Prima dell’Eurovision Song Contest, lo showcase alla Rsi: la 24enne artista di origini basilesi, voce e pianoforte, è pronta per il suo ‘Voyage’
“Poteva giocare per la Nazionale svizzera di pallavolo e invece rappresenterà la Svizzera all’Eurovision Song Contest”, scrivono nella Svizzera tedesca. E davanti al suo metro e ottanta e forse più, rivisto nelle stanze di WeTube a Besso dopo l’incontro di Zurigo del marzo scorso, la definizione è pertinente. Non solo per l’altezza, ma perché (lo dirà lei più tardi durante lo showcase) Zoë Më conosce il Ticino per averci giocato a volley. Alla definizione iniziale si deve però aggiungere che Zoë è una storyteller, che la stazza fa rima con ‘grazia’ (quella del suo canto) e che la Svizzera non poteva presentarsi in modo più misurato all’Eurovision Song Contest.
Della sua ‘Voyage’, la canzone in gara a Basilea, abbiamo scritto. Anche di come i fiori è meglio annaffiarli che reciderli. Aspettando l’Eurovision che la Svizzera quest’anno gioca in casa per ‘colpa’ di Nemo (che l’ha vinto nel 2024), la Rsi ospita la candidata rossocrociata affinché possa cantare e raccontare di sé. Prima della musica, le parole…
Dallo scorso 25 marzo, quando ‘Voyage’ è stata presentata, c’è qualche domanda che ancora non ti hanno fatto?
Le domande in italiano, quelle nessuno me le ha fatte ancora. Possiamo provarci ora, ma non garantisco! (ride, ndr)
Una è d’obbligo: come accompagnerai la canzone sul palco della St. Jakobshalle?
Non posso dire grandi cose sulla performance perché è in parte segretissima. Sarà qualcosa di rappresentativo di me al 100%, rappresentativo del mio essere artista. Cercheremo di rendere visivamente il messaggio della canzone e chi la canta, più che mettere in piedi un grande show per stupire la gente.
Manca poco più di un mese alla tua esibizione: come gestisci il tempo che passa?
È un periodo intenso. Provo parecchio, partecipo ai party di avvicinamento, sono stata a Oslo, Madrid, ho fatto tante interviste. È un periodo bellissimo perché tante persone si stanno aggiungendo al mio viaggio.
Come ci arriva Zoë Më all’Eurovision Song Contest? È un sogno di bambina?
Ho cominciato a scrivere musica all’età di dieci anni e non mi sono mai fermata. Ho scoperto l’Eurovision nel 2020, quando Gjon’s Tears ha rappresentato la Svizzera con ‘Tout l’univers’. Ho amato la ‘bolla’ di questo evento, il suo celebrare l’autenticità, ho visto la musica da un’altra angolazione e mi è venuta voglia di partecipare. Poi mi è stato chiesto di scrivere una canzone e le cose sono combaciate. Ho iscritto ‘Voyage’ al concorso, come tanti altri artisti, e tra oltre quattrocento canzoni sono stata scelta. È andata così.
‘Voyage’ non è una canzone da fumi, laser, piogge di fuoco e ballerini che si dimenano. Come vedi la tua musica, che così bene rende a volumi contenuti, sopra quel palco?
Credo anche io che la mia musica funzioni bene quando sono da sola al pianoforte, in posti intimi, con la gente seduta per terra ad ascoltarmi. Ed è esattamente l’atmosfera che tenteremo di ricreare a Basilea, cosa che mi rendo conto essere non facile perché saremo in un luogo che è l’opposto del mio ambiente naturale. Ma penso che la natura di un’artista si possa mostrare anche sopra un palco di quelle dimensioni. Sono curiosa di vedere come andrà. Ho sempre detto che la mia vittoria sarebbe quella di conquistare i cuori di chi mi vedrà e ascolterà.
Hai menzionato Gjon’s Tears. Lo scorso anno Nemo aveva una chance che tu non hai: fare meglio di ‘Tout l’univers’. Pare che tu abbia una possibilità soltanto…
(Ride, ndr) Meglio di Nemo non posso fare! Al massimo posso vincere di nuovo qui a Basilea, dove sono nata. Sarebbe folle! Al di là di tutto, l’Eurovision è una grande festa alla quale voglio contribuire facendo la mia parte. Quando dico che vorrei conquistare il cuore della gente è perché il mondo sta vivendo tanta negatività e la mia canzone parla dell’importanza di diffondere gentilezza e amore. Se il messaggio di ‘Voyage’ arriverà, allora vorrà dire che nel mio piccolo avrò cambiato un poco il mondo.
Il messaggio di ‘Voyage’ è uno dei molti che le tue canzoni trasmettono. Credi che il compito di una cantautrice sia anche quello di sensibilizzare?
Credo di sì. Quando mi è stato proposto di presentare una canzone per l’Eurovision, ho accettato con la promessa che avrei potuto scriverla da me, perché su un palco così importante non sarei potuta salire con un brano che non mi rappresentasse e non avesse un messaggio forte da diffondere. Zoë in greco significa vita, Më in giapponese significa occhio e io voglio guardare la vita, nelle sue cose belle e in quelle meno belle. Provo sempre a dare messaggi, le persone che incontro mi ispirano canzoni. Ognuno ha una storia da raccontare.
‘Momoko’ è il tuo primo e al momento unico album completo. Noi che abbiamo una certa età amiamo i dischi interi: è qualcosa che succederà in futuro?
