Da Argerich a Instagram, da Barenboim a Gershwin ‘che ha rovinato la vita ai clarinettisti’. Solista il 30 gennaio in Auditorio, è il primo clarinetto Osi
Avanza dal fondo del corridoio lungo il quale si affacciano gli uffici dell’Orchestra della Svizzera italiana e in una specie di sfida all’O.K. Corral siamo i primi a estrarre dalla fondina l’indice e a pronunciare in faccia a Corrado Giuffredi, eccellenza del clarinetto, il suo stesso “Yes!”. È così, con un ‘sì’ convinto, che si concludono di norma i concerti istantanei – da solo, con colleghi, allievi e altra gente di musica – che popolano le sue pagine social. Felici di sapere che tutto il mondo gli fa il verso quando lo incontra, siamo qui per scrivere di lui e del concerto di giovedì alle 20.30, l’Osi in Auditorio col suo primo clarinetto, solista nella Sonata op. 120 di Brahms trascritta per orchestra da Luciano Berio. L’appuntamento è inserito nella rassegna ‘Focus Berio 2025’, che per l’Osi avrà un secondo momento in marzo.
Per l’occasione, torna sul podio la direttrice d’orchestra sudcoreana Holly Hyun Choe, già con l’Osi nel 2023 in San Biagio a Bellinzona e in tournée la scorsa estate. In programma c’è pure un’altra trascrizione, quella per orchestra d’archi dell’Ottavo Quartetto di Dmitrij Šostakóvič, che si deve al violista e direttore russo Rudolf Barshai; in apertura, un brano contemporaneo della compositrice svedese Britta Byström ispirato a una novella di Jules Verne (A Drama in The Air, in prima esecuzione svizzera). Nella seconda parte della serata, il Fratres dell’estone Arvo Pärt.
Tornando a Giuffredi. La sua versione social è così social che Facebook lo ha nominato ‘Creator digitale’. «Io posto solo le cose chi riguardano la mia musica. E comunque su Instragram sono più forte: ho 135mila follower». La domanda sorge spontanea…
Corrado Giuffredi: tra i dischi, l’insegnamento e l’Osi, dove lo trova il tempo per gestire i suoi profili?
Me ne occupo soltanto nelle ore in cui in casa non è possibile suonare, quindi di sera. È iniziato tutto durante la pandemia, quando m’inventai un ‘Bolero’ nel quale col clarinetto facevo l’accompagnamento e chi voleva si poteva aggiungere, ognuno con la sua parte. Poi ho dato la possibilità a tutti di pubblicare. Non è un lavoro, ma quel poco di tempo che investo mi permette di essere riconosciuto ancor prima di arrivare dove devo suonare, o un po’ meglio di come mi conoscevano prima. Non faccio nessun tipo di editing, è sempre un’esecuzione naturale, scegliendo al massimo la migliore tra alcune esecuzioni. Voglio che tutto sia reale e credo che l’apprezzamento che la pagina riceve dipenda anche da questo. L’unica concessione a una regia televisiva è un quartetto nel quale suono soltanto io, è il mio video più visto su YouTube (quasi 10 milioni di visualizzazioni, ndr).
La sua simpatia è nota. Ma sono mai esistiti clarinettisti tristi?
Forse dipende dal fatto che il mio strumento si presta a diverse collocazioni, dalla musica superclassica allo swing alla musica klezmer, della quale è lo strumento principe. Aggiungo la musica popolare italiana, pensiamo al clarinetto in do con il liscio, o l’Est europeo che ha virtuosi incredibili come Ivo Papazov, che con lo strumento fa i salti mortali. Il mio esplorare più generi musicali mi aiuta molto nella Classica, permettendomi di trasmettere qualcosa che, tendenzialmente, rischia di restare intrappolato nell’accademico, parlo del tendere alla perfezione tecnica che si porta via il potere di comunicare. Pensiamo all’apoteosi che è l’introduzione della Rapsodia in blu: con quel glissato iniziale Gershwin ha rovinato la vita a tutti i clarinettisti (ride, ndr), però vuoi mettere la spettacolarità?
