Il violinista australiano in concerto domani sera al Lac insieme all'Orchestra della Svizzera italiana diretta da Tabita Berglund
Ray Chen è arrivato con il suo violino: non un semplice vezzo da celebrità che, insieme a prestigiosi riconoscimenti e collaborazioni con grandi orchestre, può vantare una forte presenza sui social media e collaborazioni con Sting e la superstar pop asiatica Jay Chou. Era più la gioia, e il rispetto, per uno strumento importante come lo Stradivari Delfino, realizzato dal 1714 e precedentemente posseduto dal celebre violinista russo Jascha Heifetz.
Con quel violino Chen suonerà, domani sera al Lac, il Concerto per violino di Čajkovskij con l’Orchestra della Svizzera italiana. L’Osi, diretta dalla norvegese Tabita Berglund, eseguirà un altro capolavoro del romanticismo, l’Incompiuta di Schubert. Il concerto al Lac sarà seguito dalla prima tournée del 2025: sempre con Chen e Berglund, l’Osi si esibirà al Teatro Verdi di Pordenone, al Cankarjev dom di Lubiana e infine alla Brucknerhaus di Linz.
Che cosa significa suonare il violino appartenuto a Heifetz?
Jascha Heifetz è considerato il più grande maestro del violino, anche se personalmente il mio preferito è David Ojstrach ma, per molti brani, Heifetz è indiscutibilmente al vertice. Suonare con questo Stradivari, all’inizio, era piuttosto intimidatorio. Ogni volta che lo suonavo ci pensavo, perché il suo suono ha decisamente l’impronta di Heifetz. O forse è il contrario: il suono è dello strumento e Heifetz ha tratto il suo suono dallo strumento, è una questione del tipo ’chi è nato prima tra l’uovo e la gallina’.
Quando suoni strumenti così storici, cominci a renderti conto che anche i più grandi musicisti, me compreso o qualsiasi altro suonatore, sono solo un piccolo momento nella vita dello strumento. Sono come creature immortali che continuano a vivere – sono passati più di 300 anni – e speriamo che vivranno per molti altri secoli ancora. È con questi pensieri che la mente si tranquillizza realizzando che sì, ci sono queste influenze, ma facciamo tutti musica e ognuno di noi scopre qualcosa di nuovo. Farò quello che posso per creare musica meravigliosa e influenzare le persone nel modo più straordinario possibile.
E come si affronta un brano celebre come il concerto per violino di Čajkovskij?
Sai che hai un nuovo punto di partenza: con composizioni come il Concerto per violino di Čajkovskij, ci sono cose che non devi spiegare nuovamente. È un po’ come vedere una persona che hai già conosciuto, magari un amico o un familiare: lo incontri di nuovo, ma c’è ancora tanto da raccontarsi. È molto probabile che anche se lo conoscono, non lo abbiano studiato, non conoscano il mio modo di suonare, non sappiano com’è stato negli ultimi anni.
Per mantenere la freschezza nell’interpretazione, mi lascio sempre ispirare da fonti esterne. Ma molto viene dall’incontro con persone diverse e dalla comprensione del modo di pensare contemporaneo, che unisco con il passato, con lo stile di Čajkovskij. La sua vita, le sue lotte, i suoi desideri, i suoi sogni, e le lotte, i desideri e i sogni delle persone di oggi. Penso che questo dovrebbe essere il compito di un artista: essere in grado di raggiungere l’atemporalità, di fondere queste interpretazioni in modo che la musica, indipendentemente da quando è stata scritta, possa essere compresa in modo molto chiaro e molto semplice.
Come avviene questo incontro tra passato e presente?
