Il regista americano, vincitore Pardo d'onore, racconta come resistere al cinema mainstream: tutto parte dalla storia
Come fece notare una volta il regista teatrale Peter Brook, per fare teatro ci vogliono tre cose: un palco, un uomo che vi cammina sopra e qualcuno che, dall’esterno, lo guarda. Nel cinema, in fondo, vale la stessa cosa: uno schermo, l’immagine in movimento, e lo sguardo dello spettatore. E il regista americano Alexander Payne, che ha ricevuto ieri sera il Pardo d’Onore di Locarno78, lo sa bene. Gli spazi, i luoghi, e i personaggi che popolano i suoi film contribuiscono a creare quello stile grazie a cui le sue commedie brillanti e intelligenti si sono sempre distinte dalle produzioni più smaccatamente mainstream. I suoi titoli più noti includono ‘Election’ (1999), ‘A proposito di Schmidt’ (2002), ‘Sideways - In viaggio con Jack’ (2004), ‘Paradiso amaro’ (2011), ‘Nebraska’ (2013), e ‘The Holdovers - Lezioni di vita’ (2023). Incontrare il regista a Locarno nei giorni scorsi mi ha offerto la possibilità di gettare uno sguardo nel suo laboratorio creativo. Memore delle parole di Peter Brook, gli ho chiesto quale importanza riserva ai luoghi in cui sono ambientati i suoi film: tanto più che il lungometraggio che l’ha fatto conoscere, ‘Election’, e quello più recente, ‘The Holdovers’, sono ambientati in una scuola. Il primo in una scuola superiore di Omaha, nel Nebraska, alla fine degli anni Novanta, e il secondo in un collegio maschile nel New England, all’inizio degli anni Settanta.
I luoghi, i personaggi, e le storie
La scelta dei luoghi dove ambientare i film precede la narrazione, oppure è l’inverso? «Tutto comincia dalla storia – mi ha spiegato Payne–. Nel caso di ‘Paradiso amaro’, per esempio, ci sono due elementi in gioco. C’è un facoltoso uomo d’affari specializzato in transazioni immobiliari, che un giorno scopre che sua moglie, che sta morendo, è stata con un altro uomo. Potrei raccontare questa storia in qualsiasi luogo, ma il film si svolge alle Hawaii, nell’ambiente dell’alta società di Honolulu, ed è proprio questo a renderlo interessante e insolito. In ‘Paradiso amaro’, che è l’adattamento di un romanzo, le coordinate spazio-temporali sono già fissate in anticipo, ma per altri film ho più margine di scelta. Ma in un caso come nell’altro, ho sempre una precisa responsabilità verso i luoghi in cui filmo, per cui cerco di adottare un approccio documentaristico. Il mio obiettivo è che, quando la gente del luogo vede il film, si riconosce nelle ambientazioni e nel modo in cui queste fanno da sfondo alla vita dei personaggi».
La scelta delle ambientazioni ha anche altre implicazioni. Nebraska, per esempio, si svolge nell’omonimo stato americano, sullo sfondo di un paesaggio rurale che Payne conosce bene, perché nel Nebraska, a Omaha, ci è nato. Il rapporto autobiografico con i luoghi, e la scelta di farsi narratore di un’America più anonima e provinciale, si ritrovano anche in ‘Election’, ambientato proprio nella città natale di Payne. A questo proposito Payne sostiene che «più che di un legame autobiografico parlerei di un rapporto personale. A volte, però, anche i luoghi da cui provieni mantengono sempre e comunque, negli anni, una dimensione esotica, anche se forse non così manifesta, almeno in apparenza, come in luoghi che non conosci».
Anche quando ha già in mano la sceneggiatura, Payne riserva sempre una particolare attenzione alla scelta delle location nelle quali girare: «Sono cresciuto a Omaha, la capitale del Nebraska – ha raccontato il regista –. Quando ho girato Nebraska ho viaggiato molto per scegliere le location, e alcune zone rurali mi sembravano esotiche tanto quanto potrebbe esserlo la campagna danese. Poi però, quando inizi a girare, generalmente hai già un’idea di quello che stai cercando. Personalmente, mi aiuta molto il lavoro di location scouting (ricerca delle location), a cui dedico molto tempo. E quando ho scelto le location, incontro la gente del posto e cerco di conoscerla meglio».
Meglio un attore al posto giusto che una celebrità fuori luogo
Come detto prima, l’ambientazione scolastica è presente sia in ‘The Holdovers’, il più recente lungometraggio di Payne, sia in ‘Election’ (1999). Quest’ultimo, che ha lanciato la carriera del regista, è incentrato sul rapporto controverso tra la studentessa, secchiona e arrivista, Tracy Flick (Reese Witherspoon), e il suo insegnante di storia Jim McAllister (Matthew Broderick). Qualche mese fa, ‘Election’ è stato proiettato alla cineteca di Bologna in presenza del regista. Il caso vuole che proprio in quei giorni mi trovassi a Bologna, per cui decisi di andare alla proiezione. Nell’introdurre la proiezione Payne ha spiegato che, siccome era prodotto dalla Universal, una convenzione tacita prevedeva che il ruolo di protagonista di ‘Election’ fosse proposto agli attori che in quel momento andavano per la maggiore. Payne ha poi spiegato, con una certa dose di ironia irriverente, che quando la Major gli ha comunicato il rifiuto da parte di Tom Hanks e Tom Cruise, ha accolto la notizia con un certo sollievo. Ciò gli ha permesso, di fatto, di far valere l’opzione Matthew Broderick, scelta poi rivelatasi azzeccatissima.
Evidentemente, Payne deve aver fatto propria la lezione di Brook. In fin dei conti, nel cinema, così come nel teatro, non importa chi vedi sullo schermo, o sul palco. L’importante è quello che fai con il tuo personaggio. O, come avrebbe detto Konstantin Stanislavskij, ciò che conta è “il lavoro dell’attore”. E, aggiungiamo noi, l’abilità del regista.