Per la grande quantità di incisioni, negli Stati Uniti la sua figura ha una definizione precisa: ‘Recording artist’.
Posso dire che recentemente la mia attività discografica ha preso il volo. Dopo un cd con l’Osi su Krommer nel 2023, prossimamente uscirà un terzo disco di Rossini, sempre con l’Osi, nel quale eseguo le variazioni per clarinetto, e in marzo sulla rivista Amadeus usciranno le mie Sonate di Brahms. Era arrivato il momento di unire tutte le mie esperienze musicali, le mie passioni. Come l’opera, che è tutt’ora una passione e sarà bello dopo Traviata, cimentarsi con l’Osi in una nuova opera (ancora top secret, ndr). Nel cd ‘Solo’ ho commissionato brani scritti da clarinettisti compositori. Il contatto giornaliero con la Radio della Svizzera italiana, con i tonmeister, mi ha aiutato a perfezionare ciò che serve realmente per fare una registrazione di altissimo livello.
E cosa serve?
Quando registri devi dare il massimo nel tempo che hai a disposizione, ottimizzare ogni secondo; non puoi provare e rifare, devi avere le idee chiare ancor prima di entrare in studio. Certo, può venirti in mente un’idea che non avevi avuto studiando il pezzo, ma le esecuzioni in studio e quelle dal vivo sono due situazioni completamente diverse. In studio è fondamentale non perdere mai l’obiettivo finale, dal vivo devi saper comunicare al pubblico.
Venendo a giovedì, come si incontrano la sua strada con quella di Holly Hyun Choe?
Era a un mio concerto a Los Angeles, nel 2011. Un paio d’anni fa, alla sua prima direzione con l’Osi, disse di essere rimasta impressionata da quel recital, anche perché al tempo lei studiava clarinetto. La cosa curiosa è che nel 1986 Berio scrisse questa orchestrazione della Sonata di Brahms, originalmente per clarinetto e pianoforte, proprio per la Filarmonica di Los Angeles, affidandola a una delle prime clarinettiste dell’epoca, Michele Zukovsky. Nel libretto di sala ho scritto che in questa produzione Lugano e Los Angeles non sono poi così lontane. D’altra parte i miei colleghi più giovani Lugano la chiamano Lugangeles.
La lista delle sue collaborazioni è impressionante. Per questioni alfabetiche parte da Marta Argerich…
A Lugano ho avuto la fortuna incredibile di incontrarla. Per quindici anni, con il ‘Progetto Marta Argerich’ (2002-2017, ndr), ha regalato alla nostra orchestra un concerto più bello dell’altro, facendo fare all’Osi un balzo di grande popolarità a livello internazionale. ‘The Lugano Recordings’, il cofanetto di dieci Cd uscito per la Deutsche Grammophon, ne è la testimonianza. Marta Argerich ha dato la possibilità a molti musicisti dell’orchestra di esibirsi con lei in programmi di musica da camera, io sono stato tra i fortunati, sia dal vivo che in studio. Ho bellissimi ricordi dei concerti con Eddie Daniels, di quelli diretti da Muti, Barenboim, Ashkenazy, tutti loro hanno contribuito, mattoncino dopo mattoncino, a ciò che musicalmente sono adesso. E ricordo con grande trasporto l’aver suonato in prima esecuzione italiana il Concerto di Penderecki, con lui stesso a dirigere.
Torno alla sua pagina Facebook: c’è tanta musica d’insieme con i suoi allievi, ma anche le segnalazioni di chi è passato da lei e si è fatto strada nella musica…
Quando uno di loro vince il posto in un’orchestra o in un conservatorio è come se l’avessi vinto io, sono cose che cambiano la vita ai giovani talenti e io amo dare loro stimoli continui e visibilità. L’allievo spagnolo Iván Villar Sanz, che tempo fa è stato qui a suonare con noi dell’Osi, mi disse un giorno: “Maestro, ma mi conoscono dappertutto!”. Io gli risposi: “Per forza, hai fatto i video con me!”.