L’interrogativo sarà al centro di un incontro giovedì 7 agosto a Locarno. Col professor Tomasin un giro d’orizzonte su valore e sfide del plurilinguismo
«In un’epoca come quella attuale contraddistinta da crescenti divisioni, frammentazioni identitarie e ostilità tra popoli anche vicini, il pluralismo e il plurilinguismo svizzeri di cui l’italiano è componente essenziale si dimostrano più che mai un vantaggio per la coesione interna del Paese e per la percezione che se ne ha nel mondo». Descrive in questi termini Lorenzo Tomasin, professore ordinario di filologia romanza e storia della lingua italiana presso l’Università di Losanna, uno dei benefici a cui contribuisce la vivacità dell’italiano nel panorama linguistico nazionale contemporaneo.
Tema, questo, che sarà al centro delle riflessioni di una serie di incontri in diverse città del Paese promossi dal Forum per l’italiano in Svizzera, il primo dei quali è una matinée-colazione presso la Biblioteca cantonale di Locarno giovedì 7 agosto, dalle 9 alle 11.15, intitolata ‘Italiano in Svizzera: fino a quando ancora una risorsa culturale e identitaria?’. Oltre al professor Tomasin, durante l’evento interverranno Marina Carobbio, direttrice del Dipartimento educazione, cultura e sport (Decs) e presidente del Forum per l’italiano in Svizzera; Manuele Bertoli, ex direttore del Decs; Martin Candinas, consigliere nazionale del Canton Grigioni; Pelin Kandemir Bordoli, vicepresidente del Consiglio regionale della Ssr Svizzera italiana Corsi; Rosalita Giorgetti Marzorati, rappresentante dell’Ufficio federale della cultura; e Uberto Vanni D’Archirafi.
«In Svizzera quasi l’8% della popolazione dichiara l’italiano come lingua principale, un dato stabile nell’ultimo decennio. Ciò che però rende l’italofonia svizzera un caso unico tra le lingue federali è la sua distribuzione», rileva Tomasin, riferendosi al fatto che metà degli italofoni risiede fuori dai cantoni tradizionalmente di lingua italiana, vale a dire Ticino e Grigioni. E la quota al di là dei confini di queste due regioni è verosimilmente più alta in quanto «in diversi casi, pur essendo presente, l’italofonia tende a sfuggire alle rilevazioni statistiche ufficiali», spiega il professore, esponendo un esempio emblematico: «Qualche giorno fa in un supermercato di Losanna ho notato che l’addetto alla gastronomia parlava francese con la clientela mentre al suo collega si rivolgeva in italiano».
Questo mostra che, sebbene in contesti formali prevalga la lingua locale, in quelli informali il passaggio all’italiano per comunicare tra italofoni è una pratica comune e spontanea «che però difficilmente emerge dai censimenti. In questo caso – articola Tomasin – è probabile che al momento delle rilevazioni statistiche i due colleghi non abbiano dichiarato di utilizzare l’italiano sul posto di lavoro in quanto nei rapporti con la clientela, con il direttore del magazzino o con quello del negozio impiegano la lingua locale».
La concorrenza dell’inglese è una tra le sfide con cui l’italiano in Svizzera si trova confrontato. Il professor Tomasin evidenzia però una recente tendenza che descrive come «una crisi globale dell’inglese, non tanto come strumento di comunicazione, quanto come portatore di valori e immagini. Nonostante l’immenso capitale accumulato nell’ultimo secolo quanto a diffusione e a indiscutibile primato, l’inglese è ora sempre più associato a fenomeni come l’America di Trump o la Brexit e sta affrontando una generale perdita di credibilità culturale in Europa».
Tomasin fa l’esempio di papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, cittadino statunitense che lo scorso maggio ha tenuto il suo primo discorso da pontefice in italiano, spagnolo e latino, senza usare la sua lingua d’origine. Per il professore la perdita di prestigio dell’inglese in corso «potrebbe rappresentare un’opportunità per le altre lingue».
Un altro elemento che può influenzare le dinamiche del plurilinguismo è l’Intelligenza Artificiale (IA), o per dirla con il nostro interlocutore, la «cosiddetta IA, che presenta un doppio taglio. Se da un lato in passato si prospettava secondo alcuni studiosi come uno strumento favorevole al plurilinguismo in quanto le traduzioni automatiche, immediate e facili avrebbero permesso a ognuno di continuare a parlare e scrivere nella propria lingua, oggi emergono più che altro le preoccupazioni relative alla perdita di ruolo di alcune professionalità legate alla traduzione nonché all’idea che non sia più necessario imparare le lingue in quanto ci sono le macchine che le rendono tutte accessibili».
