laR+ Vision Award

Milena Canonero: ‘Siamo bachi da seta’

È la sua definizione alternativa di ‘creatrice di costumi’, per Wes Anderson, Kubrick, Coppola e altri. Cronaca del talk al Forum @ Spazio Cinema

Domenica sera in Piazza Grande
(Locarno Film Festival / Ti-Press)
11 agosto 2025
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Il set è quello del caldissimo (in ogni senso) Forum @ Spazio Cinema, il divano grigio a forma di lombrico e davanti uno sfarfallio di ventagli ad accogliere Milena Canonero, quattro Oscar su nove nomination, un Orso d’Oro, tre Bafta, un David, tre Nastri d’Argento e altri premi di settore. Più il Vision Award del Locarno Film Festival, motivo per il quale si trova qui. Il Nazzaro col dono dell’ubiquità appare anche all’aperto, “per celebrare, quasi mi vergogno a dirla così, una persona che ha trasformato l’immaginario collettivo, cosa che di solito i costumi non fanno”.

Milena Canonero è costumista, o meglio, “creatrice di costumi”, preferisce dire, le cui apparizioni “sono rare e ben scelte”, dice il direttore artistico che per lei ha appena avuto una definizione di peso: “Genio rinascimentale italiano”, e ad ascoltare la genesi di ‘Barry Lyndon’, Oscar ai costumi nel 1976, o il suo ‘vestire’ l’Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, la definizione calza. A guidare Canonero tra Wes Anderson, Kubrick, Francis Ford e Sofia Coppola, quattro dei registi cui il suo nome è collegato e viceversa, c’è il critico Manlio Gomarasca.

Nuances

Gli Award tecnici del Locarno Film Festival sono la boccata d’aria fresca tipica del dietro le quinte. Chi siede davanti ai grandi ha sete di sapere, che si tratti di aneddoti o questioni tecniche nelle quali è bello calarsi anche se non si è esperti di campionature di lane, per esempio, quelle che si usano per cucire le uniformi militari e del personale degli hotel, in questo caso “quel meraviglioso colore che poteva sembrare un blu e invece era un porpora, di qualità favolosa” per il quale Wes Anderson disse “ok”, e il suo ‘Gran Budapest Hotel’ (il quarto Oscar) ebbe divise diverse da quelle di tutti gli altri hotel. Si immagini dunque Canonero nel salotto di Anderson a illustrare le “nuances klimtesche” del cappotto di Tilda Swinton, e Anderson a dire un altro ok. “Con Wes è stata subito simbiosi. È la parola corretta?”.

Canonero dice di avere sangue italiano ma di dovere tutto all’Inghilterra, agevolata da una madre anglofona: “Continuo a perfezionare la lingua italiana, mi sento un’eterna studentessa”. La sua prima esperienza come costumista fu in Italia: “Per farmi guadagnare due lire, il mio boyfriend dell’epoca mi portò in Sicilia dove stava girando uno show: prestai i miei jeans all’attrice, feci l’aiuto produttore e parlai con la mafia per avere dei permessi” (ride, ndr). Conosciuto tramite il boyfriend, Kubrick era già un amico. Fu Christiane, l’ultima moglie, a suggerirla al marito: “Gli piaceva come vestivo, sapeva che ero workaholic. Mi propose i costumi per ‘Arancia Meccanica’”.

A lume di candela

C’è altra Italia di cui dire. Canonero cita Piero Tosi (1927-2019) e Danilo Donati (1926-2001), oggetto di ispirazioni reciproche. “Ci ispiriamo sempre ai lavori di altri, il cinema è collaborazione di varie componenti, artistiche e tecniche”. A Tosi, Canonero dedicò il suo Orso d’Oro alla carriera: “Non è mai stato il mio maestro, io non ho fatto scuola di costume, ho fatto corsi speciali serali. Piero insegnava al centro sperimentale, ma i suoi film sono una scuola. Quando ebbi paura di fare ‘Barry Lyndon’ (il suo primo Oscar, nel 1976) mi diede buoni consigli, ma ho amato anche Danilo Donati, un altro genio del cinema”.

‘Barry Lyndon’, appunto. “Non ero spaventata dalla tecnica, ma dalla mole di lavoro. Fu così tanto che mettemmo su un laboratorio, una novità nel cinema”. Tra i racconti di quel film ci sono pure le prove luce nel garage di Kubrick adattato a studio: “Si provavano candele con uno, due o tre stoppini, più piccoli e più grossi”, speciali lenti concepite dalla Nasa avrebbero poi messo a fuoco i protagonisti. “Kubrick fu il primo a girare scene notturne di quel tipo”.

Tre Marie Antoinette

Il capitolo Coppola è doppio. Quello riguardante il padre Francis parte dal controverso ‘Megalopolis’, oggetto di proiezione a Locarno e con nuovo ‘director’s cut’ in arrivo (“È da vedersi in chiave nuova, come esperienza e lontano dalla narrazione classica”) per tornare indietro a ‘Cotton Club’ (1984): “Il mio essere italiana contribuì a fargli risultare simpatica me e il mio team. Non avevamo un copione, veniva scritto di volta in volta, ogni sabato arrivavano pagine nuove”. Quanto alla figlia Sofia e alla sua ‘Marie Antoinette’, “potrei fare altri dieci film sul Settecento, è ogni volta la visione del regista che ti porta a rivisitare i costumi”. Ma anche le attrici contano: “La Maria Antonietta de ‘L’intrigo della collana’ era altissima, quella di Coppola piccolina, quella vera era differente. Ma l’essenziale è ciò che i registi vogliono dire di esse”.

‘L’esperienza più bella della mia vita’

Quando è il pubblico a fare domande, una giovane costumista aspirante vincitrice di Oscar argentina, ma di stanza a Ginevra, chiede conto a Canonero dell’equilibrio del suo agire, così riccamente ricompensato, e chiede anche qualche segreto. La risposta è tecnica ma anche molto umana: “Noi siamo il baco da seta, siamo un involucro, portiamo all’attore e al regista la parte di un input personale, ma non possiamo mai forzare un costume. E se certe cose non vanno, bisogna essere pronti a buttarle via”.

Più tardi, in Piazza Grande, Canonero ritirerà il suo Pardo pronunciando l’essenziale di chi forse non ama la parte pubblica del proprio mestiere, ma che al Forum si ferma per l’autografo: locandine di ‘Barry Lyndon’, un tomo da biblioteca su Kubrick, una Vhs di ‘Shining’ di cui purtroppo non si è parlato e tante Arance Meccaniche: “Quel film è stato l’esperienza più bella della mia vita – aveva detto Canonero un’ora prima –, avrei così tanto da raccontare che un giorno ci scriverò un libro”. E noi siamo già davanti alla libreria, sotto i portici di Locarno. All’ombra.