tony, il cugino di Amin. Il seguito, ’Mektoub My Love: Intermezzo’ del 2019, fu presentato a Cannes, dove Kechiche aveva ricevuto la Palma d’oro nel 2013 per ‘La vie d’Adèle’. ‘Mektoub My Love: Intermezzo’ un dramma di 212 minuti con una sequenza continua e sconcertante di tre ore ambientata in una serata in un nightclub, fu uno scandalo colossale e il regista franco-tunisino fu accusato come Walerian Borowczyk prima di lui, di essere un regista serio che stava passando definitivamente all’erotismo d’autore. Questo film conferma che non ha fatto questo passo in ’Canto Due’: c’è una scena di sesso verso la fine, ma assolutamente funzionale al racconto.
Il film si apre con un motto tratto da una poesia di Fernando Pessoa: “Passa, uccello, passa e insegnami a passare”. In cui qualcuno ha letto la volontà del regista di affermare che, dopo tutto ciò che è stato detto e scritto su di lui nel tempo, era giunto il momento di tornare al cinema. E in questo film lo ha fatto alla grande. Ritroviamo Amin (il bravo Shaïn Boumedine) deciso a scrivere una sceneggiatura, suo cugino Tony (Salim Kechiouche) che ha messo incinta Ophélie (Ophélie Bau) alla vigilia del matrimonio e non esita a esibirsi eroticamente con Jessica, diva dei serial arrivata sulla costa insieme al marito Jack. La commedia amara e nera è di quelle che ti tengono stretto alla poltrona e ti lasciano sorpreso in un finale che è presagio di nuove avventure.
Decisamente sorprendente è il ‘Dracula’ di Radu Jude, un film che canta il cinema che è Cinema! Un film che gioca tra commedia dark e trash per dire di come questa nostra malata società abbia perso il senso del reale, segnata com’è dalla potente illusione della fiction. Basta guardare TikTok e Instagram ha spiegato il regista per capire chi siamo, al di là del nostro illuderci di essere diversi. Un film che è un’esplosione di colori, di suoni di urla e sussurri, di musica e rumore, tutto esagerato fuori dalle linee di qualsiasi pentagramma. Una grande compagnia di attori dà vita in questo film all’idea più stravagante mai pensata su un personaggio così cupo qual è Vlad III di Valacchia, detto l’Impalatore, il Dracula storico prima di quello raccontato dall’irlandese Bram Stoker. Tutto gira intorno a uno scalcagnato gruppo teatrale che mette in scena per i turisti la storia di Dracula e per rendere più divertente lo spettacolo il gestore del teatrino invita il pubblico a seguire per le strade cittadine Dracula e la sua socia per impalarli. Nello stesso tempo il Dracula storico cerca di conquistare e impalmare la bella del posto, causando una certa confusione con i suoi vampiri. La confusione è totale, lo spettacolo vince, il cinema ritrova Méliès e diventa poesia, Giorgio Baffo se la ride insieme a Don Giovanni.