La questione è molto interessante perché credo riguardi la comprensione di qualsiasi forma d’arte. Come musicisti, comprendiamo tutti la disciplina, l’impegno, il rispetto e la passione. Comprendiamo tutte queste componenti e le emozioni che contengono. Ma c’è anche la necessità di comunicare tutto questo, e questo richiede la stessa quantità di disciplina. Non è facile comunicare bene. Bisogna esercitarsi e pianificare la comunicazione anche sulle piattaforme digitali di oggi. Non è un compito banale.
Dobbiamo provare a comunicare oltre la musica? È una domanda difficile a cui rispondere, e non tutti saranno bravi a farlo, proprio come non tutti hanno talento quando prendono in mano uno strumento. Nel mio caso, sono stato fortunato. Sono stato benedetto da un ambiente che me lo ha permesso. Avevo i prerequisiti esatti per diventare un buon comunicatore, principalmente grazie ai miei genitori e all’ambiente in cui sono cresciuto. Crescere in Australia, dove le persone sono molto libere, ha avuto i suoi vantaggi nel poter arrivare dritto al punto.
Aveva anche i suoi punti deboli. Mi sentivo in molti modi fuori dall’industria musicale. Non sono cresciuto andando ai concerti. Avevo molte registrazioni, ma i miei genitori non sapevano a quali concerti andare. Molte persone vivono questa esperienza, e oggi più che mai, considerando che, specialmente fuori dall’Europa, ci sono sempre meno fondi per l’educazione musicale. Cosa significa per il futuro della musica classica se le persone hanno meno strumenti per comprendere? Credo serva una persona che comprenda, un insider con una prospettiva da outsider che possa dire: “Siamo uguali, ora vieni”.
La sala da concerto rimarrà quindi centrale, per la musica classica?
L’esperienza della sala da concerto è qualcosa a cui le persone devono arrivare. È come la parte più in basso, quella stretta, di un imbuto: all’inizio c’è l’ascolto a casa, su una piattaforma di streaming. È l’esperienza del “ah lo conosco, ma perché dovrei andare in sala da concerto?”. E quando ci vanno, in sala, hanno aspettative diverse: nelle registrazioni il bilanciamento è molto incentrato sul solista ma quando sei in sala, è diverso, è “mixato” diversamente. Se le persone non sanno cosa aspettarsi, rimarranno deluse, cercheranno le cose sbagliate. E quindi alla tua domanda rispondo che sì, l’esperienza della sala rimarrà se comunichiamo loro cosa aspettarsi e perché dovrebbero venire. Se riusciamo a farle scendere lungo l’imbuto.
Pensando alla tournée, cambia qualcosa suonare in sale e città diverse?
Cambia sempre qualcosa, anche quando suoni nella stessa sala. E ovviamente cambia a seconda dell’orchestra: ero in Germania e ho suonato proprio il concerto di Čajkovskij con la Bamberger Sinfonieorchester. Loro hanno il loro modo di suonare, e sono sicuro che qui con l’Osi sarà diverso. Mi ricordo il primo concerto con l’Osi, molti anni fa, e penso che ci sarà leggerezza nella musica, ci sarà una sensazione di aria, penso che suonerà questo concerto più come un balletto. Ma è la prima volta che suono con Tabitha Berglund, la direttrice, e sono molto curioso di vedere come andrà questa collaborazione.
Tornando alla sala: è come un’estensione del tuo strumento. E poi le persone ascolteranno in modo diverso e questo cambia il mio modo di suonare, perché quando mi esibisco, non mi esibisco come se fosse una cosa prestabilita, io suono per il pubblico. Heifetz no, lui era tipo da “Sto suonando per me stesso, o sto suonando per Čajkovskij voi, se volete, ascoltate la grandezza”. Per me è diverso: è una cosa viva, mi connetto. Faccio in modo che qualsiasi cosa accada possa influenzare, naturalmente fino a un certo punto. Se qualcuno tossisce, beh… Ma forse anche in quel caso, devi essere aperto. E il pubblico cerca questa connessione, sente che gli si lascia lo spazio per dire “wow, sono parte anche io di questa performance”.