‘Momoko’ è il disco di una giovane ragazza che aveva tante canzoni da parte e voleva far sapere della sua esistenza. Non avevo un produttore, e i produttori hanno un ruolo fondamentale oggi: sono entrata in studio ed è stato più o meno una band che suonava dal vivo. Nel 2020 curavo da me il booking, la promozione, tutto. Non è l’album perfetto, ma era l’album perfetto per me in quel momento, perfetto per imparare. Ora ho un team, voglio fare un nuovo album, ma dovrà essere qualcosa di veramente speciale, con una storia precisa da raccontare.
C’è del soul nelle produzioni più recenti…
Col tempo sono diventata sempre più coraggiosa nel chiedere a un produttore come la mia musica debba suonare. Per ‘Voyage’, per esempio, ho detto sin dall’inizio che ci sarebbero dovuti essere grandi backing vocals (ai cori ci sono Zoë e una seconda voce, ndr). Nello scoprire lentamente chi sono, il suono è sempre più il mio suono.
Come funziona la scrittura bilingue? C'è una lingua che comanda e un'altra che si adatta e viceversa?
Dipende da canzone a canzone. In ‘Liste des interdits’, per esempio, ho parlato con un’amica di lingua francese e il francese arriva quando nella canzone parlo direttamente con lei. Ci sono altre canzoni come ‘Lied ohne Ende’ in cui canto gran parte della canzone in tedesco e quella in francese è una sorta di spiegazione di ciò che accade. Per ‘Le loup’ invece avevo in mente “Je ne suis pas le loup, je n’ai pas mangé ta grand-mère”, e intorno a questa frase ho costruito la canzone. Viene in modo spontaneo, non è qualcosa che decido a priori.
Visto che le strofe e i ritornelli sono già occupati, perché non un bridge in italiano?
Perché no! Amo la lingua italiana. Quando dissi a mio nonno che il francese è la lingua più bella del mondo e che volevo impararla, lui mi rispose: “No Zoë, la lingua più bella del mondo è l’italiano, è quello che devi imparare!”. Ne abbiamo discusso a lungo: io amo l’italiano, ma avrei sempre un pessimo accento.
Il primo Eurovision che ricordi?
Quello del 2010, quando la Germania vinse con ‘Satellite’. Era il momento in cui iniziavo a scrivere canzoni. Ho ascoltato tante altre canzoni vincenti, ma senza conoscere il bello che vi stava dietro.
Prima di Basilea c’è stata Montreux...
Amo Montreux, l’averci suonato è un sogno che si è avverato. È stato anche il momento in cui ho realizzato tutto il buono che avevo fatto come musicista fino a quel punto. Perché a volte, nel provare a fare sempre di più si tende a dimenticare i passi che si sono fatti. Montreux me li ricorda ogni giorno.
Hai eroi o eroine musicali?
Ne ho tanti. Devo citare The Script, la prima band che ho ascoltato da bambina. Li ho visti dal vivo al Gurtenfestival, ho visto la gente cantare le loro canzoni. Forse se non fossi andata a quel concerto non avrei cominciato a scrivere. Mi piace Pomme, che con la sua musica tranquilla ha fatto da headliner in grandi festival e mi ha fatto capire che anche io avrei potuto calcare palchi importanti con musica tranquilla.
C’è una canzone di cui hai detto “oh, quanto avrei voluto scriverla io!”?
Credo ce ne siano tante. Se parliamo di Eurovision, allora dico ‘Amar Pelos Dois’ di Salvador Sobral, che vinse nel 2017. Mi piacciono le canzoni che sono così come le senti, che non devono stupirti per forza. ‘Amar Pelos Dois’ è una di quelle.
Il duetto dei sogni?
In questo momento duetterei con Stephan Eicher. Anche lui canta in francese e svizzero-tedesco, sarebbe il confronto tra due generazioni che hanno fatto la stessa scelta linguistica.
Ti-Press
Con Cécile Grüebler al violoncello
‘Così sapete da dove viene Voyage’
Sul palco c’è uno Steinway&Sons e dietro a un violoncello siede Cécile Grüebler, l’accoppiata perfetta per chi scrive canzoni al pianoforte e le vuole proporre senza scomodare il mondo. Lo Studio 2 della Rsi ascolta Zoë e il suo bilinguismo in ‘Stilles Lachen’, in tedesco, mentre la sua personale ‘Liste des interdits’ (un elenco di cose da non fare per non ferire nessuno) abbraccia il francese sul ritornello. Dall’unico suo album completo, ‘Momoko’, Zoë rilancia la dedica alla vicina di casa con Trisomia 21, che le ha fatto chiedere se esista davvero una definizione di ‘Normal’.
Tra un brano e l’altro c’è spazio per la presentazione del suo ‘Chëëse chat’ (si rimanda alla pagina social), per una dimostrazione di stima nei confronti di Lucio Corsi (“Se le canzoni potessero scegliersi le amiche, credo che la mia e la sua stringerebbero amicizia”) e per la consegna del pupazzo del cane Peo, da portarsi a Basilea “così tutti penseranno che sono nata in Ticino”.
L’arrivederci di Zoë sarebbe la bella ‘Au revoir’, ma il Casati chiede un’altra volta ‘Voyage’, per voce e pianoforte. “Questa versione è come la canzone è stata scritta”, dice Zoë. “Così sapete da dove viene”.