Secondo Tomasin sia le visioni più ottimistiche che quelle più pessimistiche sono ingenue: «È invece urgente che la Svizzera, un Paese particolarmente attento a questo tipo di processi, affronti i problemi giuridici ed etici legati all’uso della cosiddetta intelligenza artificiale e regolamenti in particolare l’aspetto concernente la tracciabilità dei testi». Tomasin propone un’analogia con i cibi che consumiamo: «Così come pretendiamo e diamo per acquisito di poter conoscere l’origine di tutto quello che compriamo al supermercato e ingeriamo, dovrebbe valere altrettanto per tutto quanto leggiamo e ascoltiamo, anche se generato dalla cosiddetta IA che è progettata per nascondere le proprie fonti e i procedimenti con cui produce i propri testi».
A parere del professor Tomasin, se si andrà verso la direzione di garantire la trasparenza delle fonti – «non sono così genuinamente ottimista che ciò avvenga ma ci spero», dichiara – l’IA potrebbe diventare «un valido ausilio senza andare a intaccare la realtà viva e multiforme delle nostre lingue e dei nostri testi».
Per quanto riguarda la percezione dell’italiano in Svizzera, Tomasin ritiene che sia «nettamente positiva. Se magari un tempo era associato a forme di immigrazione considerate deteriori o a fenomeni sociali di disagio o di difficoltà come quelli che caratterizzavano una parte dell’italofonia extraticinese nel secolo scorso, oggi invece è più messo in relazione con le opere dell’ingegno, la creatività e l’innovazione di cui gli italofoni sono protagonisti in Europa e nel mondo».
Le cattedre di italianistica e le università svolgono un ruolo cruciale nel rafforzamento di questa buona percezione. Come? «Se l’insegnamento scolastico dell’italiano è capillarmente diffuso, le cattedre universitarie, meno numerose, tendono a organizzarsi e a fare rete: si incontrano periodicamente e stimolando la collaborazione anche con le realtà scolastiche attraverso iniziative, conferenze e incontri», spiega Tomasin.
Un esempio virtuoso che il nostro interlocutore cita con entusiasmo è l’iniziativa coordinata dalla professoressa Angela Ferrari all’Università di Basilea relativa all’italiano giuridico nella Confederazione. «Si tratta di un progetto che ormai da anni si occupa dell’uso dell’italiano nelle leggi, nei regolamenti, negli ordinamenti non solo cantonali ma anche della Confederazione.
L’aspetto interessante è che i risultati che continuano a emergere dimostrano come la messa in relazione dell’italiano con le altre lingue contribuisca a rendere più accurate e formalmente migliori le leggi svizzere, non solo quelle scritte in italiano. Ciò avviene perché il confronto con più lingue stimola una maggiore attenzione agli aspetti formali che in un contesto monolingue potrebbero essere trascurati».
Al fine di garantire che l’italiano rimanga vivo e dinamico in Svizzera, per Tomasin «è utile andare avanti a parlare e interrogarsi sul suo ruolo e su come rafforzarlo. Ma da linguista ritengo al contempo, forse un po’ paradossalmente, che le lingue bisogna anche lasciarle un po’ fare».
Il professore invita comunque a ragionare sul futuro della lingua in quanto risorsa culturale e identitaria senza cadere nelle due opposte tendenze già evocate nel discorso sulla cosiddetta IA: «Il catastrofismo per cui “l’italiano in Svizzera è destinato a morire” o “parleremo tutti solo inglese tra 50 anni” è una visione che la realtà continua a incaricarsi di smentire. Ma anche l’utopia per cui “l’italiano manterrà il suo rilievo solamente perché è così bello” è altrettanto irrealistica. La Svizzera è una “Willensnation”, una nazione fondata sulla scelta consapevole di stare insieme, e allo stesso modo la presenza dell’italiano tra le sue lingue ufficiali è basata sulla scelta consapevole di mantenerla tale». Ed è proprio grazie a una «forte volontà politica e di società – conclude Tomasin – che l’italiano potrà continuare a essere un cardine della cultura e dell’identità di questo Paese».