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Ciò che stai sentendo è Jorge Drexler (live a Montreux)

Serata senza necessità di traduzioni del grande cantautore uruguaiano, che con la sua poesia riesce sempre a parlare il linguaggio dell’anima

Lui, la sua chitarra e noi
(©MJF_Thea Moser)
16 luglio 2025
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“Alzi per favore la mano chi in questa sala non capisce lo spagnolo”, dirà Jorge Drexler in apertura di concerto (e la domanda vale anche per i lettori). Le mani alzate sono poche, davvero poche, in una sala (la ‘Scène du Casino’) che si trova a Montreux, ma che potrebbe tranquillamente essere a Valencia, a Rosario o a Puebla. ‘Eco’ (2005), quello con una sola ‘c’, è il primo brano proposto dal cantautore uruguaiano, “esto que estás oyendo” in una serata senza traduzioni (che a questo punto, scusate, non troverete nemmeno qui, perché la poesia – in quanto espressione dell’anima – perderebbe la sua essenza). Settantacinque ipnotici minuti in cui una delle voci più iconiche del Rio de la Plata ha ripercorso oltre due decenni di carriera, presentando alcuni dei suoi pezzi migliori (“Sono uruguayo, tutto quello che so fare è milonga, samba e candombe”). Una vera chicca del programma della 59esima edizione del Montreux Jazz Festival.

Reminiscenze

Si dice che l’Uruguay sia la Svizzera di Latinoamerica. Paese piccolo, stabile, bello, ordinato (ma neanche troppo), circondato dai “giganti” Brasile e Argentina. Alla vigilia del concerto di Drexler, il dubbio che poteva assalire un qualche spettatore – uno a caso –, condizionato dalle paturnie del Doc. Emmet Brown sulle sovrapposizioni spazio-temporali (sono passati quarant’anni ma ‘Ritorno al futuro’ è ancora qui), era allo stesso tempo una grande curiosità: cosa mai poteva venire fuori da questo particolare incrocio? Montreux non è Montevideo, certo che non lo è. Tuttavia certi elementi di contorno contribuivano a creare una leggera (e gradevole) sensazione di smarrimento.

In ordine cronologico: sul treno che va da Vevey fino al Festival due ragazzi impazienti accendono uno spinello sul vagone ancora prima di giungere a destinazione; le scale mobili che portano dal binario verso la hall della stazione, così come quelle che poi bisogna scendere per arrivare in città, sono piene zeppe di persone, non mancano gli spintoni e un certo timore di ritrovarsi con le tasche svuotate; sul lungolago pullulano i tipi con i cartelli scritti a mano: ‘Tickets’, pure davanti al punto vendita ufficiale dei biglietti; i bar – molto ben piazzati all’interno di un invidiabile street food market con cibi di tutto il mondo – offrono bibite a cinque franchi, mentre il chiosco ‘Biblico’, un baracchino con un piccolo frigo davanti ai libri evangelici, propone le stesse bibite a tre franchi. Reminiscenze.

Ospiti e anfitrioni

“Di solito noi latini siamo ospiti in queste terre, ma stasera mi sa che ci tocca fare da anfitrioni”, dice Drexler mentre scatta con i primi accordi di ‘La trama y el desenlace’ (2010). Anche se – ammette l’uruguagio, vestito per l'occasione con una rigorosa maglia celeste – “è da un bel po’ che non suono dal vivo, sono agitato”, nessuno se ne accorge. La magia dell’uomo che brandisce come unica arma la sua chitarra, e ogni tanto un sampler, appare intatta. “È il mio ultimo concerto quest’anno – racconta tra un brano e l’altro –. In realtà non pensavo nemmeno di tornare sul palco nel 2025. Ma come fai a dire di no a Montreux? Qui i maestri della Bossa Nova, Gilberto Gil, Caetano Veloso, João Gilberto, hanno registrato degli album fantastici. È un sogno essere qui”.

Ricordi, emozioni, cicatrici

Un sogno, una specie di chiacchierata tra amici o forse soltanto una “noche de asilo”: Drexler seduto sul palcoscenico, con o senza la chitarra, non ha portato il mate da condividere con il pubblico ma quasi. Infatti “la yerba, el mate y la bombilla” arriveranno solo con l’ultimo brano della serata, quella “canción que dice que uno conserva solo lo que no amarra” (‘Guitarra y vos’, 2005). A quel punto le lacrime – “tanta lágrima” – non valeva nemmeno la pena asciugarle. Partite con ‘Al otro lado del rio’ intonato a cappella insieme alla gente – forse il brano più famoso di Drexler, composto per il film ‘Diari della motocicletta’ e vincitore del premio Oscar alla miglior canzona originale (2005) –, ogni pezzo del repertorio non solo riporta nella sala diversi momenti salienti di una straordinaria carriera artistica ma anche i ricordi, le emozioni e le cicatrici di chi tra i presenti, come Drexler, ha lasciato “que se empañe la ilusión de que vivir es indoloro” (‘Soledad’, 2006).

L’uruguaiano troverà il tempo durante il concerto per uno dei suoi ultimi successi ‘Tinta y tiempo’ (2022), per rendere omaggio alla memoria di Mercedes Sosa (‘Sea’, 2000), per ringraziare Joaquín Sabina per “aquella noche loca que selló mi suerte” (‘Pongamos que hablo de Martínez’, 2017) e perfino per stigmatizzare “questi momenti di merda che stiamo vivendo” – qualcuno in sala urla “Palestina libre” – con la ‘Milonga del moro judío’ (2003). E anche se non è vero che “todo está en calma” (‘La edad del cielo’, 1999), Jorge Drexler saluta il pubblico con un inchino e fa finta di andarsene, dopo aver permesso a un migliaio di anime privilegiate, “esta noche por ejemplo”, di lasciare "el mundo afuera". Chiaro, ciò comporta certi rischi, come d’altronde ogni scelta chiave della nostra vita. Ma cosa potrà essere mai più romantico – e più sensato – che preferire “lamer después mis heridas a que tu amor pierda filo” (‘Asilo’, 2017). Sarà dunque durante il bis che ‘Todo se transforma' (2005), dove “cada uno da lo que recibe y recibe lo que da”.

Sul bus – gratuito durante le serate del Festival – che va da Montreux a Vevey, gremito quale fosse un ‘colectivo’ di Montevideo che dall’Avenida 18 de Julio porta alla spiaggia di Pocitos all’ora del mate, sembrano risuonare ancora le ultime note della chitarra e della voce di Drexler, nonché la certezza che “hay escritas infinitas palabras: zen, gol, bang, rap, Dios, fin”.