laR+ Cineasti del presente

Non lasciare che il sole… ti bruci

Un film distopico in cui la narrazione prosegue nei tentativi di penetrare personaggi ermetici, che celano un’umanità perduta ma dalla forza dirompente

‘Don’t let the sun’ di Jacqueline Zünd
(Lomotion)
11 agosto 2025
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Non siamo estranei, soprattutto in questo periodo, al caldo scoraggiante, scorto attraverso i vetri delle finestre, riflesso nell’asfalto incandescente e nei miraggi distorti all’orizzonte. Certo, si può sempre fare una passeggiata nel bosco, o un bagno al lago, ma molti ricercano luoghi muniti di ventilatore; la stessa sensazione ci viene restituita dalla regista svizzera Jacqueline Zünd, che con il suo film distopico “Don’t Let the Sun”, presentato nel concorso dei Cineasti del presente, costruisce un’atmosfera di memoria pandemica e si ferma a contemplare una realtà sempre meno di persone e sempre più di cemento e catrame. Jonah è un giovane che offre un servizio particolare di conforto emotivo: come un attore, il ragazzo sostituisce all’occorrenza un figlio perduto, un amore che vuole essere rivissuto, una figura paterna per una bambina, ma farsi carico di queste emozioni è difficile senza rimanerne travolti, o meglio, scottati.

Un film contemplativo in cui lo spettatore sente di avere il potere di decidere e farsi un’opinione, ma forse pochi mezzi concreti per farlo. La narrazione prosegue nei tentativi di penetrare personaggi ermetici, che celano un’umanità perduta, repressa, paziente ma dalla forza dirompente. L’apatia generale accomuna età e generi diversi, tutti anelano al calore umano seppur respingendo le persone attorno, anche Jonah, determinato a mantenere il distacco, quindi sempre più coinvolto. Un film che vive grazie alla recitazione e ai volti riflessivi in una scenografia molto minimale, illuminata a estremi di esposizione che ben restituiscono il gioco luce-ombra di questo futuro che sembra ieri. Come durante il Covid, la percezione del tempo è dilatata o ristretta, e in un battito di ciglia può passare un mese, quindi un giorno può sembrare un’eternità; l’attesa e la solitudine, l’impotenza nell’osservare quartieri fantasma immobili, il silenzio degli spazi vuoti che ricordano “Mademoiselle Kenopsia” di Denis Côté, passato Fuori concorso a Locarno nel 2023, eppure la semplice matassa appare molto intricata e ci si può perdere nelle ridondanze, forse alla ricerca di un senso più tangibile.