laR+ L’intervista

Terry Blue nei boschi di lago

Songwriting dentro una bolla elettronica. È ‘Lakewoods’, il nuovo lavoro del collettivo guidato da Leo Pusterla, giovedì 17 aprile dal vivo al Sociale

12 aprile 2025
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Più che un cantautore, l’ultimo Leo Pusterla, o gli ultimi Terry Blue che dir si voglia, pare/paiono un architetto paesaggista. Architetto di paesaggi sonori, punto di arrivo temporaneo di una ricerca (sonora) dichiarata in tempi non sospetti e che ha portato a ‘Lakewoods’, disco che il Teatro Sociale ascolterà dal vivo giovedì 17 aprile.

Terry Blue resta Collettivo pur virando sempre più verso il duo. Almeno da quando la voce-strumento di Eleonora Gioveni (performer, arrangiatrice) si è presa una buona fetta d’arte e di vita del Pusterla, per un minimalismo che è soltanto dal vivo perché ‘Lakewoods’ è tutt’altro che un disco minimalista: «Sì, abbiamo riempito tanto a differenza del lavoro precedente», ci dice Leo. «Nel disco ci sono anche tanti ospiti, e ognuno ha colorato qualcosa che era già di per sé molto denso». Andrea Manzoni al pianoforte, Zeno Gabaglio al violoncello, lo storico batterista di Terry Blue Matteo Mazza e Cristian Gilardi al flauto, passati per le mani del cantautore ora anche produttore di sé, e sottoposti alla Cura Pusterla, in cabina di regia: «Come fatto inizialmente con la voce di Eleonora, abbiamo registrato un flauto che non dovesse per forza suonare come un flauto, un violoncello che non dovesse per forza essere Bach».

“C’è un ragazzo nei boschi del lago”. Dovrebbe essere Leo, in un ricordo che include una madre che risale la collina e un padre a piedi nudi dentro l’acqua ferma. “Ora cammino sulla parte buia della strada, questa città non è il posto giusto nel quale nascondermi”. ‘Gone Glacier’, pubblicato a metà marzo come singolo, è il brano simbolo del disco, una cosa a presa rapida e allo stesso tempo spiazzante, vuoi per le acustiche che rimbalzano tra le orecchie, vuoi per un violoncello in reverse capace di f****** il cervello.

Leo sa che anche stavolta violeremo la regola per la quale non si dovrebbe mai chiedere agli autori di spiegare le canzoni: «Quando morì mio nonno ero molto piccolo», racconta. «Ho chiesto dove fosse andato e mia madre mi espose tutte le possibilità: ‘Qualcuno pensa che sia qui, altri che sia là, altri ancora che non è andato da nessuna parte’. Mi disse che io avrei potuto credere quel che preferivo. Chiesi se sarebbe potuto diventare un animale e lei annuì. Da quel giorno, quando sento una marmotta che fischia penso che sia mio nonno», visione che «mette alla berlina un cinico come me, che non crede in niente che non veda. Credo sia il mistero che avvolge tutto l’album».

Generi e genesi

Pur in mezzo ai riverberi, in ‘Comebacks’ c’è sempre il songwriter dei grandi panorami filostatunitensi. C’è di più: ‘Alicante’ è latina quanto ‘Glitch’, ‘Minoux’ è un massaggio thailandese, ‘Cegueria’ un gospel, le cui radici sono rese ambigue da un’elegante bolla elettronica nella quale si muovono. Anche il già singolo ‘Fragile Friend’, la title-track swingata e psichedelica e la bella ‘Déja-vu’ palesemente soul, in un generale andare e venire da Lakewoods che quasi diventa un posto sul mappamondo, anche se non esistono né il posto né il sostantivo. «L’elettronica mi ha sempre strizzato l’occhio e forse in questo disco lo strizza ancora di più». Leo benedice la libertà dei suoi Safe Port Studios, porto sicuro nel quale sperimentare a costi di certo più contenuti e dove meditare su tematiche «più spigolose, stridenti».

Diversamente dal passato, ‘Lakewoods’ è nato senza uno strumento di partenza. «Non è più la chitarra. Anzi, le uniche canzoni nate alla chitarra, nel disco ne sono prive». Stavolta c’entra il ritmo: «Sono partito da una batteria, da un arpeggiatore o da una sequenza in loop. Questo mi ha concesso più libertà nei testi, a livello di vocalità e di live». Leo cita Ben Howard, uno che preferisce pensare alla canzone come gesto più che come qualcosa di permanente, un gesto che può cambiare nel tempo. «Oggi il concerto è simile al disco, specialmente nel pop».

Giovani e indipendenti

‘Lakewoods’ ha un altro ingrediente: «È l’influenza che hanno avuto su di me gli artisti che hanno registrato nel mio studio e che ho prodotto. Gente come Shair e Ludovico, il duo luganese Currenti Calamo, anche se arrivano da un genere da me lontano come l’hip hop. Lavorare con gli altri mi permette di allontanarmi da Terry Blue e insieme di godere di liberi spunti, che si tratti di pop, jazz o punk». E ancora: «Questa vicinanza con musicisti giovani, indipendenti, alle prime armi ma che fanno cose interessanti ha portato nel disco anche una critica sul territorio nel quale sono tornato». C’è uno squalo in ‘Cegueira’ e «gli squali non mancano nemmeno da noi».

Alla fine, Lakewoods è anche il Teatro Sociale, bosco cittadino nel quale si muoveranno gli stessi Currenti Calamo, Julie Meletta e il quartetto Manzoni, Mazza, Gabaglio e Gilardi, a integrare la performance di Leo ed Eleonora. «Mi piaceva l’idea dei boschi di lago, e di ciò che possono rappresentare come luogo di partenza o addirittura di fuga da questo cantone, nel quale poi si ritorna, come ho fatto io». Ma Lakewoods non rappresenta il Ticino: «È un luogo cardine, un terreno particolare che nulla ha a che vedere con la Patria. Sono i paesaggi che da sempre hanno influenza su di noi semplicemente perché sono quelli della nostra infanzia».