Riflessioni a margine del ricevimento in onore del Gran Consiglio, tra discorsi ufficiali e pellegrinaggi del CdA
Potremmo dire che quella di ieri, al Festival, è stata la giornata del territorio, con il ricevimento in onore del Gran Consiglio e la consegna, in Piazza Grande, del Premio cinema Ticino a una personalità, Michele Dell’Ambrogio, che l’arte cinematografica l’ha sostenuta e difesa innanzitutto nelle sale del cantone (vedi intervista a pagina 15). Potremmo dirlo, che ieri era la giornata dedicata al territorio, non fosse che poi verremmo bonariamente richiamati dalla direzione del Festival perché – immaginiamo già il contenuto del messaggio – “così sembra che il Festival guardi al Ticino un giorno su dieci se non addirittura un giorno su 365, quando l’attenzione è invece continua”.
Non è un tema nuovo, quello del rapporto tra Festival e realtà locali – usiamo questo termine, invece del generico “territorio”, visto che si parla di comunità e attori politici, economici e culturali grandi e piccoli –, ma negli ultimi tempi è diventato ancora più attuale, anche ma non solo in ragione della riorganizzazione del Festival. Per questo i discorsi ufficiali pronunciati ieri alla Magistrale non sono stati solo l’ineliminabile tedio a cui ci si sottopone in attesa dell’aperitivo: ascoltarli, o almeno ascoltarli quasi tutti, è stato interessante proprio per cercare di capire come si sta evolvendo, questo rapporto tra Festival e realtà locali.
Ma è stato anche interessante scoprire che, alcune ore prima del ricevimento con la politica, il vicepresidente del Consiglio d’amministrazione del Festival ha deciso di “fare il giro lungo” mentre andava a pranzo con un altro membro del Cda. Sono passati per alcuni negozi del centro per chiedere quelle impressioni e quelle sensazioni che gli studi sull’indotto economico per forza di cose lasciano indietro.
Torniamo alla parte ufficiale, iniziando dalla presidente del Festival Maja Hoffmann che, dopo i ringraziamenti di rito alla politica per il sostegno finanziario recentemente riconfermato, ha rimarcato come la strategia del Festival sia chiara: rafforzare la posizione internazionale. Ma questo rafforzamento, ha subito aggiunto, «non metterà in discussione le radici e l’ancoraggio locale e regionale». A riprova di ciò, il «necessario» anticipo delle date della manifestazione è stato presentato non come una esigenza di internazionalizzazione, ma come un passo per evitare un arretramento del Festival che danneggerebbe tutti.
Del discorso del Sindaco di Locarno, e ormai già granconsigliere, Nicola Pini si è già scritto. Il presidente del Gran Consiglio Fabio Schnellmann ha inflitto all’uditorio un discorso sul Festival come punto in cui il Ticino si apre al mondo e il mondo scopre il Ticino perché si crede al potere della cultura e l’arte non ha confini e altri passaggi che parevano scritti da ChatGPT. Decisamente più riuscito (anche perché meno era proprio difficile) il discorso del presidente del governo Norman Gobbi che ha raccontato cosa è il Festival per un politico molto ticinese: un’occasione, in un periodo di «multicrisi», per «proiettare verso l’esterno la nostra immagine migliore, non tanto per piacere agli altri, ma per ritrovare fiducia in noi stessi». E il Festival è una «preziosa eccezione» alla tendenza degli ultimi anni di sottovalutare la nostra creatività, resilienza, capacità di fare squadra (e qui forse c’era un sassolino nella scarpa per i rapporti tra governo e parlamento cantonali) e flessibilità.
L’impressione – dai discorsi ufficiali e dai resoconti captati fra una tartina e l’altra del giro di parte del Cda per le vie della città – è che il passo più urgente non sia anticipare le date del Festival, ma superare l’idea di una bilancia a due piatti, con la dimensione internazionale che cresce necessariamente a discapito di quella locale e viceversa.