Le parole dei premiati, Gaza davanti e il resto delle battaglie a ruota: con l'auspicio che i film possano unire, da Locarno è tutto
Mannaggia a Giona A. Nazzaro (o Giona Navarro, come lo chiama il membro di giuria Joslyn Barnes). Quando già pensavamo di non dover ricorrere ai fazzoletti, nella cerimonia di premiazione del Locarno Film Festival che ogni anno non risparmia niente e nessuno, la passione del direttore artistico per i finali a effetto ha mandato in vacca ogni proposito di compostezza di chi, la notte degli Oscar, si commuove anche sui premi alle migliori acconciature, sulle parole “ringrazio il mio agente” e “questo è per il mio gatto”.
Sabato pomeriggio. È nel GranRex, nel giorno degli annunci, che il Festival definisce in pieno che Festival è stato. Parlano i premi per conto dei film, anche quelli che non si è riusciti a vedere, parlano i premiati. Parlano le giurie, a partire da quella dei Pardi di domani, nella persona della produttrice franco-egiziana Jihan El Tahri: “Per dieci giorni abbiamo guardato e ascoltato storie potenti. Ogni immagine può approfondire la nostra umanità. Per 22 mesi abbiamo visto una popolazione, inclusi molti bambini, oggetto di bombardamento e carestia. Non possiamo sopportarlo più”. Al primo “Free Palestine” la nostra mente produce l’immagine dei microfoni radiocomandati degli Oscar, che si abbassano se vai lungo con i ringraziamenti o insulti il presidente degli Stati Uniti. I microfoni del GranRex invece sono fissi e tutti i discorsi arrivano alla fine. Anche quello della suddetta Barnes, statunitense, un Emmy e quattro nomination agli Oscar, nella sua chiamata ai concittadini: “Il nostro governo è corresponsabile di quel che sta accadendo nella Striscia”.
Tra i premiati dei Pardi di domani, Mohamed Mesbah legge parole del videogame creator palestinese ispiratore del suo film: “Siamo su una linea divisiva tra due ere: rifiutatevi di normalizzare un genocidio, perché se non lo facciamo oggi sarà la regola futura”. Felipe Casanova, regista di ‘O Rio de Janeiro Continua Lindo’, dedica il premio alle madri brasiliane che hanno perso i figli a causa del razzismo e in italiano dice: “Siamo tutti antifascisti”. Il veterano Ben Rivers parla di “avidità capitalista” e del suo ‘Mare’s Nest’ (Pardo verde), “nato dalle ansie datemi dal pianeta che lasceremo in eredità ai bambini, dalla devastazione ambientale a quella umana”. E quella umana è Gaza: “Fermate questa follia”. Tra i Cineasti del presente, Levan Gelbakhiani (migliore interpretazione) parla dei prigionieri politici in Georgia mentre Cecilia Kang, miglior regista emergente, della difesa della diversità: “In Argentina la democrazia è in pericolo, il governo è contro la cultura” (non contro le motoseghe).
Di denuncia in denuncia si arriva al Concorso principale, e il presidente di giuria Rithy Panh aggiunge a Gaza il Sudan, il Congo e l’Ucraina. Da Manuela Martelli via Ana Marija Veselčić (migliori interpreti) il pensiero alle madri di Gaza; da Elsa Kremser e Levin Peter, Premio speciale della giuria per un film contro lo stigma e l’esclusione, un grido di vicinanza: “La sofferenza in cui il mondo si dibatte ci fa temere che tutti si isolino per paura. Speriamo che il nostro film incoraggi le persone a uscire dal proprio guscio”. Poche ore più tardi il bravo Tonathiu, protagonista di ‘Kiss of the Spider Woman’, esprimerà in Piazza “l’onore di essere a Locarno a difendere come persona non binaria la comunità queer, in tempi in cui ti viene chiesto di essere una cosa o l’altra”. E dirà: “Mia madre è emigrata negli Stati Uniti e i protagonisti del film sono tre esponenti di una comunità sotto attacco”. Un film che è “una lettera d’amore a ogni singolo latino per dirgli che siamo qui a combattere”.
A questo punto qualcuno potrebbe pensare che la cerimonia sia stata un grande complotto e che coloro che hanno parlato al GranRex fossero in realtà manifestanti travestiti da star (un conto è spacciarsi per Emma Thompson, un altro per il Pardo d’oro Sho Miyake), nel più riuscito degli imbrogli televisivi dai tempi dell’Apollo 11. Altri penseranno all’omologazione da hashtag per cui se non protesti non sei nessuno, altri ancora che al mondo in questo momento non esistono che guerre, e che Locarno non assegna il Pardo al Miglior cinepanettone.
Nazzaro, si diceva. In coda a tutto prende la parola e riallacciandosi a Kremser e al pericolo di isolamento dice: “Guardate la persona seduta vicino a voi: è un essere umano, è una persona vera”, invito laico a scambiarsi uno sguardo di pace rivolto a tutti indistintamente, degna chiusura di una cerimonia rilanciata più tardi dallo schermo della Piazza Grande, sintetizzata in un paio di minuti alleggeriti dalla parola “genocidio” ma comprensiva di quel “siamo tutti antifascisti” che non è esattamente la stessa cosa, ma il senso quello è.